Masha P. Johnson: una drag queen a New York

Masha P. Johnson: una drag queen a New York

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“I got my civil rights!” ([Anche] io ho i miei diritti civili!) Con questa frase, lanciando un bicchiere contro uno specchio, il fatidico 28 giugno 1969, mentre il noto locale gay newyorchese “Stonewall In”, era in fiamme, circondato dalle forze di polizia, Masha P. Johnson ha voluto affermava la legittimità di ognuno a condurre la vita che aveva scelto. La lotta per i diritti di tutti, anche delle persone che abbiano tendenze sessuali diverse dalla, così detta, normalità, è stata, durante il secolo scorso, una battaglia impari, pagata molto cara da chi voleva solo sostenere che l’identità di genere non fosse poi così graniticamente definita o universalmente importante. Ma le convenzioni sociali ancora oggi, in molta parte della collettività, hanno il potere di discriminare ed emarginare se non peggio, le diversità e soprattutto le diversità di genere.

Una vita tormentata

“Malcon Michaels J.”  Masha P. Johnson nasce da una umile famiglia nel New Jersey il 24 agosto 1945 e sin dall’infanzia dimostra la sua predilezione per gli abiti femminili. Discriminata e vessata per questo dalla gente del suo quartiere a soli diciassette anni parte per New York con pochi spiccioli nelle tasche. Inizia presto a lavorare nei locali come drag queen con il nome di battaglia era “Black Masha” che poi cambierà in P. Johnson dove la “P” sta per “Pay it no mind” (non pensarci/ non farci caso), mentre il cognome Johnson è stato ripreso dal nome del ristorante “Howard Johnson’s”  sulla 42nd Street, vicino al quale Masha si prostituiva i primi tempi della sua permanenza a NY.  Dopo un lungo periodo passato in povertà, quando era costretta a dormire sotto i banchi del Flower District di Manhattan, la sua personalità esuberante ed eclettica le ha permesso di  farsi strada nel mondo delle performance, partecipando a molti spettacoli “show drag”, senza però mai dimenticare l’impegno politico per l’affermazione e l’aiuto alle persone che, come lei rivendicavano la voglia di vivere la loro sessualità senza essere perseguitati. Con l’amica Sylvia Rivera fonderà la STAR (Street Transvestite Action Rivolutionaries), associazione per l’aiuto ai gay di strada, e parteciperà a molte manifestazioni e ad azioni politiche radicali. Gli ultimi anni della sua vita sono stati devastati dall’AIDS, malattia che la segnerà anche nell’impegno sociale. Il 6 luglio1992 il suo corpo varrà ritrovato riverso nel fiume Hudson. Inizialmente dichiarato un suicidio, la circostanze della sua morte sono rimaste incerte per via di una ferita rinvenuta nella parte posteriore del cranio.

Molti tributi le sono stati dedicati

Da Andy Warhol che la fotografa per la serie “Polaroid” nel 1975, al Google Doodle del 2020. Dal documentario sulla sua morte: “The dead and life of Masha P. Johnson” del 2017, al necrologio postumo che il New York Times pubblica nel 2018. Dal monumento che la sua città natale, Elizabeth, nel New Jersey, le ha dedicato, ai numerosi murales sparsi per gli Stati Uniti, o al parco  dell’East River che dal febbraio 2020 porta il suo nome, la mutata sensibilità sociale ha permesso che le lotte e le angherie subite da questa attivista dell’emancipazione gay avessero finalmente il giusto riconoscimento anche se tristemente tardivo.


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