Scrivere sulla storia dei teatri in questo periodo, in cui, causa Covid, sono tutti chiusi può sembrare bizzarro, ma in realtà è ancora più necessario proprio adesso farlo, per sottolineare l’importanza che hanno avuto e sempre avranno nella cultura del nostro paese. Ne è esempio lampante il teatro Brancaccio di Roma, un’istituzione presente nella capitale da più di cent’anni, che ha visto passare sul proprio palco i migliori attori e artisti della scena italiana e internazionale e che è talmente centrale nella vita della città da essere considerato tout court “il teatro di Roma”.
Costruito su progetto dell’architetto Luca Carimini e in seguito realizzato dall’ingegnere Carlo Sacconi, il teatro Brancaccio viene inaugurato il 16 gennaio 1916 con il nome, inizialmente, di teatro Morgana. Situato in via Merulana, tra i quartieri Esquilino e San Giovanni, venne ribattezzato negli anni ’30 col nome attuale, preso dallo storico palazzo Brancaccio.
Da allora sul suo palcoscenico si sono alternati mostri sacri della recitazione quali Anna Magnani, Ettore Petrolini, Totò, Aldo Fabrizi, ma anche musicisti come Fabrizio De André, Adriano Celentano, fino a leggende quali Jimi Hendrix e Louis Armstrong.
Decadenza e rinascita del Teatro Brancaccio
Alla fine degli anni ’60 e per buona parte degli anni ’70 il teatro Brancaccio, di proprietà del Comune di Roma, risentì di un periodo di profonda crisi. Crisi da cui riuscì a riemergere grazie in particolare ad una persona, il cui nome non a caso è inscindibilmente legato alla storia del teatro in questione: Gigi Proietti. L’attore, recentemente scomparso, assume infatti nel 1978 la direzione artistica, insieme a Sandro Merli, del Brancaccio, restaurandolo e riaprendolo insieme ad un altro suo collega, Gabriele Lavia. Il primo spettacolo con cui si inaugura la nuova stagione e la rinascita del teatro è il Gaetanaccio di Luigi Magni, una commedia musicale in dialetto romanesco diventata un cavallo di battaglia di Proietti. Che, non pago del successo personale, decide di creare proprio nei locali del Brancaccio un Laboratorio di Esercitazioni Sceniche per giovani promesse della recitazione.
Insieme ai suoi allievi, porterà in scena durante tutti gli anni ’80 una serie di rappresentazioni molto apprezzate e, dalle fila di questa scuola, usciranno numerosi nomi noti del panorama dello spettacolo italiano, quali Massimo Wertmüller, Giorgio Tirabassi, Pino Quartullo, Flavio Insinna, Enrico Brignano e Sveva Altieri. Inizialmente, prima che arrivassero i contributi regionali, è lo stesso Proietti a tenere in piedi l’iniziativa, di tasca sua, come si verrà a sapere in seguito.
Il pasticciaccio brutto di via Merulana 2: la faida Proietti – Costanzo
Proietti dona quindi anima, ‘core – come avrebbe detto lui – e portafogli alle attività del Brancaccio, divenendo dal 2001 al 2007 direttore artistico unico del teatro. Ma, come da titolo del celebre romanzo di Gadda, la via dove si trova il Brancaccio è palcoscenico di un altro “pasticciaccio”, che per una volta vede il teatro protagonista e non luogo dell’esibizione.
Nel 2007, infatti, per dei malintesi mai troppo ben chiariti tra i gestori storici del Brancaccio, la famiglia Longobardi, Proietti che avrebbe dovuto vedere rinnovata la sua carica di direttore artistico, e Maurizio Costanzo, che apparentemente gliel’avrebbe soffiata da sotto il naso, nasce un’animosa querelle tra i due personaggi dello spettacolo. La lite assurge agli onori di cronaca, Proietti tenta di affittare in prima persona il teatro, minaccia di fare causa a Alessandro Longobardi, dichiara amaramente che se adesso l’affitto che lui propone è troppo basso è grazie a tutto il lavoro da lui precedentemente fatto, che ha portato prima di tutto alla sopravvivenza e poi alla rinascita del Brancaccio. Scatta una mobilitazione generale del mondo dello spettacolo, Costanzo rinuncia, ma ormai l’idillio tra l’attore romano e il teatro è irrimediabilmente rotto. Come da copione nel mondo dello spettacolo, alla fine si è tutti amici uguale, ma rimane, nelle interviste rilasciate da Proietti, la sensazione che proprio proprio uguale non sia rimasto affatto.
Forse anche per questo, a parziale compensazione del torto subito, all’indomani della morte del popolare mattatore è comparso sulla serranda del teatro un murales su cui campeggia il suo ritratto, eseguito dallo street artist Maupal. E forse anche per questo un commosso Tullio Solenghi prima, poi Carlo Verdone, in seguito altri ancora hanno chiesto a gran voce che il teatro Brancaccio venga rinominato Teatro Proietti in suo onore.
Il teatro Brancaccio oggi
In attesa di scoprire se e quando la proposta di dedicarlo alla memoria di Gigi Proietti sarà accettata, non resta che sperare che i 1680 posti della sua sala, composta da platea e doppia balconata e risultato di una recente ristrutturazione, possano essere al più presto di nuovo occupati da spettatori. Per il momento, rimane in cartellone dal 17 al 21 marzo la Divina Commedia Opera Musical, per la regia di Andrea Ortis. Nell’anno dell’anniversario dantesco, quale miglior modo per rivedere la vita scorrere tra le file di questo centro nevralgico della cultura romana e nazionale?
Scrivo da sempre. Da quando ancora non sapevo farlo, e scrivevo segni magici sulle tende di mia nonna, che non sembrava particolarmente apprezzare. Da quando mio nonno mi faceva sedere con lui sul lettone, per insegnarmi a decifrare quei segni magici, e intanto recitava le parole scritte da altri, e a me sembravano suoni incantati, misteriosi custodi di segreti affascinanti e impenetrabili, che forse, un giorno lontano, sarei riuscita a comprendere e che, per il momento, mi limitavo ad assaporare sognante. Sogno ancora, tantissimo, e nel frattempo scrivo. Più che posso, ogni volta che posso, su ogni cosa mi appassioni, mi incuriosisca o, più semplicemente, mi venga incontro, magari suggerita da altri.
Scrivo per Hermes Magazine e per altri siti, su vari argomenti, genericamente raggruppabili sotto il termine di “cultura“. Scrivo anche racconti, favole, un blog che piano piano prende forma, un libro che l’ha presa da un po’ e mi è servito a continuare a ridere anche quando tutti intorno a me sembravano impazzire (lo trovate ancora su Amazon, mai fosse vogliate darmi una mano a non smettere di sognare).
Scrivo perché vorrei vivere facendolo ma scriverò sempre perché non riesco a vivere senza farlo.
Scrivo perché, come da bambina, sono affascinata dal potere di questi segni magici che si trasformano in immagini, in pensieri, in storie. E, come da bambina, sogno di possedere quella magia che permette loro di prendere vita dentro la testa e nell’immaginazione di chi li legge.