Michelangelo Merisi da Caravaggio (1571-1610) è stato uno dei più grandi artisti italiani della sua epoca. Un personaggio ribelle e anticonformista sia nella vita avventurosa e sregolata, sia nella produzione pittorica con l’introduzione di tecniche e innovazioni stilistiche capaci di rivoluzionare la concezione di tutta la produzione artistica posteriore.
Nato in quel di Milano da una famiglia originaria del piccolo borgo di Caravaggio, il giovane Michelangelo poco più che ventenne approda a Roma città fulcro della sua vita dissoluta.
Vivrà il periodo romano tra miserie e risse nei quartieri malfamati ed i fasti delle corti pontificie, dove, dopo un periodo di indigenza, i suoi quadri verranno apprezzati e contesi dalla nobiltà e dal ricco clero.
La luce e il conseguente gioco di ombre, le incidenze sui soggetti delle fonti luminose stesse, i fondi scuri e lo studio di punti di vista così diversi dalle costruzioni canoniche delle impostazioni sceniche, hanno modellato i suoi dipinti, apprezzati soprattutto dalle menti più illuminate del suo tempo, che lo eleggeranno a “pictor praestantissimus”, ma che non lo salveranno da una esistenza inquieta e torbida.
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La canestra di frutta
Un’altra delle peculiarità dell’artista è una carica rivoluzionaria che esclude la ricerca del “bello” in se stesso, per privilegiare un verismo non ideale, drammatico e plastico, ma profondamente innovativo per l’epoca; un andare oltre le convenzioni sia stilistiche che compositive per costruire una visione personale provocante. Le sue madonne hanno i volti e i corpi delle prostitute romane, i piedi dei pellegrini sono sporchi della polvere dei loro passi, è un cavallo che occupa tutta la scena centrale della “Conversione di San Paolo”.
Una attinenza al vissuto reale che Caravaggio persegue con coraggio e ostinazione sin dalle primi dipinti.
La canestra di frutta è infatti uno dei lavori giovanili. Datata tra il 1597 e il 1600, rappresenta un semplice cesto di frutta. Ma proprio il soggetto è innovativo. Infatti non era mai stata presa in considerazione, prima di allora, la possibilità di raffigurare dei semplici elementi naturali come protagonisti primari di un quadro. In un primo tempo infatti gli storici ipotizzarono si trattasse di un ritaglio da una tele di più grandi dimensioni, e solo recentemente, nel 1951, Roberto Longhi ha potuto rendere all’opera la sua reale essenza di dipinto a se stante.
Una “natura morta” quindi, la prima in tutto il panorama della storia dell’arte.
Non solo: la frutta e le foglie all’interno della cesta di vimini sono come il pittore li osservava in quel momento. Le foglie quasi secche, la frutta con i segni degli attacchi degli insetti, per sfondo un muro intonacato sommariamente. Pertanto non una celebrazione, ma un realismo malinconico, nel quale alcune interpretazioni vogliono vedere la rappresentazione della precarietà dell’esistenza umana.
L’opera, di piccole dimensioni, fu forse commissionata dal cardinal Borromeo durante un suo soggiorno a Roma. A un attento esame radiografico, si è poi scoperto come la tela utilizzata fosse già stata dipinta in precedenza a ulteriore riprova delle condizioni di indigenza in cui Caravaggio si trovava nei suoi iniziali anni romani.
Attualmente la tela è esposta presso la Pinacoteca Ambrosiana di Milano.
Una morte prematura
Caravaggio fu costretto a lasciare Roma per fuggire a una condanna capitale a causa di un omicidio da lui commesso in una rissa. Napoli, Malta, Messina e poi ancora Napoli, città dove tutt’oggi troviamo alcune delle sue opere dell’ultimo periodo, lo videro esule, in cerca di protezione e della grazia del Papa . Ma proprio quando Paolo V gli concesse il tanto agognato perdono e il pittore si mise in mare per tornare a Roma, per un malaugurato equivoco fu trattenuto nelle carceri di Palo per due giorni. Invano tentò di raggiungere a piedi la feluca che trasportava le sue tele, a Porto Ercole.
Già convalescente per una aggressione subita, non sopravvisse alle febbri malariche che lo aggredirono brutalmente nella calura di quel luglio 1610. Morì nel sanatorio della cittadina toscana a soli 39 anni. 27Solo nel 2010 uno studio sulle spoglie custodite nell’ossario dell’antico ospitale, hanno permesso di ritrovarne i resti.
Dopo aver seguito studi artistici si interessa appassionatamente ad approfondire i meccanismi e l’evolversi della storia dell’arte contemporanea.
Proprio in qualità di critico d’arte e corrispondente, negli anni ’80 e ’90, ha firmato saggi e recensioni per alcuni dei maggiori periodici del settore, tra i quali: Terzoocchio delle edizioni Bora di Bologna, Flash Art di Milano Julier di Trieste ed il genovese ExArte .
Inoltre affiancherà attivamente come consulente la famosa galleria d’Arte avanguardistica Fluxia durante tutto il periodo della sua esistenza.
Ha partecipato all’organizzazione di numerosi eventi, tra i quali l’anniversario del centenario dell’Istituto d’Arte di Chiavari e la commemorazione del trentennale della morte del poeta Camillo Sbarbaro a S. Margherita L.
Nel 2010 pubblica il suo primo romanzo: “La strana faccenda di via Beatrice D’Este”, un giallo fantasioso e “intimista”.
Nel 2018 pubblica il fantasy storico “Tiwanaku La Leggenda” ispirato alla storia ed alle leggende delle Ande pre-incaiche.
Attualmente collabora con alcuni blog e riviste on-line come “Chili di libri, “Accademia della scrittura”,
“Emozioni imperfette”, “L’artefatto”,” Read il magazine” e “Hermes Magazine” occupandosi ancora di critica d’arte e di recensioni letterarie.