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Entrato ormai da tempo stabilmente nelle liste di tutto il mondo che elencano i migliori film del 21° secolo, Mulholland Drive non smette di incuriosire e affascinare il pubblico, anche a più di vent’anni dalla sua uscita (nel 2001). Lo storico capolavoro di David Lynch, rinomato per racchiudere in sé quella complessità che è tipica di tutta la filmografia del regista, rappresenta un’esperienza intensa che va sicuramente al di là della mera ricerca di una spiegazione della trama o di una ricostruzione temporale degli eventi.
D’altronde Lynch si è sempre rifiutato di fornire delle delucidazioni a proposito delle storie narrate nei suoi film, amante quale è delle ambiguità preferisce che siano gli spettatori stessi ad interpretare i significati delle sue creazioni. Nonostante questa ’’chiusura” da parte del regista, il mondo della critica pullula di interpretazioni e commenti, elaborati nel corso degli anni, in cui lecitamente si cerca di analizzare e spiegare la trama di “Mulholland Drive” al fine di restituire una razionalità a ciò che per molti appare ancora oggi fitto di mistero.
Tre dimensioni, tre piani narrativi
Quasi tutte le varie letture critiche che cercano di estrapolare un messaggio, ipoteticamente celato nell’intreccio di Mulholland Drive, vertono su una concezione secondo cui il film si svilupperebbe su diversi piani narrativi, che coincidono con le tre dimensioni di realtà, sogno e sonno profondo.
Questo perché risulta indiscutibilmente affascinante l’idea che la protagonista, Diane Selwyn (Naomi Watts), abbia inconsapevolmente capovolto, attraverso lo “strumento” onirico, ciò che è reale. Così facendo infatti i ruoli e le situazioni che nel mondo tangibile vanno a suo discapito, rendendola frustrata e delusa dalla vita, vengono nel suo sogno ribaltati.
Diane in questo modo ha la duplice possibilità di redimersi – dai sensi di colpa provati per aver fatto assassinare la sua amata Camilla Rhodes, interpretata da Laura Harring – e di vendicarsi – di coloro che sono ritenuti colpevoli della sua sofferenza. Ad esempio il regista Adam- .
In sogno quindi la ragazza rigenera i suoi ricordi secondo il proprio punto di vista e, come accade solitamente, gli elementi reali vengono deformati al fine di ottenere una sorta di risarcimento per la propria insoddisfazione.
L’idealizzazione di una realtà deludente
Nel sogno di Diane siamo messi di fronte ad una realtà ricreata dal suo inconscio. Qui lei diventa Betty, la parte di sé idealizzata.
Pulita, pura e generosa, non farebbe del male ad essere vivente e, anzi, addirittura si mostra disponibile nell’aiutare la donna misteriosa (che dice di chiamarsi Rita, ma ha le sembianze di Camilla) anche dopo aver appreso da una telefonata con sua zia che ella non è un’ospite né un’amica di famiglia.
Betty è una ragazza allegra, solare, bellissima, piena di aspettative e non ancora corrotta dagli spietati meccanismi dell’industria hollywoodiana. Arriva dal Canada immaginando che ad attenderla ci sia una carriera promettente, con una fila di registi e produttori entusiasti della sua bravura. E così comprendiamo che in origine c’era una Diane con grandi speranze per il suo futuro, speranze che poi sono state distrutte in modo indiretto anche da Camilla, la quale per la sua avvenenza viene preferita per il ruolo principale in un film, oscurando la bravura della nuova arrivata.
L’ottimismo di Betty/Diane traspare dai suoi gesti, dalle sue movenze aggraziate, dai suoi occhi pieni di luce. Suggestiva è una scena in cui la ragazza si reca a fare un provino (che, non a caso, sarà sbalorditivo) e nel primo piano che inquadra il suo viso, ripreso da dietro il finestrino del taxi, risalta il suo sguardo trasognato che ci sembra quasi scorrere al rallentatore sullo schermo, con l’etereo sottofondo musicale di Angelo Badalamenti che fa da contrappunto alle immagini e preannuncia tristezza, rimpianto, rabbia per ciò che sappiamo sarà la sorte della protagonista nel mondo reale.
Un thriller contaminato di horror
Se la trama di “Mulholland Drive” fosse estrapolata dalla sua cornice lynchiana e ripulita da tutti quegli elementi non strettamente funzionali allo svolgimento dei fatti, sarebbe più o meno una lineare crime story che si conclude con un plot twist, essendo la stessa Betty/Diane la colpevole del delitto.
Ma peculiarità del film non è tanto la storia, quanto il modo in cui questa è rappresentata. Quello che generalmente potremmo definire come un thriller, infatti contiene in sé elementi non decifrabili, anche quando ci sembrano lineari.
Nell’idillio del sogno di Diane ci sono numerose incursioni, che provengono dalle profondità della sua mente: situazioni e personaggi oscuri che non possono essere elaborati razionalmente poiché probabilmente sono stati “creati” durante la fase del cosiddetto sonno profondo, al livello del subconscio. Ma sembrano essere persone onniscienti, senza che noi sappiamo il perché (non lo sapremo mai), e questo ci lascia un costante sentimento di terrore durante la visione.
Parliamo ad esempio della coppia di anziani che accompagnano Betty all’aeroporto e subito dopo se ne vanno ridendo in maniera demoniaca; ci sono poi il cowboy, il barbone oppure l’uomo dietro il vetro.
Ci sono alcuni momenti in cui anche l’impossibile si manifesta davanti ai nostri occhi. Emblematica è la scena in cui due uomini si trovano da Winkie’s per fare colazione, mentre uno dei due è visibilmente scosso e racconta di aver fatto un incubo terribile in cui, sul retro dello stesso ristorante in cui si trovano, c’è qualcuno che per qualche motivo gli provoca una “orribile sensazione”. Ed è così che dice all’altro uomo: “Tra tante persone c’è lei in piedi laggiù…E ha paura. Io mi spavento ancora di più quando vedo che lei ha paura e poi capisco di che si tratta… C’è un uomo nel cortile qui sul retro…”.
Per noi spettatori il dialogo tra i due personaggi non ha un minimo senso, eppure c’è la tensione; una sensazione che sale fino al culmine, quando i due personaggi svoltano il vicolo e l’incubo si realizza: un barbone dall’aspetto mostruoso spunta all’improvviso, facendo svenire l’uomo all’istante.
Il terrore diventa quindi jumpscare e arriva fino all’horror vero e proprio quando ad esempio, nel sogno di Diane, Betty e Rita entrano nell’appartamento di una presunta ‘Diane Selwyn’ e scoprono il cadavere della donna in decomposizione (come si capirà più avanti, la donna raggomitolata sul letto è la stessa Diane che nella realtà è ancora viva ma evidentemente si è lasciata andare ad un deterioramento mentale e fisico.)
Una storia d’amore, d’ira e di vendetta
Al centro dell’intricata concatenazione di eventi, reali o non reali, c’è la chiave di tutto il racconto: una storia d’amore che si conclude in maniera tragica.
Quando Betty e Rita tornano a casa, dopo la tremenda scoperta del cadavere, sconvolte decidono di dormire insieme e, inaspettatamente, scoprono di essere attratte l’una dall’altra.
Le due donne consumano un rapporto intimo, in una delle scene d’amore più toccanti di tutta la storia del cinema. Mentre le note del brano “Mulholland Drive/Love theme” (dalla soundtrack di Badalamenti) si intensificano sempre più, le due donne entrano in una profonda connessione, e Betty si lascia andare a tal punto da ripetere più volte “Mi sono innamorata di te”. Poco più avanti, quando scopriremo la realtà dei fatti, tristemente ci renderemo conto che è soltanto nei sogni che la protagonista è riuscita a confessare senza freni i suoi sentimenti per Camilla.
Fonte: Cinematographe.it
Nella realtà infatti Diane è tutta un’altra persona. Con una Naomi Watts che mostra un’estrema duttilità, capace di incarnare in modo credibilissimo qualsiasi personalità (tra l’altro questo è il film che l’ha resa famosa), ci viene mostrata una donna ostile, frustrata, in preda alla rabbia e al rancore, per essere stata presa in giro e tradita dalla sua amante.
Vediamo l’ira montare negli occhi di Diane quando viene costretta da Camilla ad assistere ad un bacio appassionato tra lei e il regista Adam.
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Oppure quando subisce il duplice shock, durante la festa in piscina, della notizia del fidanzamento tra il regista e la sua amata, insieme al bacio spudorato di quest’ultima con un’altra ragazza.
È per questo forte risentimento che Diane decide infine di assoldare un killer per far uccidere Camilla (testimone del loro incontro da Winkie’s sarà proprio l’uomo dell’incubo iniziale, che in quel momento si trovava alla cassa.) L’assassino mostra una chiave blu, simile a quella che all’inizio del sogno Rita trova nella sua borsa: quando la rivedrà vorrà dire che il lavoro è andato a buon fine. Nella scena conclusiva dell’intero film Diane, al risveglio da un altro sonno tormentato, trova in casa sua la suddetta chiave. Camilla è morta.
La donna presa dai sensi di colpa, in preda al delirio più totale ha delle allucinazioni in cui appaiono di nuovo i due anziani indemoniati; questi iniziano ad inseguirla, gridando, e a sua volta Diane urla e cerca di scappare. In un impeto di terrore e confusione la ragazza afferra una pistola e si spara alla testa. Alla fine di tutto, non ci è dato sapere quali siano tutti i messaggi nascosti all’interno della storia (ammesso che ce ne siano davvero alcuni). “Mulholland Drive” resta un labirinto inestricabile ma incredibilmente affascinante.
“No Hay Banda!”
La scena che forse più di tutte simbolizza il concetto centrale del film è quella del Club Silencio. Il teatro rappresenta il luogo in cui Betty (Diane) viene costretta al confronto diretto con la realtà che ormai irrompe crudele nella sua immaginazione. La protagonista ormai non può più evitare i suoi fantasmi, in quel momento infatti compare la scatola blu che la risucchierà verso la dimensione reale.
“No hay banda! È tutto registrato!” ci avverte il mago; quindi è tutto finto, ma ci rendiamo conto che siamo stati manipolati fin dall’inizio del film, così come Betty e Rita cederanno poco dopo all’emotività, piangendo durante la coinvolgente esibizione della cantante, senza sapere che invece si tratta di un playback. Si tratta dell’ennesimo enigma, l’ennesimo elemento perturbante.
Così quando il finale sfuma nelle ultime visioni di Diane, per un’ultima volta accompagnate dalla suggestiva colonna sonora, siamo lasciati ad una sensazione di grandezza e ad un misto di emozioni indescrivibili.
È pur vero però che in certi casi le opere d’arte vanno semplicemente contemplate e godute per come si presentano, con i loro lati nascosti e i loro elementi indecifrabili. A questo proposito, una citazione dello stesso Lynch diceva
“L’opera d’arte deve bastare a se stessa. Quello che voglio dire è che sono stati scritti tantissimi capolavori della letteratura, gli autori sono ormai morti e sepolti e non puoi tirarli fuori dalla fossa. Hai il libro però, e un libro può farti sognare e riflettere.”
Laureata in Archeologia, Storia delle Arti e Scienze del Patrimonio Culturale alla Federico II di Napoli. All’età di 5 anni volevo fare la “scrittrice”, mentre adesso non so cosa di preciso mi riserverà il futuro. Ma una cosa certa è che la scrittura risulta essere ancora una delle mie attività preferite, una delle poche che mi aiuta di tanto in tanto ad evadere dal mondo.