Zeno, primo e ultimo uomo libero

Fonte immagini: per l'immagine di testa, dettaglio dell'edizione di Primiceri Editore, illustrazione di Ivano Zoni © 2021 PE. Per la copertina all'interno dell'articolo, © 1923 (copyright scaduto) Cappelli Editore 

La coscienza di Zeno, di cui quest’anno ricorre il centenario della stesura centrale (è stato iniziato nel 1919 e terminato nel 1922), è uno di quei libri che solitamente ti obbligano a leggere a scuola. Ecco, dovrebbero vietarlo: per ovvi motivi, in genere tutto quello che si è obbligati a fare a scuola si finisce per odiarlo, e non dovrebbe essere questo il destino di un libro simile. Potrei dire che questo è un libro che bisogna amare, ma no: farei la stessa cosa che fanno a scuola. Potrei allora semplicemente dire di leggerlo, ma, ehi, non è sempre un obbligo?

Mi limiterò pertanto a parlarne. A voi decidere se esso potrà prima o dopo entrare a far parte dell’empireo delle vostre letture.

Zeno

L’ossessione di Zeno Cosini

Per prima cosa, mettetevi in testa che fumare è un gran brutto vizio (e fa anche male). Questa cosa Zeno Cosini, il protagonista de La coscienza di Zeno, l’ha capita molto bene. Talmente tanto che smettere di fumare è la sua ossessione, la sua missione. Ci crede talmente tanto che continuerà a provarci per tutta la vita.

Partendo da tale nobile intento, il romanzo si presenta come se fosse la sua confessione, interamente scritto sotto forma di monologo interiore: si tratta della stesura del suo pensiero, mentre rimembra e quindi racconta la sua vita. Non lo fa seguendo il mood del pensiero, ma utilizzando un preciso e raffinato stile descrittorio, perché il testo che sta vergando è destinato a lettura: si tratta infatti di una sorta di diario, scritto per qualcuno che ha chiesto di entrare nella sua psiche (e anche per sé stesso, che così facendo dovrebbe lasciarla emergere).

L’inadeguatezza del personaggio

Zeno è infatti un uomo con dei problemi: ricco commerciante e investitore di una Trieste prebellica (Prima guerra mondiale), proveniente da una famiglia ricca a sua volta: un uomo che vive nell’ozio praticamente intossicato dal fumo (le sue giornate finiscono con l’essere piene di sigarette e di propositi di non fumare più: la sigla US, ultima sigaretta, appare di continuo nel romanzo). Ha nutrito un rapporto conflittuale con il padre, e questo si rifletterà su ogni aspetto della sua esistenza: nell’amore, nel lavoro, nei rapporti coi familiari e amici; in tutte queste situazioni il costante senso di inadeguatezza e di inettitudine non lo abbandoneranno mai.

Zeno è uno di noi

Zeno vive ed interpreta tutte queste cose come i sintomi di una malattia di cui percepisce il peso e che non riesce a individuare. Egli vuole guarire, lo desidera ardentemente, e ciò è alla base dei suoi continui tentativi che nel migliore dei casi si rivelano semplicemente inutili quanto assurdi, e spesso addirittura controproducenti. Questi, però, attenzione, non sono poi altro che i molti errori che chiunque di noi compie nel corso nella propria esistenza. Zeno non è un caso particolare, bensì è uno di noi. Con i suoi problemi, con i suoi pensieri, con le sue enormi debolezze. Solo, ecco, Zeno ci pensa un po’ troppo. Questo può naturalmente avere persino dei risvolti positivi: egli sa molto di sé, riconosce le menzogne altrui, è un acuto osservatore.

La sua visione delle cose è estremamente limpida. Ma la continua riflessione su se stesso si ingarbuglia talmente tanto da rendere di fatto impossibile l’azione. Ecco quindi che non gli resta che desiderare, ambire senza poter raggiungere, spesso invidiare. Egli desidera essere sano (come non sente di essere) e desidera essere serio (come la società lo vuole), ma al contempo per le stesse identiche cause non gli è possibile non essere infermo e goffo: ecco la sua malattia. La sua prigione.

Sviluppa tutte le caratteristiche di una persona abituata a vivere solo di desiderio, di cose potenzialmente reali ma mai tali. Di una persona frustrata. È quindi cinico, isolato, all’occasione opportunista, depresso senza averne motivo e senza più nulla che lo renda effettivamente entusiasta. È talmente tanto autoprotettivo da sapere alla perfezione di percepire senza percepire nulla.

Inetto perché incapace di vivere serenamente

Tutta questa sua condizione però per la maggior parte della sua vita (e forse anche sul finire) egli la ignora. È dura guarire da una malattia che non si conosce. Malato e inetto: ecco come Zeno si percepisce. E almeno su quest’ultima cosa ha ragione: Zeno è un inetto (come tutti i protagonisti dei romanzi dell’autore), è proprio la perfetta personificazione dell’inettitudine.

Inetto nel senso che è praticamente inadatto a vivere: questo perché incapace di rischiare e di mettersi in gioco, di esprimere i suoi veri desideri e pertanto costretto a rinunciarvi. È così perché la vita borghese gli dice, gli impone!, in continuazione cosa dovrebbe o non dovrebbe fare, come dovrebbe comportarsi, quale sia la scelta più giusta (vivendo spesso di scelte contraddittorie e improduttive). Vita nel mondo borghese in confronto al quale, pur facendone parte, si sente a perennemente a disagio, tanto da provare un profondo, continuo e angosciante senso d’inferiorità. L’inettitudine è, quindi, in tal senso, l’incapacità di vivere serenamente.

La malattia invisibile

Questo suo sentirsi continuamente malato senza saper per cosa genera in lui, oltre al complesso di inferiorità, una profonda ipocondria, talmente grave da sfociare inoltre in problemi psicosomatici. E più i medici gli riferiscono che non ha assolutamente nulla (sebbene in seguito, all’incontro con il suo amico d’infanzia Tullio, zoppo, egli stesso accusi di zoppicare di tanto in tanto. Questa imitazione del tutto involontaria è sottolineata dal fatto che nel momento in cui Zeno rincontra Tullio al bar, avendo questo ordinato una spremuta, la ordini involontariamente a sua volta, sebbene gli sia del tutto insopportabile), perlomeno nulla che possa essere sanitariamente visto, più lui si macera.

E in più c’è il fumo, appunto: maledetto vizio che pur odiandolo con tutto il cuore non riesce proprio a smettere (e che pertanto gli sottolinea la sua inettitudine). È per questo che infine, ormai anziano, almeno per gli standard dell’epoca (Zeno ha 57 anni quando decide di tentare la psicanalisi), decide di rivolgersi al famoso dottor S., psicanalista di fama. Sarà lui a invitarlo a scrivere un’autobiografia nella quale riporti i suoi guai, la ricostruzione dei suoi ricordi, e dei suoi malesseri alla ricerca degli eventi scatenanti degli stessi.

Il narratore inattendibile

Il diario non segue un preciso ordine cronologico (almeno fino ad un certo punto, e anche qui comunque lo fa casualmente), bensì filologico: sono gli argomenti di cui intende parlare a determinare, volta dopo volta, il cuore del capitolo (e contemporaneamente a permetterci di entrare sempre più nella psiche del personaggio). Lo svolgersi della storia si articola invece sul seguire delle analogie tra gli stessi.

Ma attenzione: Zeno è un “narratore inattendibile”. Nel tentativo di apparire migliore di quanto non sia agli occhi del dottor S. (e probabilmente ai suoi), distorce i fatti e altera continuamente gli eventi e pertanto la possibilità di giudizio degli stessi (persino la propria). La terapia, infatti, si rivelerà del tutto inefficace in quanto tale. Nonostante ciò, tuttavia, Zeno dopo un certo periodo si convince di essere guarito e decide di interromperla.

Nello specifico, a un certo punto (siamo ormai nel 1915) Zeno interrompe la terapia affermando di non crederci e che probabilmente non può più guarire. Ciò perché con essa sarebbe nato, e inoltre perché tale malattia sarebbe una convinzione dell’uomo e pertanto per guarire non necessiterebbe di cure ma della persuasione della salute. È il segno evidente che qualcosa è cambiato, e che la guarigione per lui sta realmente arrivando.

Il malessere di Zeno è il malessere della società

Durante la Prima guerra mondiale Zeno si arricchisce ulteriormente grazie al commercio di armi. Il renderlo un uomo di successo accresce la sua autostima e la visione di se stesso all’interno della società in cui si sente in dovere di esistere (e della quale comunque non fa direttamente parte), e con tale crescita si smonta la visione della sua inettitudine: Zeno ora è uno di loro, è come loro. Forse meglio di loro. Meglio perché finalmente ha compreso quale sia il suo male: “La vita attuale è inquinata alle radici“, afferma.

La sua malattia è un male che affligge tutta la società e non solo lui, con la differenza che lui ne è consapevole: ciò, curiosamente, fa di Zeno una di quelle persone in grado di elevarsi (Zeno Cosini è l’unico dei personaggi dei romanzi di Italo Svevo che riesce a guarire dalla sua inettitudine), mentre tutti gli altri sono fermi, immobili, congelati nell’accettazione del ruolo che la società ha ritagliato loro. Rendersene conto (e quindi soffrirne, come ha fatto per tutta la sua vita) è il primo segno di guarigione, e non di malattia come aveva sempre pensato. Tuttavia, se per lui di guarigione si può parlare, non lo stesso si può affermare della società umana: essa è ammalata così in profondità che nessuna medicina la potrà più guarire.

Prevale infatti, in questa opera, oltre al monologo interiore del protagonista, la vita emotiva dell’autore stesso, sottolineando contraddizioni che descrivono un generale malessere della società del primo Novecento. È Svevo stesso che qui cerca di liberarsi di un proprio malessere, tentativo più volte dallo stesso purtroppo dichiarato fallimentare.

Il disagio ci spinge a metterci in discussione

Il fatto che Zeno diventi ricco e si affermi nel commercio delle armi chiarisce che in un mondo malato come il nostro la guarigione può avvenire solo attraverso la sopraffazione degli altri: in una realtà in cui tutti cercano sopraffazione solo sopraffare di più può rendere liberi. È una visione arrivista, della quale il protagonista non si compiace ma della quale comunque prende coscienza. Ed è in tale coscienza che arriva a comprendere il male profondo del mondo; ed è in tale consapevolezza che egli arriva finalmente a sentirsi libero, tanto da affermare finalmente le variazioni di verità che egli ha riportato nei suoi precedenti scritti.

Il male dell’uomo è egli stesso

Ora è talmente forte e sincero da poter riconoscere di non esser stato nessuna delle due cose in precedenza. Ciò tuttavia, attenzione, non lo rende meschino: al contrario, lo rende pienamente conscio del fatto che è il disagio a spingerci a metterci in discussione (“non si può cambiare il cosa viviamo, ma solo il come”), e che questa visione del mondo (quella dell’uomo) è talmente tanto sbagliata da essere essa stessa la malattia di cui tutta l’umanità soffre, e Zeno finalmente si bea del fatto che questa malattia sarà un giorno la cura stessa.

In una conclusione incredibilmente moderna e apocalittica (tanto da far pensare a una visione da scrittore di fantascienza), Zeno e l’autore percepiscono che il male prima o poi finirà, e ciò li fa stare automaticamente meglio. In tale visione egli riesce a percepire la guerra (e quello che lui stesso fa) come una cosa buona perché prima o poi proprio un evento così catastrofico riuscirà a eliminare una volta per tutte dal mondo la malattia: l’uomo e il suo arrivismo.

Lo scopo dell’autore

L’intenzione di Svevo era chiaramente quella di spingerci a riflettere su noi stessi e i nostri limiti, sia come persone che come società umana. Spesso presentato come romanzo psicoanalitico, del quale genere è il primo e più autorevole esempio, sarebbe meglio dire che è più probabilmente un romanzo di autopsicanalisi mascherato da romanzo di formazione.

Zeno è il primo uomo a rendersi conto di cosa sia il mal di vivere. Ciò fa di lui anche l’ultimo vero uomo libero.