Cabinet of Curiosities, su Netflix già dallo scorso 25 ottobre, è una serie antologica di genere horror ideata e prodotta da Guillermo del Toro. Il gabinetto delle curiosità è sostanzialmente una forma di collezionismo, una stanza o un baule magico che al suo interno contiene le più grottesche e stravaganti meraviglie. In più racchiude una lista di grandi nomi, di registi che ci restituiscono la loro visione orrifica della realtà e che spaziano tra svariati temi: da Jennifer Kent a Panos Cosmatos, da Catherine Hardwicke a Crispin Glover.
Gli Otto racconti horror
il regista ha curato una collezione di storie senza precedenti che definiscono un intero genere sfidando l’idea tradizionale di horror. Questi otto racconti narrano storie originalissime e senza precedenti, con un’aura tra macabro, magico e gotico. Pochi sono i jump scare – mentre molti di più sono gli elementi splatter – tutti funzionali alle atmosfere spaventose e inquietanti che sono elaborate soprattutto da un punto di vista visivo.
Evitando gli spoiler, si parte da un reduce, razzista e di idee politiche di destra, che acquista un deposito occultante una strana sorpresa demoniaca (nel primo episodio, Lot 36); si passa ad un dottore malato di cancro, alle prese con un parassita che prende il possesso di organismi umani (nel terzo, The Autopsy). Si chiude infine con la storia di una coppia che cerca di metabolizzare il dolore per la perdita di una figlia (The Murmuring).
Con un cast che vanta la presenza, tra gli altri di Andrew Lincoln (il “Rick” di The Walking Dead) e Rupert Grint (il “Ron” di Harry Potter), Cabinet of Curiosities è dichiaratamente ispirato ai capolavori di Edgar Allan Poe e soprattutto di Howard Phillip Lovercraft, in particolare al romanzo celebre Alle montagne della follia: il regista messicano ha infatti dichiarato di non aver perso le speranze, confidando nella partnership con Netflix per avverare il sogno della sua vita realizzandone un adattamento.
Lo spettacolo visivo, la sceneggiatura da migliorare
Visivamente l’opera di Del Toro è oggettivamente uno spettacolo per gli occhi. Gli ambienti curati minuziosamente, i colori cupi ma vivi al tempo stesso, le creature mostruose che sembrano reali – realizzate attraverso un’efficace commistione di CGI ed effetti speciali artigianali-, tutto è senza dubbio una meraviglia. Altrettanto bene non si può parlare però della sceneggiatura, che a tratti risulta un po’ prevedibile e banale (a seconda degli episodi). L’episodio forse più riuscito ed emozionante è proprio l’ultimo, diretto da Jennifer Kent – autrice di Babadook – che con Il brusio mette in scena una storia particolarmente affine alla sua filmografia che parla di lutto e fantasmi del passato.
Comunque sia, anche nei suoi episodi meno riusciti, Cabinet of Curiosities rappresenta un nuovo modello da seguire per la produzione seriale horror, in un nuovo connubio tra antico e moderno, tra orrore visivo e psicologia umana. Speriamo sia solo l’inizio di una nuova catena di produzioni sempre più coinvolgenti!
Laureata in Archeologia, Storia delle Arti e Scienze del Patrimonio Culturale alla Federico II di Napoli. All’età di 5 anni volevo fare la “scrittrice”, mentre adesso non so cosa di preciso mi riserverà il futuro. Ma una cosa certa è che la scrittura risulta essere ancora una delle mie attività preferite, una delle poche che mi aiuta di tanto in tanto ad evadere dal mondo.