Robot, industra e smart working

Da tempo tutti abbiamo avuto a che fare, attivamente o passivamente, con il cosidetto Smart working. Qui andrebbe aperto un dibattito molto articolato, in quanto il “telelavoro” (parola italiana che preferirei all’inglesismo) è solo un ultimo passo di ciò che concerne l’attuale Rivoluzione Industriale in corso, la cui Innovazione Tecnologica non è ancora terminata e sarà portata in ogni ambiente produttivo-organizzativo-gestionale. Innovazione che è inesorabilmente lenta, ma avverrà. Il problema è che in Italia non investiamo risorse sufficienti – soprattutto pubbliche – su tutto quello che è il comparto dei robot, dell’intelligenza artificiale, della meccatronica eccetera. 

 

 

Ci si limita all’opportunismo del momento; in questo quadro sta lo smart working. Accontenta una limitata schiera, per lo più quadri o dirigenti di aziende private, oltre a tutta la pletora di dipendenti pubblici. Nessuno, dico nessuno, con capacità visionarie che provi a vedere cosa ci sia oltre il presente. Eppure basterebbe andare a ritroso di pochi anni, ma l’italiano medio ha  una memoria corta e labile, essendo incentrato sul personalismo e sul presente. Mi riferisco ai call center. Avete presente quando ad un certo punto inziavano rispondere voci da oltre Adriatico, Carpazi o sud Mediterraneo? Ecco, lo smart working sarà la stessa cosa; con buona pace dell’occupazione nazionale. E non ce l’ho con Albania, Romania o Tunisia, ci mancherebbe. Ma basterebbe sapere che, ad esempio, nel Paese delle Aquile il salario minimo (35% della popolazione lavorativa) è di 24.000 lek, cioè 193 euro; lo stipendio medio lordo di un impiegato di concetto senior equivale a 40.000 lek, 322 euro, 250 tolte le tasse. Nel pase con capitale Bucarest il salario minimo è di 1162 leu, 240 euro. Quello medio lordo: 2360 leu, 487 euro (ca. 290 netto).

In Italia continuiamo ad infarcirci, in ambito lavoro, di parole vuote e false chimere. Certo turismo, moda, agroalimentare, arredamento, terziario, servizi etc etc sono settori importanti, ma non strategici. Sono ben altri quelli che fanno la differenza, sia lavorativamente, esigendo specializzazione e garantendo occupazione, che geopoliticamente, essendo – a quel punto – parte di un mondo multipolare con voce in capitolo, ossia: acciaio, energie, tecnologie belliche e satellitari, telecomunicazioni, innovazioni robotiche

Chiaro che la sostituzione uomo-macchina dovrà aprire dei dibattiti. Premesso che, nemmeno per assurdo, abbiano risvolti positivi (no rischio infortuni e malattie invalidanti, giusto per dirne uno). D’altro canto, non si può omettere una pianificazione ed un asset socio-economico differente rispetto agli attuali, i quali rimanendo tali provocherebbero, a fronte di incremento fatturati e marginalità, delle situazioni di aumento indigenza se – appunto – non si intervenisse con nuovi modelli di Stato Sociale. E’ per questo, tornando al punto di partenza del telelavoro o smart working che dir si voglia, che la questione è mal posta e non programmatica. Staremo a vedere. Intanto chi riesce a intravvedere oltre i propri piedi, oltre la siepe, ha il dovere morale di avvisare e sollevare la questione.