Esclusiva strage di Bologna: la latitanza e l’intervista di Gabriele Adinolfi

2 agosto 1980 la musica alla radio si interrompe per lasciare spazio al notiziario che annuncia che alle 10.25 nella stazione di Bologna una bomba, ordigno a tempo, è esplosa distruggendo l’ala ovest, uccidendo 85 persone e causando circa 200 feriti.

 

Gabriele Adinolfi apprende la notizia con sgomento e timore, sicuro che sarà sollevato un polverone soprattutto contro i sostenitori  di estrema destra e che questa strage sarà sicuramente imputata a loro e ad altri movimenti similari. Ad avvalorare la sua preoccupazione le dichiarazioni dell’allora presidente del consiglio, Francesco Cossiga che ipotizza inizialmente, infatti, la matrice di natura fascista, perseguendo questa pista con la magistratura.

 

Fondatore nel 1976 del movimento chiamato lotta studentesca, composto da soli studenti appunto, e trasformato nel 1977  in quello neofascista chiamato Terza Posizione, di cui si potevano contare presenze anche dalla fabbrica e della campagna e che si proponeva come nazional-rivoluzionario e equidistante dal comunismo, dalla destra reazionaria, capitalista e imperialista e nato perché  “Ormai la vittoria politica e militare della sinistra era totale e se si voleva continuare ad agire assicurando la propria incolumità, era necessario organizzarsi bene. Inoltre c’era lo scarto generazionale, noi eravamo giovani e non ci ritrovavamo nei ragionamenti e nel linguaggio della politica che ci aveva preceduti.”

 

Il 28 agosto 1980 la Procura della Repubblica emette 28 ordini di cattura nei confronti di militanti di estrema destra, tra cui anche Gabriele Adinolfi che decide, insieme ad altri, di scappare all’estero e rendersi latitante per ben 20 anni, lasciando la sua compagna in Italia per proteggere lei e loro figlio che nascerà da lì a poco.

 

Da qui la sua vita cambia radicalmente tra Francia, Inghilterra e Spagna. Non viene mai contattato dalla polizia o dalla magistratura italiana. Inizialmente viene aiutato da alcuni camerati, conosciuti in Italia, che lo accolgono in casa propria per pura solidarietà militante e nonostante avessero moglie e figli. Dorme sui divani e lavora in nero. Grazie poi ad un processo di estradizione in Inghilterra, alcuni  camerati divengono liberi cittadini e possono aprire un’attività commerciale , con alloggio e lavoro a Londra, così, anche lui, su quella scia, avvia alcune filiali locali senza comparire in prima persona. Cerca, allora come oggi, di giungere alla  verità sulla strage di Bologna, che risulta essere incorniciata da numerosi dubbi dovuti a depistaggi e insabbiamenti  perché “le parti che la contendono, ovvero apparati e Magistratura rossa, hanno agito entrambi per incriminare i fascisti  e per nascondere e o minimizzare  tutti gli elementi emersi, così da aggrapparsi a temi di comodo”.

 

Lo stesso Adinolfi è convinto che la pista filo israeliana  sia la più convincente “legata al fatto che noi italiani stavamo armando, insieme ai francesi, il nucleare Iracheno al tempo di Saddam Hussein” e porta avanti, attraverso libri e interviste, questa teoria .

 

“Durante questi anni lontano dalla patria ho potuto, comunque, arricchirmi a livello antropologico, ma anche culinario. Ho spaziato attraverso diverse usanze e correnti di pensiero” commenta Gabriele Adinolfi nell’intervista, aggiungendo “Non ho sofferto tanto la lontananza dall’Italia, anche se per un periodo ho patito la fame, avevo difficoltà a lavorare e potevo farlo solo in “nero” , lontano dalla mia compagna che vedevo ogni tanto durante incontri clandestini e segreti.”

 

Riesce a rientrare nel 2000, dopo 20 lunghi anni appunto, quando la sua pena cade in prescrizione, tranquillo e consapevole di essere anche lui una vittima della strage di Bologna, una vittima del sistema. Ancora fermamente convinto delle sue ideologie politiche, ma lontano ormai dalla politica stessa divenuta per lui arcaica. Porta avanti una carriera da scrittore e pubblica alcuni libri attinenti proprio a questa strage.

 

Ormai quel giorno a Bologna appartiene al passato, ma cosa ci ha insegnato e a che cosa è servito? Tanti hanno perso i loro cari e alcuni son dovuti rimanere lontano da essi, ma si continua a pensare quale fazione politica accusare, quale è stata più violenta e quale sia la colpevole.

 

Il 2 agosto alle 10.25 tante persone non hanno saputo più niente, sono solo il triste ricordo di una tragedia passata di cui ormai si sono persi i volti.