La malattia rappresentata nelle opere d'arte

La malattia rappresentata nelle opere d’arte

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La malattia è sempre stata vissuta dagli esseri umani con una duplice valenza: malattia come punizione divina e malattia come una delle manifestazioni del male e nelle rappresentazioni in campo artistico, quando non è a braccetto con il male è spesso in compagnia della morte o della paura. 

Nel corso della sua storia collettiva la società ha vissuto e imparato a conoscere la malattia in molte delle sue manifestazioni accorgendosi con orrore che tutte le sue varianti hanno un minimo comune denominatore: l’indebolimento e il conseguente deterioramento del corpo.

L’istinto all’autoconservazione unito alla battaglia costante che la malattia intraprende a danno delle creature viventi hanno portato, nel corso della storia, pensatori, medici e religiosi a interrogarsi sulla natura della malattia e su come questa dovrebbe essere gestita. Punti di vista spesso opposti e in constante evoluzione che portano spesso allo scontro fra scienza e dogmi.

Oggi sappiamo che la malattia è spesso legata alla genetica e che nei limite del possibile possiamo mantenerci in forma grazie ad un buon equilibrio psicofisico e che in tale equilibrio consapevolezza, medicina e credenze hanno tutte il medesimo peso.

La malattia nelle opere d’arte

Così possiamo facilmente dire che l’artista contemporaneo che meglio rappresenta il rapporto fra uomo e malattia e il molto discusso Gunther Von Hagens famoso nel mondo come il plastinatore. Gunther Von Hagens è l’anatomopatologo che nel 1977 inventa un processo atto a sostituire i liquidi di un corpo con dei polimeri di silicone. Lo scopo che spinge Gunther Von Hagens a dedicarsi a questa tecnica è quello di riuscire a ottenere dei veri corpi umani con reali patologie da poter sottoporre agli studenti e ai ricercatori. Lo studioso però, deciso a portare la coscienza umana ad un altro livello, non si limita a questo e con i corpi che gli vengono donati crea delle vere e proprie sculture immortali, ognuna accuratamente in posa per sottolineare un le differenze fra uno stile di vita sano e il suo opposto.

Immortalando senza remora diversi stadi di svariate malattie, feti e sezionando con accuratezza tutto ciò che può rendere più chiaro il funzionamento del corpo umano. Il suo lavoro viene inevitabilmente messo in discussione e criticato ma ha un valore così alto sia a livello scientifico che artistico che nel 2015 viene aperto a Berlino un museo interamente dedicato al suo lavoro.

Gunther Von Hagens è consapevole di come tutto ciò che è legato all’uomo è indissolubilmente legato all’arte ed è proprio in onore del grande maestro Rembrandt che anche durante le dissezioni usa sempre un cappello specifico, si tratta di un borsalino nero. Tale cappello è infatti presente nel dipinto datato 1632 Lezioni di anatomia del dottor Tulp proprio sulla testa dell’anatomista.

In entrambi i casi citati troviamo il medesimo approccio alla malattia, un approccio attivo, dove l’uomo è proiettato verso la ricerca per poter arrivare alla risoluzione dei problemi e si tratta del punto d’arrivo di un lungo processo che ritroviamo, andando a spasso per la storia, egregiamente rappresentato già nel corso del 1400 dalle sapienti mani di Bosch. Ne è un esempio il dipinto dedicato alla pratica dell’estrazione delle pietra della pazzia dalla quale prende il nome. 

Si tratta dello stesso approccio con il quale il mondo dell’arte sta affrontando la pandemia che stiamo vivendo, dove il personale sanitario diviene protagonista e eroe e dove si cerca di diffondere prevenzione e l’utilizzo della mascherina.

C’è però un altro aspetto della malattia da considerare, perché come abbiamo detto la malattia è spesso accompagnata dalla paura ed è grazie alle avanguardie artistiche del ‘900 che possiamo vedere la paura unita all’angoscia e al senso di colpa riportate sulla tela senza veli. Per capire meglio questo concetto prendiamo come esempio la sifilide che con molta probabilità è la malattia venerea più rappresentata nella pittura.
Malattia che nell’opera minore di Dürer, datata 1484 e ad essa dedicata, viene rappresentata con inquietudine e paura facendo passare questi sentimenti attraverso vari riferimenti simbolici, come ad esempio le braccia aperte in segno di fratellanza e di accoglienza. Un modo per avvisare che si tratta di una malattia estremamente contagiosa che può cogliere chiunque.

Con l’arrivo delle avanguardie artistiche in cui il sentire dell’artista diventa protagonista dell’opera la simbologia lascia ampio spazio alla soggettività ed ecco così che le rappresentazioni di questa malattia (così come di molte altre) diventano violente e i corpi completamente trasfigurati in favore della manifestazione della parte emozionale, come nel famosissimo caso di Picasso con il suo le demoiselles d’avignon. Citiamo ancora: Klimt, Schiele e Munch che dedicano larga parte del loro lavoro al tema della malattia e al modo in cui dilaga fra la gente più povera. In loro possiamo vedere come l’ombra del malessere si proietti su ogni sfera della vita, anche in quei momenti che dovrebbero comunicare amore e speranza. In pratica grazie alle avanguardie artistiche la malattia percepita dall’artista che osserva si mescola al turbamento interiore dell’artista stesso per prendere vita sulla tela.

 


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