"La Zona d'Interesse", spiegazione del film

“La Zona d’Interesse”, spiegazione del film

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Per spiegare “La Zona d’interesse” di Jonathan Glazer, vincitore del premio Oscar come Miglior Film Internazionale, partiremo dalla fine: alcune scene in flashforward ci mostrano degli addetti alle pulizie intenti a pulire gli interni del museo di Auschwitz, il silenzio solenne che aleggia nei grandi spazi vuoti, le grandi teche dove i vestiti, le scarpe e gli scarsi averi delle vittime si accumulano in montagne erose dal tempo. È sempre un pugno allo stomaco vedere quelle immagini, eppure c’è sempre di fondo la sensazione che crediamo soltanto a ciò che vediamo.

Il film, il cui soggetto è basato parzialmente sull’omonimo romanzo di Martin Amis, ci mostra la vita di una famiglia realmente esistita cioè quella del Generale Rudolf Höss, primo comandante del campo di concentramento di Auschwitz, che vive con sua moglie Hedwig e i loro cinque figli in un villino con tanto di ampio giardino e piscina. Ciò che non ci viene mai mostrato, invece, è che dietro il recinto che circonda la casa il male si dipana in tutto il suo orrore attraverso alte folate di ceneri.

Può sembrare paradossale che un film definito da Spielbergil secondo miglior film sull’Olocausto, dopo Schindler’s List” non ci permetta di vedere ciò che siamo abituati a vedere ( e che forse, con un pizzico di sadismo, qualcuno vorrebbe vedere), ma la chiave di lettura del film sta proprio in questa idea.

Glazer con uno stile registico audace ci costringe ad osservare, in una forma che ha del documentaristico, la placida vita di queste persone che scandiscono la quotidianità con una meticolosa attenzione alla casa, ai dettagli, alla pulizia e all’ordine, mostrando un’apatia totale verso ciò che accade fuori. Tutto avviene in maniera fin troppo naturale, non c’è una trama, non c’è una storia appassionante, non ci sono personaggi con i quali empatizzare né altri verso i quali rivolgere i nostri accanimenti.

I campi lunghi o lunghissimi, sugli ambienti che circoscrivono il contrasto tra la natura verdeggiante e gli spazi plumbei retrostanti, predominano sulle inquadrature della figura umana. I protagonisti interpretati da Christian Friedel e Sandra Hüller svolgono attività molto semplici e, almeno in apparenza, molto innocue come cenare insieme, annaffiare le piante, prendere il caffè, provarsi gli abiti lussuosi sottratti ai deportati. Spesso vengono ripresi di spalle, a distanza, isolandosi e isolando lo spettatore da un possibile coinvolgimento emotivo.

In un set illuminato soltanto da luce naturale, non ci sono movimenti di camera pensati ad hoc né primi piani per creare dramma. L’obiettivo della “Zona d’interesse”, infatti, è semplicemente mostrare i nazisti per quello che sono: persone noiose, ordinarie e, soprattutto, non dei mostri ma dei comuni esseri umani. Fa paura ammetterlo, è proprio questo il punto.

Fondamentale nell’impalcatura del film è sicuramente il sound design, per cui non a caso “La zona d’interesse” ha vinto anche la statuetta per il Miglior Sonoro. Se le immagini quindi non riescono a trasmettere turbamenti, questo viene fatto attraverso il paesaggio sonoro che fa da sfondo continuo e volutamente disturba il nostro subconscio. Lo stesso Jonhatan Glazer ha ammesso di aver lavorato molto di più al suono che alle immagini, registrando insieme al suo sound designer rumori e schiamazzi notturni per le strade di Berlino, isolando i suoni e mettendoli man mano in categorie.

“La zona d’interesse” è forse per molti incomprensibile perché ci dà una visione nuova sulla cinematografia e su una realtà, quella dell’Olocausto, che ci sembra di conoscere fin troppo bene. E ciò diventa scomodo perché iniziamo ad interrogarci su quanto anche noi ci “adattiamo” oggi al male, schermandoci dagli orrori pur di vivere una vita spensierata.

Ma spesso le bugie che diciamo a noi stessi trovano il modo di venire a galla, un po’ come nella scena finale del film: Höss pare sentirsi male e sta per vomitare, qual è il motivo? Secondo un’interpretazione che sembra diffusa, il Comandante, dopo la festa per la celebrazione della Soluzione Finale di Hitler ( lo sterminio sistematico di tutti gli ebrei d’Europa), si sente forse sovrastato dall’enormità del suo ruolo e forse il suo meccanico distacco dall’atroce realtà ha vacillato per un attimo. Il suo corpo svela con la nausea la verità, le ceneri delle persone che ha contribuito ad uccidere sono depositate dentro di lui. È la fine dell’autoinganno.


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