Compie mezzo secolo di vita Led Zeppelin III, uscito il 5 ottobre 1970, un album che ha determinato un cambiamento nelle composizioni della band inglese.
Il 1970 è stato pregno di capolavori musicali, tra cui ricordiamo Abraxas, di Carlos Santana, a cui peraltro la collega Monica Atzei ha dedicato un bell’articolo, che potete rileggere qui .
Ma veniamo a noi.
Prima di parlare dell’album, direi di rendervi partecipi del percorso e delle situazioni che hanno portato alla sua produzione. Il 1969, è stato un anno pazzesco per i quattro ragazzi inglesi. A proposito, dimenticavo di presentarveli, lo faccio adesso, come se fossimo ad un loro concerto: alla batteria John Bohnam, detto Bonzo, al basso John Paul Jones, alle chitarre Jimmy Page e alla voce Robert Plant.
Come dicevamo, il ’69 è stato molto produttivo per la band: con due LP in uscita – Led Zeppelin e Led Zeppelin II, la fantasia al potere – si sono esibiti in più di centocinquanta concerti, e trattandosi comunque di comuni mortli, hanno cominciato a essere “un po’ stanchini” (come disse Forrest Gump), di conseguenza si sono presi una pausa.
Si sono trasferiti a Bron-Yr-Aur, un cottage del XVII secolo situato a Machynlleth nel Galles, insieme alle loro compagne, e lì, in un’atmosfera bucolica, conducevano una vita tranquilla, senza lo stress causato dalla frenesia e dalle scadenze, dove le giornate scorrevano lente, tra una passeggiata, una riflessione e qualche lettura di poesie.
Tutto questo ha favorito uno stato d’animo più riflessivo, oserei dire più intimista, che ha portato Plant e Page a comporre delle canzoni decisamente diverse, rispetto ai due album precedenti che avevano un sound hard rock.
La pausa è durata all’incirca un mese e a maggio inoltrato si sono chiusi in studio per completare l’album, che oggi rappresenta un punto di svolta della band.
La maggior parte delle canzoni sono in stile folk acustico e questo disorienta pubblico e critica, che considerano la produzione come un suicidio commerciale.
Gli addetti ai lavori accusarono i Led Zeppelin di saltare sul carro delle band folk-rock, che in quel periodo dominavano le classifiche di vendita, cosa che fece infuriare Jimmy Page, il quale disgustato da tali critiche, decise di attuare un silenzio stampa durato un paio d’anni.
Robert Plant, invece, ebbe un atteggiamento più pacato e, ai giornalisti che gli chiesero il motivo di quella svolta folk che restituiva loro un’immagine da rammolliti, rispose che la band voleva puntare dritta al cielo; se tale dichiarazione fosse avvenuta ai nostri tempi, si sarebbe detto che Robert Plant aveva blastato la critica.
Col passare del tempo, i fans e i critici si sono resi conto, invece, che si trattava di un capolavoro, comprendendo che la mutazione era stata necessaria, prima di tutto perché la band avrebbe rischiato di divenire la caricatura di se stessi e poi perché avevano dimostrato di essere maturati sia come persone che come musicisti. Non è un caso che sia considerato una delle pietre miliari del rock.
Un’altra novità è rappresentata dell’aspetto visivo dell’album, cioè la copertina animata.
Alla custodia, infatti, è applicato un disco di cartoncino che, mostra immagini diverse a seconda di come lo si ruota.
L’idea era stata di un artista inglese, tale Zacron, che una trentina d’anni dopo, in un’intervista dichiarò che voleva combinare tra loro l’arte visiva e auditiva: “Un’armonia in cui, quando le orecchie avessero smesso di ‘lavorare’, avrebbero iniziato gli occhi.”
In Italia, l’album venne distribuito con una copertina provvisoria con su la foto dei quattro componenti, recante l’avvertenza che quando fosse stata disponibile la custodia originale, la si sarebbe potuta sostituire.
Un’operazione bizzarra, certo, però fruttuosa, dal momento che quelle copertine provvisorie sono in seguito diventate dei pezzi da collezione che hanno raggiunto delle quotazioni soddisfacenti per i proprietari.
Nato in un torrido ferragosto del 1968 a Milano, dove vive tutt’ora.
Si considera vecchio fuori, ma giovane dentro: in realtà è vecchio anche dentro.
La scrittura è per lui un piacere più che una passione, dal momento che – sua opinione – la passione stessa genera sofferenza e lui, quando scrive, non soffre mai, al massimo urla qualche imprecazione davanti al foglio bianco.
Lettore appassionato di generi diversi, come il noir, il thriller, il romanzo umoristico e quello storico, adora Calvino, stravede per Camilleri e si lascia trascinare volentieri dalle storie di Stephen King e di Ken Follett.
Appassionato di musica, ascolta di tutto: dal rock al blues, dal funky al jazz, dalla classica al rap, convinto assertore della musica senza barriere.
Nel 2020 è uscito il suo primo romanzo, dal titolo “L’occasione.”, genere umoristico.
Ha detto di lui Roberto Saviano:”Non so chi sia”.