Non c’è un barlume di speranza che tenga in “Mater Camorra – O’ paraustiello da’ Squarciona”, in scena al Teatro Instabile di Napoli, che compie vent’anni dal suo debutto nel 2002.
L’opera teatrale, nata da un’idea di Michele Del Grosso e realizzata da Gianni Sallustro alla regia, traspone in scena uno dei mali più grandi e radicati nella nostra società: la camorra nella sua crudeltà più infima e spregevole. E lo fa seguendo il modello di uno dei più influenti drammaturghi del XX secolo, ovvero la “Madre Coraggio e i suoi figli” di Bertolt Brecht.
La “Madre Coraggio”
“Madre Coraggio e i suoi figli” è uno dei capolavori di Brecht, scritto nel 1938, che alla vigilia della Seconda guerra mondiale denunciava gli orrori e le contraddizioni della guerra.
La protagonista è Anna Fierling, una vivandiera che si sposta continuamente da un paese all’altro e durante la guerra dei Trent’anni cerca di guadagnarsi da vivere proprio nei territori coinvolti nel conflitto. Facendo affari in alternanza con i soldati dell’ esercito cattolico e quelli dell’esercito protestante, lei è definita “Madre Coraggio” perché alleva da sola tre figli che cerca di proteggere ma che suo malgrado saranno coinvolti nella violenza della guerra.
“O’ paraustiello da’ Squarciona”
Il “paraustiello” nella lingua napoletana è un discorso ipocrita, una scusa insostenibile, volto a persuadere l’interlocutore in modo furbo; mentre invece il detto “essere ‘nu squarcione”, sempre in dialetto, è diretto ad una persona che ama comparire, il cui egocentrismo non bada a spese.
Il titolo dell’opera è evidentemente riferito alla protagonista Anna (Nicla Tirozzi), detta anche “Madre Coraggio” o ancora “ ‘a Squarciona”, a sottolineare la contraddizione che sta nel voler proteggere i suoi tre figli – ripresi dal dramma di Brecht e ribattezzati Tonino, Rafele e Catarina – mentre nel contempo si rende figura di spicco negli affari camorristici, mettendo a rischio la vita di tutta la famiglia. E sarà proprio questo suo atteggiamento a smascherare ogni sua illusione alla fine.
Una scena di "Mater Camorra"
Intorno ad Anna, che gira con il suo grosso carro carico di vivande, scolpito con quelle che sembrano essere teste di sfingi, girano anche un’altra serie di personaggi: primo fra tutti un prete dall’aria inquietante e malefica ( lo stesso Gianni Sallustro) che porta sulla tonaca che indossa, sporca e insanguinata, i segni della corruzione. Ci sono poi i tre figli, di cui i due maschi già pienamente coinvolti nelle losche vicende della criminalità; mentre ne resta fuori la dolce Catarina, che non può parlare ed è l’unica vestita di bianco su una schiera di abiti neri e lerci, a simboleggiare la sua purezza rimasta ancora integra.
Infine ci sono una ventina di personalità, ognuna legata per motivi diversi alla sete di denaro. Anche le banconote cucite sui loro vestiti parlano chiaro.
Per via metaforica tutti i personaggi di “Mater Camorra” vengono rappresentati come “bestie”, ognuno ha il suo doppio-animale, a raffigurare quello che la malvagità del mondo li ha costretti a diventare. C’è il prete – serpente e personificazione stessa del male, c’è la prostituta- gattina che si lecca da sola le proprie ferite, ci sono le assassine-“zoccolette” pronte a trucidare chiunque ostacoli i propri interessi; c’è infine l’ingenuo usignolo incarnato da Catarina.
Elemento preponderante è proprio lo sfondo sonoro costruito dai versi animali che accompagnano lo spettacolo per tutta la sua durata.
Quella del Teatro Instabile è una sala teatrale a mò di teatro elisabettiano: senza palco, costituita da uno spazio aperto al centro e dalla forma circolare, che accoglie tre file di posti a sedere per un pubblico che è chiamato a partecipare in prima linea alla performance.
Accolti al buio, in quello che sembra essere un tenebroso giardino zoologico – tra ululati, abbaìi mugolii, nitriti, cinguettii – gli spettatori sono scaraventati immediatamente in un clima sconcertante, tra rumori e urla.
Nel trambusto generale spicca la recitazione dei protagonisti, quasi tutti attori molto giovani, intensa e pungente, che racconta in modo crudo ed estremo la dannazione esistenziale di chi vive la criminalità in prima persona.
In un crescendo di pathos, tra periodi di “guerra” e altri brevissimi di “pace”, i conflitti tra i clan arrivano a macchiare di sangue anche l’anima più innocente: Catarina, lasciata sola dalla madre allontanatasi per delle commissioni, viene uccisa a colpi di pistola. In un quadro struggente che ricorda tanto la Pietà di Michelangelo, la madre Anna cinge il corpo senza vita della figlia affiancata dagli altri due figli deceduti. Tutti i ragazzi protagonisti iniziano tutt’intorno un gran baccano, iniziando a ripetere in coro “fermateci”, prima piano in un sussurrio e poi con un tono sempre più alto che sfocia nel collettivo grido finale “FERMATECI!” , così potente e spiazzante che inonda tutti i presenti, compresi gli attori stessi, di una forte commozione.
“Mater Camorra” è dedicata a tutte le vittime della camorra e la dedica particolare è per Gaetano Montanino, guardia giurata uccisa il 4 agosto 2009 durante una sparatoria avvenuta in piazza Mercato a Napoli, mentre stava svolgendo la sua ordinaria attività di controllo. Al Teatro Instabile era presente anche sua moglie, Lucia di Mauro, che si è fatta carico del ragazzo, ai tempi minorenne, che tolse la vita al marito e sta dedicando la propria vita a supportare tanti adolescenti come lui che incontra nel carcere di Nisida e in altri istituti.
Laureata in Archeologia, Storia delle Arti e Scienze del Patrimonio Culturale alla Federico II di Napoli. All’età di 5 anni volevo fare la “scrittrice”, mentre adesso non so cosa di preciso mi riserverà il futuro. Ma una cosa certa è che la scrittura risulta essere ancora una delle mie attività preferite, una delle poche che mi aiuta di tanto in tanto ad evadere dal mondo.