La nostalgica leggerezza di Caponetti

È un pomeriggio di sole, raro in questi mesi grigi. Prima di chiamare Claudio, do un occhio alla foto profilo whatsapp abbinata al suo numero, come a voler raccogliere un indizio, un elemento della sua personalità per capire come andrà la telefonata. Claudio, di cognome Caponetti, ha in bella vista una foto di una scheda telefonica, accuratamente inserita nel vecchio e nostalgico raccoglitore da collezionista seriale. Sulla scheda telefonica, ritratto il fiero Oliver Bierhoff, apprezzato e conosciuto dai tifosi milanisti di quegli anni, e perché no, anche dai collezionisti che si ritrovavano doppioni su doppioni della scheda con il bell’imbusto tedesco, come me.

Caponetti, classe ’89, è proprio come quest’immagine: una nostalgica leggerezza. Ascolano d’origine, milanese d’adozione, inizia a farsi strada comparendo tra le gettonatissime playlist Indie di Spotify e tra i video Youtube ad aprile 2020 con Google Maps, brano che andrà poi ad inserirsi nel primo EP ufficiale, “Maddai” uscito sotto etichetta Carosello Records, il 25 settembre scorso.

Io quella prima canzone l’ho ascoltata quasi per caso, attivando una riproduzione più che casuale su Spotify, verso metà aprile, in pieno lockdown. Il testo parlava di me, di quel momento. Mi ci sono rivista in ogni singola parola. Quando e come è nata “Google Maps”?

Anche se sembra scritta per il lockdown, era già pronta da circa un annetto. L’ho registrata poco prima della chiusura totale. Ho scelto, insieme al mio editore, di farla uscire in quel periodo perché casualmente lo stato d’animo di cui parla riusciva ad adattarsi completamente a quello che ci siamo ritrovati a vivere. Quando l’ho scritta, era un periodo in cui non riuscivo a combinare niente. Incontravo i discografici, le cose rimanevano lì e non avevano seguito. Sono venuto a Milano da chitarrista, sfoggiavo i riff ma mi buttavano giù dicendo che non andavano più di moda e che non fregava niente a nessuno.Non avevo un vero lavoro. Google Maps è una canzone a cui tengo particolarmente perché è stata la prima ad avere un’energia particolare rispetto a tutte quelle scritte in precedenza. Nata dal vuoto, come riempitivo.

Un disorientamento comune a molti, quello di cui parli.

Si. La canzone parla della nostra generazione, quella che fa fatica a trovare un posto nel mondo. Ammesso che tu non abbia continuato un percorso preesistente, c’è sempre da combattere e sopravvivere, soprattutto in una città come Milano. È difficile anche avere relazioni sentimentali, con tante incertezze attorno a te. Difficile trovare chi condivida i tuoi valori, la tua scelta di inseguire i sogni.

La situazione attuale ha decisamente reso il tutto più complicato. Come hai vissuto questo periodo, tra un lockdown e un altro?

A volte male, a volte bene. Sono una persona con sbalzi d’umore, giorni in cui sono triste e giorni in cui sono felice. Il primo periodo l’ho visto come un’opportunità per scrivere, ma è difficile farlo se sei sempre all’interno delle quattro mura di un monolocale e non vivi, lontano da famiglia e amici. La seconda ondata, nonostante ci abbia fatto passare un’estate decente, mi ha fatto tornare carico a Milano per poi spegnermi di nuovo, dal momento che si sono create le stesse dinamiche. Oggi mi sento in standby ma un lato positivo c’è. Questo tipo di incertezza può portarti ancora più dentro di te e magari riesci a scrivere qualcosa di più profondo toccando corde più nascoste. Siamo tutti stati obbligati a farci un’analisi personale, se non siamo impazziti, almeno ci ha riportato un po’ più a noi.

Oltre una proficua psicanalisi, tra le cose positive di questo 2020 c’è stato sicuramente il tuo debutto in Carosello Records. Decisamente una gran bella soddisfazione. Qual è stato il percorso che ti ha portato a questa grande etichetta?

In realtà ero in contatto con Carosello già da diversi anni, ma non si era mai concretizzato questo rapporto. Negli anni ho provato tante strade, ho iniziato come autore di canzoni però, senza grande successo. Nel 2017 avevo vinto “Genova per Voi”, concorso per autori emergenti che mi è valso un contratto come autore per Universal Music Publishing;  l’editore diceva “ma chi le canta ste canzoni?” Nessuna aveva il giusto taglio per i loro interpreti. Mi hanno traghettato, così, verso una discografica per sviluppare una strada mia. Carosello è una realtà brillante, importante, da una parte è una cosa bellissima, dall’altra mi crea una discreta ansia, se ricordiamo che da lì sono usciti Modugno, Battisti, Vasco… c’è un forte senso di responsabilità.

Da “Ascoli FC”, uno dei brani dell’EP “Maddai” uscito a settembre,  si intuisce il legame indissolubile con la tua terra d’origine. Quanto c’è di marchigiano e quando di milanese nella tua musica?

C’è un po’ di tutto. Di imprinting sono decisamente marchigiano. Ho un forte senso di appartenenza. A 5 anni sono andato via ma è lì che ho tutta la famiglia.  Quella canzone rappresenta il mio senso di appartenenza ed è come se dicesse “io parto da qui”.  C’è però del Milanese nella mia canzone e nella musica in generale. Sono diventato adulto nel bene e nel male in altri luoghi, anche e soprattutto a Milano dove sono arrivato a 22/23 anni. Mi piace l’idea di avere due dimensioni. Questo è un po’ il concept dell’album, la convivenza degli opposti. Io mi sento così, ascolano ma metropolitano, felice ma estremamente triste. Volevo far stare la leggerezza con la profondità.

Anche il video parla chiaro. Immerso nella natura, sembra raccontare la tua storia.

Il video racconta le dinamiche che si creano quando torno lì, ricorda tutti i momenti passati, non per forza belli. Anzi, ritornare lì è anche un modo per esorcizzare tutte le cose belle e brutte, legate alla provincia e ad Ascoli. La canzone, infatti, non parla della squadra di serie B perché va di moda con l’indie. Nasce proprio dalla necessità di raccontare questo forte senso di fede, di partire da dove ero nato. Ascoli ha questa cosa qua: è nostalgica, con una forte presenza della religiosità e della chiesa cattolica. Il prete di cui parlo è una realtà: la prima birra l’ho presa con un prete, quello con cui facevo i campi scuola.

Arriviamo ad Antartico, il tuo ultimo singolo, uscito il 9 febbraio. Chitarre e riff, quelli a cui hai rinunciato nei primi tempi, finalmente sono tornati. Cambio di rotta per Caponetti?

Con “Maddai” mi piaceva sviluppare un cantautorato puro, più pulito, che ha chiuso i miei 20 anni. Cambio di rotta ora? Si, per iniziare i 30, con tutte le paure che ci sono, con meno spensieratezza, facendo i conti con tutte le preoccupazioni dell’età. È un periodo in cui suono molto. In Antartico ho voluto metterci dentro Arctic monkeys, Smashing Pumpkins, con un’intro alla Frusciante.

 Deduco che è da questi artisti che parta la tua musica in generale.

Si, cerco di ascoltarmi un po’ tutto. L’ispirazione può venire da ogni genere. Ma quello che mi fa muovere la testa è comunque sempre un mondo molto rock, un po’ dimenticato e in Italia mai entrato appieno, o entrato ma invecchiato male. La mia musica viene dal cantautorato inglese e rock americano e da Frusciante.

 Ecco che ritorna, Frusciante.

Il 10 settembre ’99, a 10 anni ho dovuto abbandonare il calcio, per un brutto incidente. Non potevo giocare più. Mia madre per confortarmi accende la tv e c’era in onda il concerto dei Red Hot Chili Peppers, in tour con Californication, un disco tra i più importanti della mia vita. Da allora ho iniziato a suonare folgorato da Frusciante. La musica e Frusciante mi hanno salvato.

Se dovessi definirti con una frase di una tua canzone, quale sceglieresti?

“Le spalle pesanti sono le ali che porti”, penso che riassuma il senso di leggerezza e pesantezza che convivono dentro di me, dentro tante persone, soprattutto oggi.

Come e dove ti vedi tra 10 anni?

Non ci ho mai preso, ma manco un po’. Oggi mi sento di dirti che mi piacerebbe essere vivo fra 10 anni, lo spero. Poi spero di avere la possibilità di allargare il pubblico. Non faccio musica per un riscontro economico. Io vivo per ‘sta cosa, se guadagno compro un pianoforte o una chitarra migliori, non una Ferrari. Non è nelle mie priorità. Spero che farò dei bei concerti, con persone che ascoltano la mia musica, che magari per loro valga qualcosa, come è successo a me. Sembra una frase fatta ma la musica mi ha davvero salvato.

Ok, ma parliamo di cose serie. Che fine ha fatto l’Ascoli Fc?

L’Ascoli in serie A è finita anni fa, nei primi anni ’80 è arrivata addirittura quinta. Da bambino tifavo Milan. Bierhoff arrivò in Italia con l’Ascoli calcio, passò all’Udinese e poi al Milan. Era un figo. Tutto d’un pezzo. Ecco perché ce l’ho come immagine profilo su whatsapp.