Nasceva oggi Svevo

Nasceva oggi Italo Svevo

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Il 19 dicembre di più di 160 anni fa, a Trieste, nasceva Italo Svevo, uno dei più popolari scrittori e drammaturgi italiani dell’era contemporanea. Ricordato per la sua opera più grande, ossia La coscienza di Zeno, si può definire come uno dei primi autori che hanno contribuito alla nascita del romanzo contemporaneo a cui siamo oggi “abituati”.

 

Svevo

Fonte: Corriere.it

 

Una vita fatta di contraddizioni

Nacque a Trieste il 19 dicembre del 1861, molti mesi dopo l’Unità d’Italia, ma all’epoca la città friulana non era affatto parte del neonato regno savoiardo, bensì si trovava entro i confini dell’Impero Austro-Ungarico, meglio conosciuto come Impero Asburgico.

Il suo nome reale, comunque, non era quello a cui siamo abituati, perché all’anagrafe Svevo era Aron Hector Schmitz; in ogni caso, oltre che per il suo nome d’arte era conosciuto semplicemente come Ettore Schmitz. Il suo pseudonimo si pensa sia nato dalle contraddizioni che costernavano la sua vita.

Infatti, Italo stava a indicare la sua origine (per metà) italiana, mentre Svevo designava la sua parte germanica; in più, aveva origini ebraiche. Per non farci mancare nulla, la sua città natale, Trieste, era sì un importante centro culturale per l’epoca, ma soprattutto era prevalentemente abitata da italiani pur trovandosi sotto l’egemonia asburgica.

Comunque, le contraddizioni non terminavano con le sue origini e con la sua terra natìa: esse si trovavano anche nella sua “vita quotidiana”, se così vogliamo chiamarla. È importante sottolineare, infatti, che Svevo non nasce come scrittore, bensì come banchiere e uomo dedito agli affari. La sua passione per la letteratura arriverà col passare degli anni.

Svevo, comunque, non visse la sua biculturalità in maniera conflittuale o dolorosa, anzi: il suo stesso pseudonimo vuole sottolineare questa sua peculiarità, che comunque non è da collegare alle sole origini, ma anche al tipo di educazione che egli ricevette.

Da impiegato a scrittore, pur passando “in sordina”

Per ragioni economiche (Nel 1880 l’azienda del padre fallì e di conseguenza venne a mancare la stabilità economica) Svevo dovette lavorare come impiegato nella filiale cittadina della Banca Union di Vienna. E nonostante il disprezzo verso questo tipo di lavoro, vi lavorò per ben 18 anni.

Nello stesso periodo, tuttavia, cominciò a frequentare la biblioteca cittadina e a leggere i classici italiani e i naturalisti francesi. Inoltre, iniziò a collaborare con la rivista L’indipendente, per la quale scrisse recensioni e saggi e dove pubblicò i suoi primi raccontiUna lotta (1888) e L’assassinio di via Belpoggio (1890).

Successivamente, Svevo cominciò a pubblicare romanzi veri e propri, ma il successo non arrivò nell’immediato come ci si dovrebbe aspettare da uno scrittore “di buon livello” che si rispetti. Le opere pubblicate sono state tre, e sono, in ordine cronologico:

Una vita (1892)

Opera nel quale si narrano le tumultuose vicende del protagonista Alfonso Nitti, intellettuale con aspirazioni letterarie che cerca “fortuna e affermazione” trasferendosi a Trieste, ma senza riuscirci. Un impiego avvilente, una serie di avvenimenti e di azioni compiute dallo stesso Alfonso e una situazione sempre più drammatica lo porteranno a togliersi la vita e, dunque, il peso della sua inettitudine. L’opera, tuttavia, non viene notata né dalla critica né dal pubblico.

Senilità (1898)

Ad oggi si può dire che sia la seconda delle sue pubblicazioni più conosciute, ma che all’epoca fu ignorato quanto il suo primo lavoro, tanto che l’autore arrivò ad abbandonare quasi del tutto la scrittura. Questo romanzo vede come protagonista l’impiegato Emilio Brentani, che vive con sua sorella Amalia in un piccolo appartamento a Trieste.

Un giorno, egli incontra e conosce tale Angiolina Zarri, di cui si innamora. Tuttavia, il loro rapporto si rivela essere assai “burrascoso”: Angiolina, infatti, si dimostra fin da subito una donna opportunista e infedele, attratta da diversi uomini tra i quali lo scultore Stefano Balli, amico di Emilio, che nel frattempo è al centro degli interessi di Amalia.

Questa “catena distruttiva” è all’origine delle successive vicende: Emilio interrompe la relazione con Angiolina (pur non smettendo di amarla), la quale costringe Stefano ad allontanarsi dai due fratelli, in particolare da Amalia, che per questo motivo si toglie la vita. Qualche tempo dopo, Emilio scoprirà che Angiolina è scappata a Vienna con un banchiere e da quel momento comincerà a vivere nel rimorso e ricordando le donne amate.

La coscienza di Zeno (1923)

Titolo che possiamo definire opera di maggior successo di Italo Svevo, concepito dopo oltre vent’anni dall’ultima pubblicazione, durante i quali si è limitato a comporre qualche pagina teatrale. Questo romanzo è stato sicuramente il prodotto dei numerosi incoraggiamenti da parte dello scrittore irlandese James Joyce, ma che ha rischiato di passare “in sordina” se non fosse stato proprio per quest’ultimo che lo propose ad alcuni intellettuali francesi. E non solo: l’opera arrivò anche ad Eugenio Montale che ne affermò la grandezza.

Il romanzo vede come protagonista Zeno Cosini, un triestino benestante che si sottopone ad una cura psicanalitica, nella quale il medico gli impone di mettere la sua vita per iscritto. Così, negli otto capitoli del libro, Zeno ne racconta vari episodi, che però non seguono un ordine cronologico. Il suo tentativo di smettere di fumare, che arriva a diventare la sua ossessione, la morte del padre, il matrimonio, il suo rapporto extraconiugale con tale Carla Gerco e l’associazione commerciale aperta col cognato.

Il finale rivela, tuttavia, che Zeno interromperà la terapia in quanto crede che le malattie siano convinzioni dell’essere umano, dalle quali si può guarire solo con la persuasione della salute, convincendosi, in sostanza, di essere guariti. Questo pensiero lo porterà, comunque, a diventare un uomo di successo.

 

Svevo

Fonte: Corriere.it

 

Un quarto romanzo “mai arrivato”

Dopo il successo de La coscienza di Zeno (e di conseguenza delle sue due opere precedenti, in particolare di Senilità), Svevo stava lavorando a un quarto romanzo, che sarebbe dovuto diventare una sorta di sequel del precedente. Il suo nome sarebbe stato Le confessioni di un vegliardo, o Il Vecchione.

Purtroppo, Svevo lasciò incompiuto questo romanzo poiché morì il 13 settembre 1928 per via di un incidente in automobile avvenuto il giorno prima a Motta di Livenza (in provincia di Treviso), per il quale sembrava non aver riportato ferite gravi. Infatti, fu stroncato dall’asma cardiaco sopraggiunto per via di un enfisema polmonare di cui soffriva da tempo.

Curiosità

I primi due racconti conosciuti come Una lottaL’assassinio di via Belpoggio furono pubblicati con un precedente pseudonimo, ossia Ettore Samigli.

Tutti e tre i romanzi cercano di raccontare l’inettitudine dell’uomo contemporaneo, l’incapacità che esso ha di affrontare la vita tanto da ingannarsi da solo mascherando le proprie sconfitte con diversi atteggiamenti psicologici che, però, si rivelano fallimentari. Nonostante ciò, se le prime due opere finiscono “in tragedia”, ne La coscienza di Zeno il protagonista si convincerà di essere guarito, abbandonerà la terapia e diventerà un uomo di successo.

Circa il romanzo La coscienza di Zeno, la prefazione è costituita da alcune righe scritte e firmate dal Dottor S, lo psicanalista che aveva in cura il protagonista. A quanto pare, il dottore si è vendicato del suo paziente poiché quest’ultimo ha abbandonato la cura, ferendo dunque il suo orgoglio professionale.

Il quarto romanzo, Il Vecchione / Le confessioni di un vegliardo, che sarebbe dovuto essere una sorta di “continuazione” del precedente, avrebbe dovuto parlare di una vecchiaia senza riguardi. Di esso sono stati pubblicati, postumi, soltanto la prefazione e quattro capitoli.


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