L’erbazzone è una torta salata tipica della cucina reggiana. Le sue radici risalgono probabilmente all’epoca romana, quando si prese ispirazione dal Moretum (antenato del pesto alla genovese) anche se le preparazioni appaiono sostanzialmente diverse. Il paragone è confermato da uno dei nomi con cui è chiamato l’Erbazzone ovvero “Morazòun” (Morazzone).
Va detto che c’è una particolare somiglianza fra la tipicità reggiana e la Torta de Gee, detta anche Torta Cappuccina o Pasqualina (Liguria) o anche con la Pizza Scarola (Napoli). Tutte e due sono composte da una pasta di pane con all’interno un ripieno di bietola e altri vari ingredienti. Ciò che invece le distingue è il periodo in cui vengono preparate: mentre le torte salate liguri e napoletane vengono mangiate nel periodo “di magra” prima delle feste (ad esempio prima di Natale, per il Venerdì Santo), per l’Erbazzone non è così, non è mai stato associato a questo utilizzo.
Il suo consumo segue da sempre la coltivazione della bietola, per cui la sua disponibilità va da maggio a novembre. E’ un piatto dalle umili origini detto anche “Scarpazzone”, questo perché durante i tempi in cui non si buttava via niente, per farlo veniva impiegata la parte più dura della bietola, quella bianca, che in gergo informale sarebbe la “scarpa della bietola”.
La ricetta
L’impasto è composto da acqua, farina e strutto che va lasciato riposare in frigorifero prima di stenderlo e farcirlo. Il ripieno invece è fatto con una grande quantità di Parmigiano Reggiano spinaci e bietole, lessate precedentemente in acqua salata o insaporite con aglio e pancetta in padella (dipende dalle zone). Una volta coperta la nostra torta salata andremo a bucherellare con una forchetta la superficie per poi spennellare il tutto con olio extravergine d’oliva. Andrà poi infornato per mezz’ora.
Le varianti
Nelle aree dell’Appennino Tosco-Emiliano ci sono delle varianti curiosi. Essendo le aree di montagna da sempre le più povere, in passato la farina poteva anche definirsi un “bene di lusso” per cui per l’impasto venivano usate le uova trasformando così la ricetta in una frittata. La seconda versione prevede l’utilizzo del riso. Questo perché le mondine scendevano dagli Appennini per lavorare nelle risaie e venivano pagate con un chilo di riso. Questo riso veniva poi impiegato per un arrangiamento dell’Erbazzone.
Nel 2007 nasce il Consorzio dell’Erbazzone Reggiano con l’obiettivo di avviare la richiesta al Ministro delle Politiche Agricole del riconoscimento della denominazione I.G.P. L’organismo si impegna, inoltre, a tutelarne la produzione e promuoverlo a livello turistico.