The Lighthouse, recensione del film di Robert Eggers

The Lighthouse, recensione del film di Robert Eggers

Fonte foto: IMDb 

Per gli appassionati di cinema e i cultori dell’horror, il nome di Robert Eggers è sicuramente noto come uno tra i migliori autori moderni che stanno cambiando le regole del gioco. Grazie al coraggio produttivo di una casa indipendente come la A24 e il talento creativo di una nuova generazione di registi, stiamo lentamente scoprendo delle originali storie tenebrose – tra cui The Lighthouse – che provengono direttamente dalla società in cui viviamo e dalle profondità della nostra psiche.

Eggers debuttò al Sundance Film Festival nel 2015 con “The Witch”, ottenendo il premio alla miglior regia e l’occhio attento del pubblico in cerca di novità da un genere spesso saturo di mostri, di sangue e di “jump scare”.

Se in “The Witch” si tentava di sondare i confini del Male utilizzando la Fiaba come un’inquietante strumento tra le mani delle streghe, un calderone che ribolliva ispirazione dai racconti dei fratelli Grimm, le terrificanti leggende europee e le atroci superstizioni del XIX sec., in “The Lighthouse” si analizza la Mitologia per raccontare la follia umana. Nell’horror moderno, il Male con la M maiuscola non è più la semplice manifestazione di un demone in cerca di anime, ma l’interpretazione psichica dei mali reali che affliggono questo mondo. 

La Trama

Nel film seguiamo lo sbarco di due marinai su un’isola sperduta per lavorare alla manutenzione di un faro per un mese. Il più anziano, Thomas Wake è un marinaio anziano, rozzo, ubriacone che ha il compito di istruire il giovane Ephraim Winslow, all’apparenza più riservato e sottomesso, che deve rispondere dei lavori più umili senza potersi confrontare con il suo mentore, dal cui severo giudizio dipende la sua paga.

Con il passare dei giorni, e il degenerare del clima, i due marinai iniziano a parlare e a raccontarsi storie di mare in cui aleggia l’ombra di creature inquietanti e misteriose. E se Thomas custodisce gelosamente il proprio ruolo di custode esclusivo della luce, Ephraim è deciso a scoprire quei segreti, a sovvertire le regole e a gettarle nel buio.

Il significato di The Lighthouse

The Lighthouse è senza dubbio un’opera coraggiosa, controversa, da scoprire con pazienza, che può affascinare, ma anche deludere le aspettative di chi non è cultore del genere.

Bisogna mettere da parte la razionalità, la ricerca ossessiva di una spiegazione o la semplice soddisfazione di orrori che sbucano all’improvviso nel tunnel di un lunapark. Questa è una storia da percepire sulla pelle attraverso inquietanti metafore, nel silenzio dell’isolamento, nella follia e nella rabbia animalesca dei protagonisti. Un quadro su cui sono disegnati simboli terrificanti e in cui non c’è nulla di evidente, ma pieno di riferimenti ai Miti della paura, da Lovercraft a Poe, ai film di Bergman, Polanski, Lynch; omaggiati e in parte scomposti.

Il film si pone come un vero faro che ci guida nella colta digressione della psiche umana, nella bestialità tenuta a freno dalle barriere della ragione, lasciando al pubblico la decisione se credere all’impossibile e alla superstizione, oppure dare senso all’efferatezza attraverso razionali percorsi cognitivi. 

The Lighthouse

I guardiani che sorvegliano la luce su un’isola che annega nel nulla, avvolta nella tempesta, sorvolata dai gabbiani che incarnano gli spiriti dei marinai defunti in acqua e stordita dall’urlo delle onde che stridono come la voce di una sirena, sono dannati che scontano le proprie colpe tenute sepolte nell’animo.

William Defoe e Robert Pattinson ci regalano un grande confronto. Maestro e discepolo si scontrano, si confidano, si odiano, si amano, si ubriacano e si specchiano l’un l’altro fino a perdersi del tutto. La scelta di restringere la visuale in 4:3, del bianco e nero che omaggia le pellicole di inizio novecento, dei primi piani su volti prima imperturbabili e poi dilaniati da occhi sbarrati e da risate lacerate dalla pazzia, rendono il film un’esperienza forte, claustrofobica, come un incubo dal quale non riesci a svegliarti.

E se nel buio tentiamo di catturare la luce, nel nostro destino echeggia la condanna di Prometeo. La ragione è un dono da carpire per elevarsi, oppure un abbaglio che porta a cadere nella follia? Una domanda che possiamo rovesciare al film stesso: siamo di fronte a un capolavoro di genere, oppure a un film che si perde nel suo ermetismo e nell’estetica?

Di certo, qualcosa si muove, nell’orrore. Voto: 3 e mezzo/5