Esistono persone che, con la loro vita, sono in grado di cambiare il corso della storia. Stranamente, però, alcune di esse sembrano quasi destinate a restare sullo sfondo, dando un colore alla storia che sembra passare inosservato. Eppure, se si togliesse questo colore, probabilmente ci si accorgerebbe immediatamente della differenza. Suor Arcangela Tarabotti rappresenta, a tutti gli effetti, questo colore.
Cenni biografici
Il vero nome di Suor Arcangela Tarabotti era Elena Cassandra. Figlia di un marinaio veneziano, proprietario di una fabbrica di sublimati, venne al mondo nel 1604 e crebbe nel sestiere Castello di Venezia.
Era una donna arguta e decisa, ma il suo carattere non la salvò da una sorte che per lei era decisamente avversa. All’epoca nascere donna rappresentava una sorta di disgrazia, per le famiglie. Non potevano mandare avanti il nome di famiglia e godevano di decisamente pochi diritti e poca credibilità rispetto agli uomini. Di conseguenza, non avevano molta scelta: o si sposavano, favorendo eventuali unioni con famiglie blasonate, o entravano in convento, alternativa decisamente più economica per la famiglia, rispetto a una dote matrimoniale. A Elena Cassandra toccò quest’ultima destinazione. Non era adatta a contrarre un buon matrimonio, secondo i canoni dell’epoca, poiché aveva ereditato da suo padre la zoppia. Nel 1617 fu costretta a entrare in convento, prendendo i voti tre anni dopo, insieme al nome con cui si sarebbe firmata per sempre: Suor Arcangela Tarabotti.
Nonostante detestasse l’idea di essere entrata in convento, comunque, Suor Arcangela non venne mai meno ai suoi voti e alla volontà della sua famiglia. Rimase nel convento di Sant’Anna in Castello fino alla morte, sopraggiunta il 28 febbraio 1652.
Convento di Sant'Anna in Castello Fonte della foto: Wikipedia
Il femminismo di una monaca
Come già accennato, Suor Arcangela Tarabotti non si fece monaca volentieri, tutt’altro. Tuttavia rimase in convento, ben sapendo di non avere alternative. Non subì la sua sorte in religioso silenzio: approfittò della sua posizione per studiare e scrivere. Fu così che divenne famosa per essere una delle progenitrici del femminismo: scrisse molti libri che denunciavano la sua condizione di monaca forzata, dando voce a moltissime donne come lei.
Le opere più famose di Suor Arcangela furono La Tirannia paterna, scritta sotto lo pseudonimo di Galerana Baratotti (anagramma del suo nome), La semplicità ingannata e L’inferno monacale. Queste opere denunciarono non solo le famiglie veneziane, che imponevano la monacazione alle donne senza dare loro alcuna possibilità di scelta, ma anche la società veneziana e la Chiesa stesse, che formalmente non approvavano la monacazione forzata, tuttavia chiudevano un occhio in virtù dei soldi ricevuti e del buon nome delle famiglie.
Un’altra opera degna di nota fu Che le donne siano della specie degli uomini. Fu l’ultimo scritto di Suor Arcangela Tarabotti, pubblicato in forma satirica in risposta ad un trattato del 1647, il cui autore sosteneva che donne non avessero un’anima. Con questo testo, Suor Arcangela demolì il trattato punto per punto, citando le Sacre Scritture.
Ecco chi fu Suor Arcangela Tarabotti. Una donna forte e indomabile, che si ribellò alle regole imposte dall’alto. È anche a lei che dobbiamo le nostre conquiste.
Classe 1988, padovana di nascita, veneziana di adozione. Diplomata in lingue, adoro scoprire cose nuove. Credo molto nell’importanza delle parole e del loro significato. La scrittura, per me è un mezzo per informare ed esprimere la mia creatività.