Il "superbatterio" che si nutre di plastica

Il “superbatterio” che si nutre di plastica

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Chi l’avrebbe mai detto che si potesse risolvere il problema della troppa plastica impiegando un superbatterio? Infatti, Un team di scienziati del Regno Unito ha creato questo piccolo supermostro capace di divorare i rifiuti plastici in pochi giorni.

In realtà, più che di un batterio, si tratta di un enzima, una proteina con il compito di facilitare le reazioni biochimiche, prodotta da un batterio che si nutre di plastica. Questo pare sia stato “dopato” in modo tale che questo minuscolo organismo possa “nutrirsi” di questi scarti.

superbatterio

Di cosa si tratta, di preciso?

Stiamo parlando di un batterio che già di base, è “avido” di plastica: il suo nome è Ideonella sakaiensis, ed è stato scoperto per la prima volta in una stazione di riciclaggio di bottiglie in Giappone nel 2016.

Dobbiamo precisare, inoltre, che plastica resistente utilizzata nelle bottiglie d’acqua (comunemente indicata come PET) impiega spesso centinaia di anni per degradarsi, e sebbene il PET esista da circa 50 anni, si tratta di un materiale già presente in natura. Lo troviamo come rivestimento protettivo sulle foglie delle piante, per esempio. I batteri, dunque, hanno avuto milioni di anni per imparare a digerirlo e quindi a mangiarselo con piacere.

Per creare una versione super dell’Ideonella sakaiensis, gli scienziati dell’Università di Portsmouth (Regno Unito) e del National Renewable Energy Laboratory (Stati Uniti) hanno utilizzato uno strumento chiamato Diamond Light Source, in grado di produrre dei raggi X davvero potenti: pensate che sono dieci miliardi di volte più forti del Sole. Questo passaggio è servito per analizzare in dettaglio la struttura atomica dell’enzima, e sembra sia molto simile a quello prodotto dai batteri che scompongono la cutina, una sostanza idrofobica presente su molte parti esposte delle piante.

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Di quanto è stato potenziato il batterio?

Grazie a questo strumento è stato possibile modificare l’enzima “addetto” all’assimilazione della plastica, chiamato PETase, in modo da renderlo più efficace (o meglio, più vorace) del 20%, tanto da far “mangiare” al batterio un notevole quantitativo di rifiuti plastici in pochi giorni, anziché mesi o addirittura anni.

Purtroppo, il nostro amico che ci salverà dall’inquinamento da PET è ben lontano da essere commercializzato, ma già da ora sappiamo che può e potrà rivoluzionare completamente il modo di riciclare questo materiale.


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