Quel Dante fiammeggiante che la Divina Commedia redasse

Arieccoce al nuovo appuntamento co’ ‘sta rubrica. Teoricamente dovremmo parlare dell’epica medievale così da accompagnare i miei venticinque lettori in una scolastica analisi della letteratura, ma noi siamo liberi, leggiamo libri senza studiarli, e ce ne strafottiamo alla grande.

 

Dunque, Commedia sia. “Divina”, come blaterò quello sboccacciato di Boccaccio. Ebbene sì: il titolo originale era solo Commedia. Cioè Dante trascorre decenni a scriverla e poi l’etichetta con un semplicissimo commedia. Misteri della vita. Ad ogni modo, vediamo di che stiamo parlando.

 

L’opera è composta in tre parti, la prima molto focosa (Inferno), la seconda abbastanza pallosa (Purgatorio), la terza ‘na rottura de zebedei con Beatrice che dalla Vita Nova si teletrasporta nel Paradiso a fare le veci di Dio.

 

Dante era geocentrista, ma non per colpa sua. Erano gli anni del fervente cattolicesimo e Galileo ancora non era nato. E comunque molti di voi sono terrapiattisti nel 2020 quindi fate pocho gli spiritosi. Componeva l’universo della Terra circondata da nove cerchi, e dall’Empireo, il decimo cielo dove risiedeva Dio, ‘na sorta d’antropomorfizzazione della Luce sufi.

 

Nel mezzo del cammin di sua vita, Dante si sperse in una selva poiché la via non era diritta. Questa la dice lunga sulle capacità balistiche del poeta, ma tant’è. Tra ‘na cosa e ‘n’artra, come farebbe ogni persona non sana di mente, anziché tornare in città, imbocca il sentiero più strambo e si ritrova, assieme a Virgilio, nell’Antiferno.

 

Premettiamo che sì, Virgilio era il Publio Marone dell’Eneide. Uno costretto al Limbo, il primo cerchio infernale, in quanto non battezzato essendo nato prima di Cristo. L’antiferno era ‘na zona curiosa in cui finivano coloro i quali non avevano commesso né del bene, né del male. Un po’ come me, salvo omicidi futuri.

 

Dopo l’Antiferno, eccoci sul fiume Acheronte a prendere il sole nero sulla spiaggetta dell’ignavia. Sì, alla fine è tutto metaforico. Se vi mettete di santa pace a leggere l’opera, capireste che tutto sommato sia meno pallosa di come ve la raccontarono a scuola. Vabbé che voi non eravate ‘sta cima…

 

Tornando a Dante, lo scopo è arrivare a vedere Lucifero. Perché? Lux + fero, portatore di Luce. Visto lui, scontato le pene, si passa alla espiazione, e poi forse avrebbe potuto vedere la beatitudine. Simbolismo, ripeto. Leggetevi Guenon se volete appallarvi per bene. Tanto erano 68 pagine se non erro. Oppure credete a me, come se fossi il figlio di Dio. O “essendo”…

 

L’Inferno ha uno schema preciso: limbo, lussuriosi, golosi, avari e prodighi, riacondi e accidiosi, eretici (come me. So’ sbattezzato), violenti, fraudolenti e traditori. Nove cerchi, perché tre volte tre è molto più massonico. Oddio, me pare che la massoneria non esistesse ufficialmente, quindi non vorrei osare baggianate.

 

Ovviamente vigeva la legge del contrappasso, vale a dire che ogni povero cristo si trovava a scontare pene simili o uguali ai reati commessi in vita, controllato da un apposito demone, e costretto a ripetere eternamente il ciclo penoso: se no, che pena è?

 

E quindi questo è. Poi stanno tante altre cose da dirvi ma ci vediamo nella prossima puntata. Fra due settimane. Nel frattempo sappiate che se vi piace il sesso prostatico andrete all’inferno. E pure se avete tradito i vostri parenti: zona Caina dell’Inferno. Dante dixit.