La celebre commedia di Scarpetta “Il Medico dei Pazzi”, capolavoro assoluto di comicità, rivive di nuova luce nell’adattamento diretto da Claudio Di Palma. Siamo negli anni Cinquanta. Qui ritroviamo Felice Sciosciammocca, giunto a Napoli per fare visita al nipote Ciccillo che gli ha fatto credere di essere medico e proprietario di una clinica “per matti”. Le frustrazioni, le speranze, le ambizioni degli stravaganti personaggi si trasformano in assolute follie agli occhi dello stralunato Sciosciammocca, regalando al pubblico irresistibili spunti di travolgente comicità.
La commedia
Un giovane sfaccendato e disoccupato, inopinatamente scialacquatore al gioco, fa credere a suo zio Felice Sciosciammocca, sindaco di Roccasecca e suo ingenuo finanziatore, di essere medico a Napoli in una clinica per malati di mente. Al sopraggiungere inatteso dello zio il giovane si affanna a tessergli contro un intricato raggiro. Spaccia i clienti di un albergo da lui frequentato come i casi clinici che è impegnato a seguire e curare.
In effetti, le caratterialità degli ospiti rendono sufficientemente credibili agli occhi dello zio Felice le anomalie psichiche loro attribuite dal giovane e conseguentemente il poveruomo, tutto teso ad assecondare le volontà dei “pazzi”, diventa artefice e vittima di una continua e crescente serie di equivoci esilaranti. Il lieto fine è misuratamente annunciato e realizzato. La scoperta dell’inganno, la confessione ed il perdono diventano, così, fasi di una liturgia della pacificazione che sancisce e chiude come da tradizione ogni invenzione di Scarpetta. Mutuando le dinamiche delle vaudevilles francesi, Scarpetta prefigura, nelle sue opere, esasperazioni comiche che provengono in ogni caso da spaccati di vita possibile.
La società parallela che teatralmente immagina ha, infatti, punti di contatto con un mondo reale, quello partenopeo d’inizio Novecento, popolato ancora da macchiettismi naturali e da rarità fisico-comportamentali. Il suo abile gioco drammaturgico consiste nell’inserimento surreale di queste eccentriche zoomorfie umane in contesti e situazioni che ne accelerano il potenziale buffo e buffonesco. La sua grammatica scenica farcisce i personaggi di un linguaggio composto da strafalcioni e nonsense, articolando così rapporti che, nella moltiplicazione dell’assurdo, sappiano anche testimoniare vizi e manie assolutamente verosimili. È così che, ad esempio, il risibile complotto che il giovane rampollo ordisce ai danni dell’ingenuo zio Sciosciammocca diventi occasione, magari non cosciente, ma non per questo meno efficace, di un’analisi dei rapporti tra il vero e il falso, tra la sanità mentale e la follia.
Il medico dei pazzi è, in questo senso, un emblematico, complesso e riuscito ingranaggio teatrale in cui la comicità nasce infondo dal contrasto continuamente opposto dagli eventi (dalla vita) ai legittimi desideri e ai plausibili propositi dei più disparati avventori. Impietosamente, ma con spirito divertito, Scarpetta fa inciampare le sue creature in mille frustrazioni trasformando così agli occhi di Sciosciammocca, e soprattutto del pubblico, le loro minute, quotidiane speranze in assolute follie. Scarpetta suggerisce a tutti, insomma, di riconoscere l’insania e lo squilibrio che frequentemente informano la nostra ostentata assennatezza e nel sonoro divertimento che sa generare, nasconde note sottili e taglienti che restano come vago e misterioso riverbero della più gioiosa risata.
Note di regia
Occorre riconoscere che in taluni casi le scelte registiche rispondono a quel fenomeno di transitorietà creativa (quando va bene) che prende il nome di suggestione: un’insinuazione sotterranea, un’induzione a volte anche arbitraria. Nel caso de Il medico dei pazzi, per conseguire le ragioni che hanno spinto allo studio della sua messa in scena, la suggestione ha avuto nome: filodiffusione. Una innovazione tecnologica che arriva in Italia a fine anni ’50 e che determina il tentativo di convertire molti luoghi pubblici, relazionati per lo più al concetto di cittadino come cliente, ad occasioni di piacevole rilassatezza.
Alberghi, lidi balneari, negozi, ma anche studi professionali, uffici ricreano ambienti pacificanti attraverso la trasmissione continua di musica a basso volume e in gran parte carezzevole. Una colonna sonora perpetua e sottile il cui andamento muove la necessità di riposare gli animi, di metterli a proprio agio. Animi, invece, all’epoca per nulla propensi all’adagio e agitati piuttosto da un vortice di nuovi interessi quotidiani in cui disinvolto disimpegno ed affannoso arrivismo andavano entrambi assumendo la connotazione del vizio. Una frenesia che porta i segni di un ritmo prevalentemente cittadino a cui la rarefazione della provincia paesana opponeva resistenza inconsapevole. Una discrasia musicale di tempi che evidenziava uno scarto profondo di usi e linguaggi fra i centri e le periferie. Un’ultima frattura prima del processo, neppure lento, certamente inarrestabile dell’omologazione.
Ecco! In fondo è tutta qui la sproporzione di identità fra Felice Sciosciammocca da Roccasecca e gli altri (davvero tutti, anche sua moglie). Ecco le ragioni delle sue sorprese, delle sue paure, del suo disorientamento. Ecco, di conseguenza, i motivi della sua comicità: scaturiscono dalla sua inopportunità linguistica, estetica, emotiva. I tic compulsivi, i tentativi di accreditamento sociale dei cittadini che incrocia, pur plausibili, gli sembrano immotivati e folli; capaci di condannarlo ad una sorta di buffa e dolente solitudine. Ecco, infine, le ragioni per rimodulare e ricollocare luoghi e linguaggi della commedia nella fine degli anni Cinquanta accompagnandoli, a questo punto quasi inutile dirlo, dai suoni lontani della filodiffusione.
(Claudio Di Palma)
Personaggi e interpreti
Felice Sciosciammocca – Massimo De Matteo
Ciccillo – Luciano Giugliano
Michele – Renato De Simone
Don Carlo – Andrea de Goyzueta
Errico – Giovanni Allocca
Peppino – Raffaele Ausiello
Concetta – Chiara Baffi
Amalia – Angela De Matteo
Rosina – Valentina Martiniello
Raffaele – Fabio Rossi