Un termine buffo, il cui significato non è alla portata di tutti perchè è in dialetto veneziano. Con esso s’intende dire: “morbide”. Ma di cosa stiamo parlando? Ebbene le moeche altro non sono che i granchietti della laguna veneziana, i quali, due volte all’anno, devono fare la muta del proprio esoscheletro, diventando per pochissimo tempo nudi e vulnerabili e quindi morbidi.
Serve grande competenza per pescarli, perché la sfida è di trovarli nel periodo giusto, poco prima che avvenga il processo. Non solo: bisogna saper anche riconoscere i “boni”, ovvero quelli che si avviano verso la muta, ed escludere i “matti”, cioè quelli che non sono in periodo (ad esempio perché il processo è già avvenuto), e che rischiano di rallentare il tutto. Perché, nei granchi messi a contatto tra loro, la muta diventa quasi collettiva, e ne basta uno sbagliato per mettere a rischio la riuscita dell’intero raccolto. In precise settimane dell’anno, solitamente tra aprile e maggio ed ottobre e novembre, i granchi abbandonano il proprio carapace nell’attesa che il processo biologico crei una nuova corazza più grande e più forte. Ed è proprio in questo momento che le moeche, in quanto tali, vengono pescate attraverso un procedimento antico, unico in tutta Italia, protetto dall’Arca del Gusto di Slow Food e che vale la pena conoscere.
La tradizione
“Dal colore capiamo chi tra i granchi farà la muta da lì a venti giorni, quelli che noi chiamiamo spiàntani”, dicono gli addetti ai lavori. I selezionati vengono immersi in grandi cassoni di legno semisommersi, detti “vièri”: sorta di vivai dove i granchi potranno completare il loro ciclo di trasformazione. Le moeche, finalmente nude, vanno tirate fuori dall’acqua prima che inizino a crearsi una nuova corazza. Esistono solo due momenti buoni al giorno per farlo: a dosana (marea calante) e a sevente (quella crescente), i momenti in cui si ritraggono le acque, grossomodo alle 6 della mattina e della sera. A quell’ora il granchio esce per bere e assumere il calcare necessario per creare la nuova corazza, “ed è proprio allora che vanno raccolti”.
Le famiglie che sanno lavorare in questo campo sanno bene che questa tradizione è destinata un giorno a scomparire, ma sicuramente non per loro mano. Anzi: la speranza è che le prossime generazioni siano capaci di tenere alta la bandiera sugli alberi delle loro navi. Il paradosso è che la richiesta di moeche non è mai stata così alta e i prezzi sono arrivati alle stelle. “Se la media si aggira tranquillamente sui 50 euro al kg, in certi momenti può arrivare a 120 euro” racconta il moecante “i ristoranti se li litigano, e al mercato ittico dobbiamo tenere le cassette non in vista e dividerle per non scontentare i clienti, e darne un po’ a tutti”
Le moeche vanno mangiate intere, con tanto di testa e zampe: consumate a poche ore dalla pesca (massimo un giorno), vanno acquistate vive e conservate in frigo. Volendo seguire la ricetta integralista – quella delle moeche col pien – una volta sciacquate, vanno poste in un recipiente in cui è stato messo un uovo sbattuto che si mangeranno, diventando ancora più morbide e gustose. Poi la frittura, che solitamente viene accompagnata dalla tipica polenta bianca veneta. Sebbene la variante croccante sia la più conosciuta e preparata nei ristoranti, le moeche sono ottime anche lesse e condite con olio, aglio e prezzemolo, specialmente se sono le masanete, ossia i granchietti femmine che si riconoscono per l’addome ripiegato a forma di cuore. Si consumano preferibilente a fine estate.
Anche se le moeche si trovano in molti ristoranti veneziani, esiste un’esperienza unica che vale la pena di fare per scoprire di più su questo piatto tipico: un giovane e appassionato moecante ha riadattato un bragozzo (la barca tipica dei moecanti) in modo che ci si possa mangiare a bordo. Un piccolo ristorante galleggiante dove lui e la sorella preparano fritti incredibili nel bel mezzo della laguna veneziana: moeche, ma anche pesci e gamberetti freschissimi, e le incredibili cozze pescate verso le dighe sui bricoloni. Sul dietro della sua barca, chiamata “Rosa dei Venti” è anche possibile grigliare, provando pesci straordinari come il cefalo dorato, che qui si mangia senza togliere il budello, per via della sua dieta sana e schizzinosa. Ma il piatto forte sono le moeche, fatte come da tradizione, ma anche passate nel latte su ricetta di famiglia.
Mi rimetto in gioco sempre. Cerco ogni giorno il meglio da me e per me. Curiosa, leggo e scrivo per passione. Imparo dal confronto, dalle critiche costruttive e rinasco cercando di superare i miei limiti. È così che approdo a nuove mete dopo scelte di studio e lavoro completamente diverse, quali la contabilità e un impiego in amministrazione in un’azienda privata e mi dedico a ciò che avrei dovuto fare fin dall’inizio.