Era l’11 marzo 1983 e gli U2, storica band rock irlandese, pubblicavano quella che sarebbe diventata una delle canzoni più famose non solo del gruppo, ma della musica rock in generale: Sunday Bloody Sunday.
Divenuta un inno per le lotte civili, ma anche un monito affinchè alcuni episodi di repressione non avvengano mai più, la canzone cela un significato ben preciso, legato a un tragico evento avvenuto a Derry, Irlanda del Nord, alla fine del 1972.
La storia
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Il 30 gennaio 1972, per l’esattezza, l’esercito del Regno Unito sparò senza tregua sui partecipanti a una manifestazione. Il bilancio fu gravissimo: 14 vittime, tutti civili disarmati, e 14 feriti. Alcuni furono colpiti anche durante la fase di soccorso o durante la fuga, raggiunti da proiettili impazziti. La loro unica colpa? Erano tutti di religione cattolica.
L’episodio passò alla storia come Bloody Sunday, ossia Domenica di Sangue, e scatenò la rivolta nazionalista contro il governo di Londra. Erano anni difficili, in cui manifestazioni pacifiste come questa potevano sfociare nel sangue e nella repressione.
All’epoca dei fatti, il leader degli U2 Bono Vox – al secolo Paul Hewson – era un ragazzino di appena undici anni. Eppure quei fatti, mai rimossi dalla mente, tornarono a tormentarlo negli anni successivi, fino al 1983, quando decise di canalizzare tutto quel dolore in qualcosa di significativo, appunto una canzone.
La genesi di Sunday Bloody Sunday, per quanto tragica, dimostra come gli U2 abbiano sempre contribuito a narrare – e a esorcizzare, perchè no – gli eventi drammatici di una terra dilaniata da guerre di religione come l’Irlanda.
La musica e il testo
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La canzone si apre con il suono di una marcia, come quella che si stava svolgendo a Derry in una fredda giornata irlandese di gennaio. Poi, la voce di Bono che annuncia: “Non posso credere alle notizie oggi” e ancora:
“Bottiglie rotte sotto piedi di bambini
Corpi sparsi attraverso la strada della morte. Domenica sanguinosa domenica.
Per quanto tempo?
Per quanto tempo dobbiamo cantare questa canzone?“
La frase finale, come una sorta di preghiera, è tratta dal Salmo 40 di Davide della Bibbia. Bono ha dichiarato più volte come non si tratti di una Rebel song, cioè una canzone di ribellione, ma piuttosto di un inno scaturito nel cuore di un giovane che non riesce a credere all’odio e alla violenza fratricida che divide coloro che dovrebbero essere uniti nel nome di Cristo.
Questa spiegazione è sostenuta dalla fede religiosa di Bono, cresciuto in una famiglia interconfessionale (la madre era protestante, mentre il padre cattolico) nella Repubblica d’Irlanda.
La reazione del pubblico
Sunday Bloody Sunday fu eseguita per la prima volta a Belfast nel dicembre 1982, di fronte a un ingente pubblico di persone accorse ad ascoltare un astro nascente del panorama rock anni Ottanta. Bono pensò di dover “giustificare” in qualche modo una canzone dal messaggio così forte, tanto che dichiarò: “Si chiama Sunday Bloody Sunday, parla di noi, dell’Irlanda. Ma se non piacerà a voi, non la suoneremo mai più.”
Non sapeva, evidentemente, che sarebbe diventata una delle loro canzoni più amate e cantate a livello mondiale. La reazione del pubblico di Belfast fu così positiva che la band decise di inserire il brano come prima traccia nell’album War, pubblicato nel marzo 1983.
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Sunday Bloody Sunday rappresentò un punto di svolta così importante per gli U2, che fu inserita nell’antologia The Best of 1980-1990, pubblicata quindici anni dopo, nel 1998.
Esistono due diverse versioni live del brano: quella lenta e poi aggressiva di Rattle and Hum, e quella malinconica suonata a Sarajevo durante il PopMart Tour.
Insomma, Sunday Bloody Sunday non si può definire una canzone di ribellione o di odio, ma piuttosto un inno di fratellanza e di unione fra i popoli.
Da bambina leggevo i fumetti di Dylan Dog, poi – senza nemmeno accorgermene – sono entrata nel vortice dei grandi classici e non ne sono più uscita. Leggo in continuazione, in qualsiasi momento, e se non leggo scrivo. Scrivo per riempire gli spazi bianchi e vuoti della mente, ma anche perché è l’unica cosa che mi fa sentire viva. Cosa voglio diventare da grande? Facile: una giornalista.