Fonte foto: Elisa Nanini
Ecopoesia: versi per la nostra grande casa
Ecopoesia: la parola stessa, nelle sue due componenti, “eco” (dal greco òikos, “casa”, “habitat”) e “poesia” (dal greco poiéin, “fare”, “creare”), contiene e auspica una missione poetica in direzione verde, un attivismo artistico rivolto alla salvaguardia dell’ambientein cui viviamo.
Lontana da uno scenario bucolico e mitizzato, l’Ecopoesia è un genere letterario che prende le mosse da un’acquisita consapevolezza in questioni ecologiche, animato dal desiderio di dare voce alla Natura ferita.
Pur non essendo mancati poeti che hanno preannunciato, in autonomia, un considerevole impegno ambientalista, solo a partire dall’ultimo decennio del XX secolo si può ascrivere, in area anglosassone, la nascita, lo sviluppo e la diffusione dell’Ecopoetry come movimento poetico, ecologista e sociale, dotato di specificità tematiche e formali inserite in un programma definito.
La coscienza di abitare e di essere parte integrante dell’universo spinge l’ecopoeta a denunciare una crisi, il grido di chi non può parlare, una preghiera di conservazione. L’ammirazione della bellezza naturale incontaminata e la critica dei soprusi umani sono azioni complementari nel rapporto empatico che si crea tra l’ecopoeta e la sua grande casa, la Terra. La percezione di connessioni profonde osteggia e supera la dimensione antropocentrica ed egoistica.
Helen Moore (Chalfont St. Giles, 1971), premiata attivista, ecopoeta e artista, apre il suo saggio What is Ecopoetry?, pubblicato sull’International Times nell’aprile del 2012, con un quesito o, meglio, un appello rivolto alla sensibilità dei poeti d’oggi:
“How can today’s poets respond to the natural world without referencing the devastation that the industrial growth economy and war have inflicted on it?”
La violenza inflitta al nostro pianeta, dallo sfruttamento indiscriminato di risorse sino alla guerra, deve essere avvertita e condannata affinché si possa far crescere, dall’amore per ciò che ci circonda, la luce di una cura per il futuro.
Manifesto di Ecopoesia Italiana
Sull’esempio anglosassone, nel 2005 è stato promulgato il Manifesto di Ecopoesia Italiana, a cura della biologa e scrittrice Maria Ivana Trevisani Bach (Albissola, 1942). Questa dichiarazione di intenti, articolata in punti fondamentali, dalla definizione dei valori sino al linguaggio e alla comunicazione, inquadra con chiarezza l’Ecopoesia e il panorama globalizzato in cui opera.
Contro un’involontaria apatia a dati e immagini causata dal bombardamento mediatico, l’Ecopoesia si pone come anello di giuntura necessario tra sentimento e ragione, per risvegliare obiettivi importanti nelle giovani generazioni. Al centro di una “nuova filosofia morale”, libera da gabbie “gerarchiche o ideologiche”, c’è la tutela dell’ambiente e, di conseguenza, l’imperativo di una poesia “multidimensionale”, che possa toccare corde emozionali, ma, allo stesso tempo, stimolare razionalmente la responsabilità e la coscienza collettiva.
L’ecopoeta deve, perciò, guardare e ascoltare, farsi “tramite” della Natura in cui è immerso. Il Manifesto di Ecopoesia Italiana delinea così la figura dell’ecopoeta:
“Testimonia i diritti di quei viventi che non hanno diritti. È colui che si sente interconnesso con la creazione e ne riporta emozioni dal di dentro; l’animale torturato, l’albero sradicato, l’intera terra inquinata, parlano direttamente attraverso i suoi versi. In definitiva, l’ecopoeta parla per questa casa comune, unica ed irripetibile, che va salvaguardata nella sua peculiarità e nella sua bellezza.”
Sul piano della forma, i versi sono caratterizzati da semplicità e limpidezza, al fine di una poesia trasmissibile e traducibile senza difficoltà. Di fronte al fenomeno della globalizzazione, l’Ecopoesia mira a un linguaggio accessibile, attuale e inclusivo, ponte di culture: sono esclusi quindi gli sfoggi di erudizione, le “vecchie mode sibilline delle avanguardie” e le “tradizioni poetiche locali”.
Costruire una rete di arte e informazione significa credere in una visione allargata, toccare la sofferenza del presente con la speranza di ridisegnare il concetto di progresso all’insegna dell’ecosostenibilità.
Il pianto dell’albero tagliato: Maria Ivana Trevisani Bach
La poesia Albero di Maria Ivana Trevisani Bach, tratta da Ecopoesie nello Spazio-tempo (Serarcangeli Editore 2005), esemplifica e rispecchia gli ideali che nutrono l’Ecopoesia.
Versi nitidi e musicali ripercorrono con amarezza e disincanto il momento del taglio di un faggio. Una lente d’ingrandimento si sofferma sulla Natura offesa per mano umana: la poesia restituisce voce al pianto muto, eco alla storia che si accumula nei cerchi di un respiro spezzato.
“…Muto, il fusto appena troncato,
piange limpide perle di linfa
e mostra, nella ferita, numerosi concentrici anelli;
impronte di un lungo e remoto passato:
inverni di neve, di vento e di ghiaccio,
concerti gioiosi di canti di uccelli
nel tiepido sole
del mese di maggio…”
Nella “ferita” c’è la verità della vita recisa, la coincidenza tra lacrima e “linfa”: il silenzio arboreo espone i segni degli anni, il mistero e la memoria di stagioni e passaggi come il grande lascito di un’anima universale.
Laureata in Lettere moderne all’Università di Bologna, collaboro con il Poesia Festival e sono redattrice di «Hermes Magazine» e di «Laboratori Poesia». I miei versi sono stati selezionati nello spazio La bottega di Poesia de «La Repubblica» (Bologna, maggio 2019), nell’Almanacco «Secolo Donna 2022» (Macabor Editore 2022), in vari concorsi poetici e per riviste on line. Nel 2020 ho pubblicato la mia prima raccolta di poesie, Cosa resta dei vetri (Corsiero Editore), e nel 2023 ho curato l’antologia Il grido della Terra (Macabor Editore).