marco verrillo ciò che è rimasto intervista

Marco Verrillo: «stiamo rischiando di perdere noi stessi»

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Marco Verrillo ha sviluppato una passione per la scrittura di testi e poesie fin dall’età di 10 anni. Nel tempo ha avuto modo di farsi conoscere al pubblico tramite readings e letture pubbliche. Alcune delle sue poesie sono state tradotte in rumeno e inserite nell’antologia italo-rumena Sentiment latin – Sentimento latino. Nel 2004 ha partecipato al Premio Internazionale città di Pomigliano d’Arco, svoltosi presso la sala consiliare di Pomigliano d’Arco (NA), con l’alto patrocinio del Presidente della Repubblica. Ha pubblicato diverse opere, tra cui Cose che dicono niente (2011), Carni Raccolte (IVVI, 2020) e Le Forme di un corpo (pubblicazione indipendente, 2022). La sua prima collaborazione con SP è stata Hai disarmato il mio tempo (2022).

Ciò che è rimasto

Marco Verrillo ciò che è rimasto

Ciò che è rimasto è il nuovo libro di Marco Verrillo. Si tratta di un viaggio intimo e poetico alla scoperta di sé stessi. Questo volume fa parte della collana Ibrida di SP Scrivere Poesia Edizioni, una casa editrice solidale, appassionata e indipendente, originaria di Pesaro ma ora con sede in provincia di Lecce. La missione principale di SP Scrivere Poesia Edizioni è promuovere la buona poesia e sostenere le principali Onlus italiane nelle loro cause.

In Ciò che è rimasto, Verrillo racconta la storia di un poeta e artista intrappolato in un labirinto emotivo, alla ricerca della propria autenticità. Attraverso dialoghi intensi, prosa poetica e sottili influenze del dialetto napoletano, l’autore ci porta attraverso una serie di micro-racconti che delineano la storia di un uomo alla ricerca della sua identità.

Marco Verrillo trasporta i lettori in un mondo ricco di emozioni e riflessioni profonde, dove ogni pagina è una scoperta e ogni parola un’esperienza. Con una sensibilità unica e un sottile senso dell’ironia, l’autore esplora temi universali come l’amore, la perdita, la speranza e la rinascita, offrendo al lettore uno specchio per riflettere sulla propria esistenza.

L’intervista

La ricerca di sé stessi è un tema ricorrente nella vita di ogni individuo. Da cosa nasce, secondo te, questo bisogno impellente di autenticità?

Nasce dalla natura umana, da domande che da sempre ci siamo posti e ci poniamo: “Chi siamo? Cosa siamo? Etc…” Il fatto è che si sta rischiando di perdere noi stessi, la nostra singolarità e totalità. Noi cerchiamo di essere ed emulare altro, altri. Ricercarci nelle identità degli altri. Questo è dettato dalla noia, dall’infelicità di fondo e dalla spasmodica ricerca della felicità. Certo si cresce per processi imitativi, ma bisogna poi imbarcarsi da soli verso il nostro viaggio. Leggere, studiare, dedicarsi tempo al di fuori della cappa dei media: parliamo con i librai. Con il barista mentre prendiamo il caffè.

Non affoghiamo mai la volontà di cercare e di ricercare. Non perdiamo mai il gusto di sfogliare un libro, di leggerne un distico per sapere se ci piace. Approfondiamo prima di rispondere e ascoltiamo prima di parlare. Impariamo a sentire e sentirci. Siamo ancora in tempo. Mettiamo il silenzioso al cell e incontriamoci per caso. Come se fosse il primo passo verso le parole che ancora non abbiamo detto e che ancora non abbiamo sentito.

In “Ciò che è rimasto” prosa poetica e dialetto napoletano si mescolano creando un risultato inusuale e armonioso: perché la scelta del dialetto?

Mi viene spesso posta questa domanda e mi piace rispondere sempre: 

Credo sicuramente che esista un’eredità culturale, sociale e fisica. Ma credo, anche e soprattutto, un’eredità spirituale, dell’anima. Napoli rappresenta la ricchezza multiculturale e multiculturale, esoterica ed essoterica, che solo chi nasce e cresce in questo variegato di sentimenti, rocce incandescenti e acqua possa ereditare. Io ragiono, penso, parlo e interagisco in napoletano. È un principio. La mia grande ricchezza, però, è conoscere due lingue meravigliose che mi permettono di “fare arte” e attraversarla proprio grazie all’uso della parola, della lingua: italiano e napoletano. Non c’è differenza, c’è solo la grandezza di poter usare questo mio filtro corporeo di carne e arti per creare, dire, fare, proprio grazie alle parole. Nelle parole.

Qual è l’urgenza comunicativa per cui è nata l’opera?

È una storia a sé, che vorrebbe rappresentare la somma (o la differenza, sigh!) di tutto ciò che è stato, compresi i miei quattro libri pubblicati in precedenza. Nella vita ci sono, nel turbinio quotidiano, le cose che agogniamo, speriamo e cerchiamo di costruire e poi ci sono le cose che accadono: l’arte accade. Questa raccolta è accaduta! 

Qual è stato il percorso formativo e creativo che ti ha portato fino a qui? 

Una formazione pragmatica, empirica. Vivere l’arte e la scrittura attraverso questo mio filtro di carne e spirito. Subire le parole e trasferirle su carta. Morire per rinascere in ogni verso.

Hai già altri progetti editoriali in uscita?

Sviscerare le poesie. Sventrarle. Estendere la sintassi e raccontare storie (brevi o lunghe che siano). Vorrei esprimere ciò che accade dentro me poco prima di scrivere una poesia. Raccontarne l’esperienza. Il quotidiano contradditorio e sconosciuto. 

 

Farai delle presentazioni dell’opera? Se sì, dove?

Ovunque mi chiamino. Amo molto gli eventi in presenza. Speriamo aumentino.

 


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