Raffaello Sanzio: il celebre artista ha finalmente un corpo e un volto

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“Ille hic est Raphael, timuit quo sospite vinci rerum magna parens et moriente mori”.
“Qui giace Raffaello: da lui, quando visse, la natura temette d’essere vinta, ora che egli è morto, teme di morire”.

 

Così recita l’epitaffio scritto da Pietro Bembo, caro amico dell’urbinate, sulla tomba custodita all’interno del Pantheon di Roma. Ma non vi è mai stata certezza alcuna che i resti rinvenuti in loco fossero effettivamente quelli del pittore.

 

Deceduto prematuramente nel 1520 a soli trentasette anni, Raffaello fu sepolto e celebrato all’interno del tempio romano, come narrato anche da Giorgio Vasari nel sedicesimo secolo, il quale indicava il sepolcro come sottostante la statua della Madonna del Sasso, scolpita da Lorenzetto, allievo di Raffaello. Tuttavia, la mancanza di una fonte certa e verificata sull’esatta locazione dei suoi resti sollevò nei secoli molti dubbi e diede il via a non poche dispute.

 

Fu così che nel Settembre del 1833, il Reggente dell’Accademia dei Virtuosi del Pantheon, assieme all’ Accademia di San Luca e all’Accademia dell’Archeologia, chiese e ottenne il permesso dalle autorità ecclesiastiche di rintracciare le spoglie del pittore all’interno dell’edificio. Dopo cinque giorni di scavi al di sotto della statua della Madonna del Sasso, venne ritrovata una cassa di legno contenente uno scheletro intatto, descritto dal medico anatomista Antonio Trasmondo come “un uomo di media altezza e di media età”, e del cui cranio il formatore Camillo Torrenti produsse inoltre un calco in gesso. Considerata quindi accertata la veridicità del luogo di sepoltura, così come indicò il Vasari, i resti vennero celebrati in pubblico per sei giorni e successivamente ricollocati in una nuova cassa di pino, un sarcofago romano del primo secolo d.C. donato da Papa Gregorio XVI, e riposizionati al di sotto della statua.

 

Ma va da sé che il mero ritrovamento di uno scheletro somigliante a quel che fu Raffaello Sanzio non può costituire una prova certa e inconfutabile della corrispondenza alla sua persona. Difatti, durante gli scavi del 1833 intorno alla Madonna del Sasso furono altresì rinvenuti numerosi corpi appartenenti agli allievi di Raffaello, oltre che a vari resti di scheletri incompleti. Ed è così che, in concomitanza ai 500 anni dalla sua morte, il Centro di Antropologia Molecolare per lo Studio del DNA Antico del Dipartimento di Biologia dell’Università degli studi di Roma “Tor Vergata”, in collaborazione con la Fondazione Vigamus e l’Accademia Raffaello di Urbino, ha realizzato la prima ricostruzione tridimensionale computerizzata del volto dell’artista; studio che sarà presto proposto per la pubblicazione sulla prestigiosa rivista scientifica Nature.

 

Come chiariscono Cristina Martinez-Labarga, associato di Antropologia Forense a “Tor Vergata”, e il professor Raoul Carbone, esperto di Grafica 3D Applicata alle Scienze Forensi e presidente della Fondazione Vigamus, «La ricostruzione facciale rappresenta una tecnica interdisciplinare in grado di ricreare con buona approssimazione, basandosi esclusivamente sulla morfologia del cranio, il volto di una persona al momento della sua morte. Questa procedura è stata ampiamente utilizzata per svelare i volti di resti craniali di rilevanza archeologica e storica, nonché per l’identificazione quando utilizzata in ambito forense». 

 

L’analisi è partita proprio da quel calco in gesso del 1833, custodito oggi nella casa natale del pittore ad Urbino, e che il professor Mattia Falconi, docente di Biologia Molecolare all’Università degli Studi di Roma “Tor Vergata”, in un’intervista televisiva descrive come «in perfetto stato. Si vedevano addirittura le suture delle ossa craniche, per cui abbiamo fatto le misure craniali, abbiamo preso le immagini, e poi attraverso il computer abbiamo modellato il volto».

 

In seguito alla ricostruzione sono poi stati eseguiti i necessari confronti con i ritratti di Raffaello, nonostanti vi fosse dipinto in età più giovane, e le analisi metrico-morfologiche sono risultate completamente sovrapponibili con il profilo tramandato nei secoli da opere artistiche e prove storiche. Per la prima volta nella storia, gli esperti possono dunque confermare che i resti custoditi nel Pantheon sono proprio quelli di Raffaello Sanzio.

 

E naturalmente questo tipo di ricerche non sono solamente fini a sé stesse, come spiega inoltre la professoressa Olga Rickards, ordinario di Antropologia Molecolare all’Università “Tor Vergata”, ma potranno aprire la strada «a possibili futuri studi molecolari sui resti scheletrici, volti a convalidare questa identità e a determinare alcuni caratteri del personaggio correlati con il DNA, come ad esempio i caratteri fenotipici (colore degli occhi, dei capelli e della carnagione), la provenienza geografica e la presenza di eventuali  marcatori genetici che predispongono per malattie». Nel frattempo, la stampa tridimensionale del pittore sarà resa in un busto a grandezza naturale e donata all’Accademia Raffaello, per poi essere permanentemente esposta nel museo “Casa Natale di Raffaello” ad Urbino.

 

A cinque secoli dalla sua dipartita, il “divin pittore” continua e continuerà ancora ad incantarci.

 


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