Malombra - Il male di essere donna

Malombra – Il male di essere donna

Malombra è il primo romanzo scritto da Antonio Fogazzaro. Mirabile per la stesura, perfetto romanzo dalle tinte fosche con protagonisti ben studiati e personaggi minori così ben definiti da restare nella mente del lettore. Tutto questo però non basta ai colleghi contemporanei dello scrittore, tant’è che alla sua pubblicazione datata 1881 il testo non gode di un’ampia diffusione e tra i suoi sostenitori noti si trovano solo Giovanni Verga e Giuseppe Giacosa.

malombra
Copertina libro Feltrinelli

Malombra

Partiamo dal nome per arrivare alla malattia. Con questo termine infatti si indica una persona che si pone con atteggiamenti negativi verso gli altri e verso le situazioni che si vengono a creare nella vita. Il termine nasce dalla fusione delle parole malvagio e ombra e affonda le sue radici nella superstizione popolare. Infatti il termine nasce per dare un nome a una figura tra l’umano e il mostruoso. Una sorta di strega che al posto dei capelli aveva crine di cavallo e frange di tappeti. Nel caso del romanzo di Fogazzaro il termine gioca sia su questa figura che sul soprannome del monte che, insieme al lago, caratterizza il paesaggio del paese senza nome del romanzo.

Corrado

Il romanzo si apre con Corrado, giovane e sfortunato scrittore chiamato inaspettatamente dal Conte Cesare d’Ormengo. Giunge da Milano al castello del Conte in tarda serata senza conoscere il reale motivo del suo viaggio. Il castello e i suoi abitanti si rivelano da subito essere enigmatici. Viene accolto dal segretario del conte, tale Steinegge che inizialmente tutto pare a Corrado tranne che un segretario e che si rivela, con passare dei capitoli, un ottimo amico per lo scrittore. La stanza che il Conte fa preparare per Corrado è arredata con gli averi della vecchia casa dello scrittore e solo in un secondo momento il Conte gli rivela di aver comprato quegli oggetti perché amico di vecchia data della madre di Corrado e che proprio per questa affezione lo ha chiamato al castello per offrirgli un lavoro. Infine Corrado scopre presto che Marina è la donna con la quale manteneva una corrispondenza da entrambi i lati sotto pseudonimo: Marina firmandosi Cecilia e Corrado firmandosi Lorenzo.

Steinegge

Il segretario tedesco del Conte, le sue mani sono quelle di un lavoratore più che quelle di un letterato e infatti, nonostante non manchi di una grande cultura, è incapace di scrivere in italiano o di parlarlo in modo fluente. Si rivela essere perfetto per il Conte bisognoso di traduzioni dal tedesco e dall’inglese, lingue che Steinegge padroneggia come madrelingua. Il passato di questo personaggio è costellato di sconfitte, fra queste la più grave è la perdita della moglie e l’impossibilità di avere notizie della figlia. Avanzando nella lettura è la figlia a riavvicinarsi al padre e i due non si separano più. Il segretario del Conte non ha un buon rapporto con la marchesina Marina di Malombra. Questo a causa delle sue origini ma anche del fatto che, memore dei tempi in cui era un giovane e baldo cavaliere, accenna all’idea di un corteggiamento che Marina ferma sul nascere.

Il conte Cesare

Lo zio di Marina è una persona che detesta la letteratura e l’arte in generale. Detesta in modo particolare i francesi che accusa di “fare l’amore con le idee” danneggiandole e degradandone la nobiltà per poi buttarle via ridotte ad uno stato così lontano dalla grazia che più nessuno le vuole. È un uomo concreto che non si è sposato e non ha avuto figli e che preferisce l’economia e la storia a tutto il resto.

Marina di Malombra

Marina, la marchesina di Malombra, è la protagonista del romanzo. Ha negli occhi il fuoco dell’intelligenza e del pensiero critico: “ella pareva caduta dal quel cielo gaio e sereno”. Quello degli affreschi sul soffitto della stanza nel suo abito celeste a lungo strascico che Maria indossava per capriccio, in risposta a quella clausura. Di lei si dice:

“Caduta in un tenebroso regno sotterraneo dove il suo fiore giovanile brillava ancora ma di bellezza meno gaia e meno ingenua”.

Rimasta orfana, Marina di Malombra raggiunge lo zio, il Conte, ma il suo cuore continua a vivere a Parigi e da brava parigina ha in odio tutto ciò che ha a che fare con la cultura germanica.


“Considerava la Germania come una pipa. Un’enorme testa rotta di gesso, dal muso di borghese obeso a cui bruci, nella fiamma del cervello aperto, del tabacco umido, malsano e n’escano spire di fumo denso”


Insomma, per Marina tutto ciò che è legato al territorio tedesco corrisponde a qualcosa di malsano capace di togliere alle persone l’arte del respiro. In pratica Marina racchiude tutto ciò che lo zio detesta. Tra le varie peculiarità della ragazza, quella che affascina Corrado è forse quella che lo zio sopporta meno. Marina suona con infinita grazia il pianoforte. Inoltre ama la poesia e i romanzi francesi.

La dimora degli spettri

Una straniera in un piccolo paese, già solo questo può bastare alla gente del luogo per farsi strane idee. La marchesina di Malombra però diviene presto famosa per le sue stranezze. Per prima cosa alloggia nell’ala del palazzo conosciuta da tutti coma La dimora degli spettri. Lo zio le assegna questo alloggio per far dispetto alla nuova arrivata che vi rimane, per testardaggine, pagandone conseguenze impressionanti. La storia che si cela dietro al nome degli alloggi è così suggestiva da impressionare Fanny, così la stanza destinata alla dama da compagnia della marchesina di Malombra diviene la sua biblioteca personale con annesso spazio per Saetta. Saetta è la lancia di Marina che pare riuscire a placare la sua ira solo remando e risalendo le acque su di essa. La leggenda vuole che, in questa ala del castello, vaghi ancora il fantasma del padre del conte, condannato a vagare a causa delle cattiverie inflitte a Cecilia, la prima delle sue mogli.

Cecilia

Questo nome diventa la maledizione di Marina, la sua malombra. Cecilia muore nella dimora degli spettri dove è tenuta prigioniera dal marito. In questo luogo perde la ragione e prima di morire nasconde nel vano segreto del pianoforte una ciocca dei propri capelli, uno specchietto, un guanto e un libro di preghiere sul quale ha appuntato parte dei suoi deliri.

La malattia di Marina

Dopo un anno di permanenza al castello Marina trova i tesori nascosti da Cecilia. Legge avidamente i vaneggiamenti di Cecilia fino a convincersi che quello che c’è scritto è reale. Le analogie sono per Marina delle prove a sostegno di ciò che ha letto. Cecilia scriveva direttamente alla propria reincarnazione anch’essa imprigionata in quel luogo, insiste sul tentativo di scatenare reminiscenze della vita passata nella lettrice e la esorta a cercato il suo amore perduto, tale Renato, e a vendicarsi della progenie del conte. Marina si trova in stato confusionale. Prova a dubitare ma Corrado, del quale è innamorata, la chiama Cecilia in memoria della loro corrispondenza. Inoltre la marchesina di Malombra soffre da quando è piccola di frequenti dèjà vu così crea a forza la memoria di quei ricordi riportati da Cecilia. Affidandosi alle parole trovate nel libro di preghiere anche l’odio che prova nei confronti dello zio pare avere un senso. In realtà l’attuazione della vendetta e la convinzioni di essere Cecilia nascono da una nevrosi acuta alla quale Marina si abbandona per evitare l’elaborazione del lutto dei genitori e per sfuggire all’isolamento al quale lo zio la induce. Lasciata sola con il proprio male Marina finisce per condividere davvero con la defunta qualcosa: la follia.

Strega

I motivi per i quali nessuno si accorge di quello che sta realmente succedendo a Marina, se non quando ormai è troppo tardi per fare qualcosa, sono molteplici. Uno lampante è la mancanza di concretezza di tutti i personaggi maschili che popolano il romanzo. La seconda è legata al fatto che Marina di Malombra è bella, straniera, testarda e intelligente, quindi facile da additare come strega. Una figura che destabilizza i vecchi precetti sociali. Non sono temi nuovi, li abbiamo già affrontati in Cime tempestose e in Notre Dame de Paris e il risultato anche qui non cambia.