Il teatro nell’antica Roma aveva una grossa importanza nella vita quotidiana.
Le prime rappresentazioni si tennero nel 364 a.c., durante le celebrazioni dei Ludi, cioè le festività dedicate agli dei. In queste occasioni c’erano delle corse equestri, combattimenti tra gladiatori o gare di caccia.
In quell’anno si esibirono degli attori etruschi con farse, parodie, canti e danze. Tutto ciò ebbe successo così da decidere di ripetere l’esperienza nelle festività successive.
Iniziarono così a realizzare i primi teatri, cioè delle costruzioni in legno provvisorie, poste all’interno del circo o di fronte ai templi di Apollo e della Magna Mater; successivamente – siamo nell’88 a.c. – presero erigerli in muratura e gli architetti, per creare delle illusioni sonore, posero dei vasi di terracotta sotto ai sedili.
Quali sono stati i tipi di rappresentazione?
La tragedia
Il genere tragico fu ripreso dai greci. A seconda dell’ambientazione era suddivisa in altri sottogeneri: se greca era detta fabula cothurnata (da cothurni, le calzature degli attori greci) oppure palliata (da pallium, un ampio mantello usato nelle commedie); se trattava le vicende politiche di Roma, era detta praetexta (dalla toga praetexta, in uso tra i magistrati).
I Fescennini
Sono due, le ipotesi di derivazione:
- Fescennium, città al confine fra Etruria e Lazio, dove era diffusa l’usanza che, per festeggiare l’abbondanza del raccolto, si scambiassero dei versi rozzi e sboccati come espressione di ringraziamento alla divinità.
- Fascinum, dal latino malocchio, quello gettato agli altri carri carichi di uva in occasione della vendemmia.
Il fescennino non fu una vera e propria rappresentazione teatrale, anche se contribuì in modo efficace alla nascita della drammaturgia latina.
La sua mordacità, raggiunse dei livelli tali da far intervenire la censura che, con le “Leggi delle XII tavole”, poteva infliggere la pena di morte a chiunque componesse dei versi infamanti contro un cittadino romano: tuttavia, il suo carattere licenzioso sopravvisse a livello popolare,
Le Atellane
Il termine deriva dalla città campana di Atella, fra Capua e Napoli, i cui abitanti ebbero il coraggio di schierarsi, durante la II guerra punica, contro Roma.
Secondo altre fonti, ha origine da Acetum, la regione dove sorgeva la cittadina: luogo d’incontro delle più svariate correnti etniche e culturali. Erano delle improvvisazioni di breve durata, di contenuto farsesco e vernacolare, usate nella conclusione degli spettacoli tragici, per ridare agli spettatori un senso di serenità. I personaggi più frequenti erano il Pappus, il vecchio ridicolo, Maccus, lo scemo maltrattato, Dossenus, il gobbo imbroglione, Bucco, il maleducato, spesso nel ruolo di servo.
Il Mimo
Era un’azione drammatica di breve durata, di carattere caricaturale, e di derivazione greca, particolarmente diffuso presso i Siracusani e i Tarantini. I soldati romani avevano imparato a ad apprezzarlo specialmente durante la guerra di Pirro e la prima guerra punica. Questo genere ricorreva a interpreti donne per i personaggi femminili (nelle altre rappresentazioni, erano attori maschi a interpretare le donne). Avevano però personaggi fissi, facilmente distinguibili per via del loro abbigliamento tipico.
La Satira
Forse derivata dai “fescennini versus”, il grammatico Diomede ne proponeva quattro ipotesi di derivazione:
- Satyra, ovvero col dramma satiresco greco, al fine di cantare una progenie illustre;
- Satura lanx cioè il piatto contenente le primizie, dono votivo agli Dei;
- Saturam, che alludeva al carattere misto di quelle rappresentazioni;
- Lex satura, per indicare la varietà di soggetti riscontrabile in una composizione poetica..
Il teatro durante l’Impero
Alle rappresentazioni e ai giochi potevano accedere tutti. A Roma c’erano tre teatri, che complessivamente potevano ospitare ben 60.000 spettatori.
Giochi e spettacoli riunivano grandi folle: da un lato servivano a distrarre dalle attività politiche, dall’altro erano gli unici momenti di riunione della gente e di incontro diretto tra governanti e popolo.
A Roma le rappresentazioni teatrali erano finanziate dallo stato e si svolgevano durante i ludi o in occasione di cerimonie religiose, trionfi militari, elezioni politiche, funerali di personalità pubbliche.
Soprattutto durante l’Impero l’accesso a teatro era gratuito per tutti, ma era necessario possedere un permesso che consisteva in una tavoletta d’osso con segni incisi. Questo serviva a controllare il numero degli spettatori e dirigerli verso i settori assegnati.
I posti erano stabiliti in base all’ordine sociale: i sedili di prima fila, muniti di cuscini, erano riservati ai senatori, le quattordici file più indietro erano per i cavalieri, i restanti posti disponibili per la plebe.
Il ruolo dell’attore
A differenza di quanto avveniva nella Grecia classica, un attore romano era un uomo disonorato agli occhi della morale e della legge. I censori cancellavano l’attore dai registri della città e lo dichiaravano incapace giuridicamente e politicamente;
L’infamia posta sugli attori derivava dalla paura della dissacrazione delle autorità. Gli unici che sfuggivano a questo trattamento furono gli attori di atellana, gli unici anche a portare la maschera.
Il pubblico
Gli storici hanno accusato il pubblico romano di aver causato la morte del teatro, in quanto lo consideravano incolto, rumoroso e insensibile alla finezza di commedie di alto livello, come quelle di Terenzio. Secondo gli stessi studiosi, i romani avrebbero disertato i teatri a vantaggio dei circhi, causando la sparizione progressiva della commedia e della tragedia.
In realtà la condanna del teatro avvenne per mano del cristianesimo e degli imperatori cristiani.
Non è corretto definire rozzo il pubblico romano solo perché non era interessato alla letteratura, la sua cultura era differente da quella greca: Atene era incline al discorso e al giudizio, Roma era più portata alla musica e alla percezione immediata.
Ricordiamo che nell’Impero c’era un’alfabetizzazione simile a quella di oggi: tutti sapevano leggere, scrivere e far di conto, oltretutto la cultura era gratuita, le biblioteche erano accessibili a tutti, e così gli spettacoli di teatro, cosa che non avviene ai giorni nostri.
Nato in un torrido ferragosto del 1968 a Milano, dove vive tutt’ora.
Si considera vecchio fuori, ma giovane dentro: in realtà è vecchio anche dentro.
La scrittura è per lui un piacere più che una passione, dal momento che – sua opinione – la passione stessa genera sofferenza e lui, quando scrive, non soffre mai, al massimo urla qualche imprecazione davanti al foglio bianco.
Lettore appassionato di generi diversi, come il noir, il thriller, il romanzo umoristico e quello storico, adora Calvino, stravede per Camilleri e si lascia trascinare volentieri dalle storie di Stephen King e di Ken Follett.
Appassionato di musica, ascolta di tutto: dal rock al blues, dal funky al jazz, dalla classica al rap, convinto assertore della musica senza barriere.
Nel 2020 è uscito il suo primo romanzo, dal titolo “L’occasione.”, genere umoristico.
Ha detto di lui Roberto Saviano:”Non so chi sia”.