“Morte all’abbazia, l’eredità del santo”: il nuovo giallo di Adriana Barattelli

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Trapiantata in Piemonte, Adriana Barattelli nasce a Roma il 29 febbraio 1960. Fiera di essere romana e finalista al Premio Giallo x 1.000 seconda edizione, afferma di fare il lavoro più bello del mondo: l’insegnante di sostegno. Con la sua tenacia e caparbietà, ha superato tante difficoltà; nella sua scrittura trapela un amore sconfinato per la vita e le cose del passato.

 

Il romanzo

 

A Piedivalle, un paesino nel cuore dell’Umbria, viene rinvenuto un importante documento all’interno dell’Abbazia di Sant’Eutizio, uno dei complessi monastici più antichi in Italia. La Confessio eutiziana, un antico codice medievale in volgare, risalente a un’epoca perfino precedente ai Placiti cassinesi, viene scoperta grazie al lavoro certosino del famoso studioso e paleografo Fratel Carlo Maniscalchi. Tale scoperta riscriverebbe l’intera storia fino ad allora conosciuta e studiata. Tuttavia, circa un mese dopo la diffusione della notizia del suo ritrovamento, la parte finale del testo, l’Appendix, scompare improvvisamente insieme al frate guardiano.

 

Questi eventi porteranno Adriana a far ritorno ai luoghi della sua dolce infanzia. Sotto copertura insieme al suo fidanzato – il commissario Pietro Leone – dovrà svolgere un’indagine per far chiarezza sui misteriosi eventi accaduti, dai quali i protagonisti non riusciranno a tener fuori la loro vita privata. Infatti i due fidanzati vivranno dei momenti molto critici, anche a causa dell’intervento dell’astuto principe Tancredi Visconti Pallavicini, inizialmente chiamato ad affiancare Adriana in qualità di suo marito, in quanto Pietro è stato chiamato, suo malgrado, a Torino per svolgere un’altra indagine.

 

Nel corso degli eventi, le investigazioni porteranno alla luce fatti inquietanti nei quali, la morte di due monaci, inspiegabili miracoli e i rapporti esistenti tra alcuni prelati, un ricco possidente e una strana ragazzina faranno scoprire ai protagonisti che dietro alla sparizione dei documenti ci sono degli interessi ben maggiori.

 

Morte all’abbazia è un romanzo plurivalente, in esso è possibile trovare un afflato di cultura e di storia, ma anche di delitti e di amore, i quali si alternano come un sentimento inconsulto di chi scrive e a stento riesce a trattenere l’emozione per qualcosa che gli appartiene nel profondo del cuore.

 

L’intera narrazione è attraversata da preziose citazioni e descrizioni didascaliche di luoghi idilliaci attraverso la memoria di chi ha amato e mai dimenticato; espressioni, intercalari e usi e costumi locali decorano le azioni dei personaggi. Come la stessa autrice ha confessato, i fatti e la disposizione dei palazzi, delle strade e delle case sono conseguenza di una fantasia smisurata, nutrita da un sentimento forte, ma i nomi e le definizioni appartengono alle cose vere e reali. L’autrice gioca e si nasconde dietro celebri riferimenti e volute anacronie, e invita il lettore a una curiosa caccia al tesoro.

 

Le parole dell’autrice 

 

Dott.ssa Barattelli, la ringrazio di aver accettato questa intervista. Prima di entrare nel merito della sua opera, iniziamo con una domanda consueta: chi è Adriana Barattelli?

 

Come prima cosa, sicuramente, non sono una ‘dottoressa’! Avrei voluto, ma invece è andata in modo diverso, e non posso certo lamentarmi! Al massimo posso essere ‘la maestra Adriana’ (quella che diventa verde come Hulk se non usiamo il congiuntivo, aggiungerebbero i miei alunni!). Sono romana e fiera di esserlo. Da quasi trent’anni vivo nel laborioso, ironico e fattivo Piemonte. Rifacendo il verso alla Tamaro, sono andata dove mi ha portato il cuore, e obiettivamente non ho mai dovuto pentirmene. Anzi, vivendo in una realtà piccola, veramente a misura d’uomo, si apprezza ancora di più se si viene da una caotica, ingarbugliata città come Roma! Ancora oggi mi stupisco che per arrivare alla stazione si possa impiegare al massimo dieci minuti e non le ore come nella nostra capitale!

 

Finalista al Premio Giallo x 1.000 seconda edizione. Questo non è il suo primo romanzo, vero?

 

No, in realtà è il terzo, cronologicamente parlando, ma di fatto è il primo che pubblico. Mi erano già state fatte diverse proposte, ma erano assolutamente inaccettabili: va bene essere un’esordiente, ma dover pagare per pubblicare mi è sembrato veramente vergognoso. Poi la 0111 Edizioni mi ha data questa grande opportunità e gliene sarò sempre grata.

 

Come è nata la sua passione per la scrittura e soprattutto per un genere ibrido come questo, che si presenta nella forma di un giallo, ma al suo interno nasconde numerose caratteristiche che lo ricollegano anche ad altri generi?

 

Devo fare una premessa. L’ultimo cambiamento nella mia vita è stato nel 2016, con un aneurisma basilare subaracnoideo. Devo dire che trovarsi dall’oggi al domani non più in grado di fare cose semplici, date per scontate come camminare, o mangiare da sola, ti porta a rivalutare completamente la tua esistenza. Così con la caparbietà che mi è propria (alcune mie amicizie romane la chiamerebbero ‘tigna’) ho deciso di recuperare tutto il recuperabile, non curarmi delle cose irrimediabilmente irrecuperabili e dedicarmi a quello che ho sempre considerato l’attività più entusiasmante: scrivere! Mi sono quindi scelta un periodo storico che mi intrigasse come gli inizi del Novecento, e un tipo di racconto che fosse insieme semplice, divulgativo, ma dove si potessero anche inserire delle chicche più smaccatamente legate ad altri generi; sono così approdata al giallo storico.

 

Il suo romanzo è un’irrefrenabile egloga a luoghi e sapori di un mondo del passato, dal quale chi scrive non riesce proprio ad allontanarsi, ostentando più volte un amore antico per una terra meravigliosa. Tra passato, presente e futuro, c’è qualcosa di questa vita remota che vorrebbe ancora nel presente?

 

Sono contenta che si percepisca la malinconia e insieme la dolcezza per un tempo irrimediabilmente passato. Era proprio quello che volevo arrivasse al lettore. Come diceva una mia carissima amica guardando delle foto del nostro paesino prima del terremoto “È un mondo che non c’è più!” Banalmente nel presente vorrei avere ancora la mia amata abbazia con il suo campanile che svetta impavido sulla roccia!

 

Il romanzo parla per forza di cose del mondo ecclesiastico e non manca di esprimere il legame forte che la religione ha sia con la terra umbra sia con i protagonisti. Che valore hanno per lei la cristianità e la chiesa?

 

Vengo da una famiglia che, come tante è cattolica, ma… a modo suo! Ognuno di noi ha scoperto (o riscoperto!) individualmente la propria religiosità. Io personalmente oggi, a 60 anni suonati, la trovo molto, molto rassicurante e accogliente, inclusiva. Ti accetta sempre per come sei, senza riserve o condizioni. Ovviamente a 30 anni avrei risposto in modo diametralmente opposto, ma l’esperienza aumenta la tolleranza!

 

Un amore forte, più volte minacciato, permea la storia che lei ha raccontato, investendola – secondo la mia opinione, mi corregga se sbaglio – di alcuni aspetti del genere romance. Con questo romanzo lei ha voluto semplicemente narrare un sentimento ideale e agognato, come una via di fuga da una difficile realtà, oppure ha voluto mostrare ai lettori un affetto vero e puro, una sorta di incoraggiamento per le persone a cercare l’amore che meritano e desiderano?

 

È indubbio che tra le righe della trama mi sia scappato qualche lieve ascendente molto romance. Io sono così e questo ho voluto scrivere. Le vicissitudini con cui si trovano a fare i conti i miei personaggi sono gli alti e bassi con cui tutti noi nel corso della nostra vita e delle nostre relazioni abbiamo dovuto e dobbiamo fare i conti. Credo anche nell’effetto catartico di un buon sano e semplice lieto fine, di cui i gialli sono secondo me la massima espressione. Se nei romanzi la storia può indifferentemente finire bene o male (dipende dal modo di sentire dell’autore), un giallo difficilmente non svelerà tutto alla fine!

 

Dopo aver lasciato i luoghi della sua infanzia è riuscita a trovare altri posti dove poter conservare nuovi ricordi, così da scrivere un libro nel quale parlare con la stessa passione di nuove storie, vite, delitti e amori?

 

Claro que si! Infatti ne ho scritti in tutto quattro e sto attualmente raccogliendo materiale e idee per un quinto! L’ambientazione è diversa in ognuno: il primo in ordine cronologico che è uscito il 30 settembre di quest’anno è ambientato a Torino, il secondo invece a Roma (e uscirà a inizio 2021), il terzo è questo e il quarto si svolge tra Vercelli e la Valsesia! I protagonisti sono gli stessi e il genere è sempre il giallo.

 

 A quali libri e autori deve la sua formazione letteraria?

 

Cominciamo con il dire che sono una lettrice compulsiva e che quando mi fisso con un autore devo leggere tutto, ma proprio tutto quello che ha scritto! Quindi sarebbe troppo lungo citare gli scrittori che preferisco; anche se i libri sempre sul mio comodino sono “Il nome della rosa” e “Cent’anni di solitudine”. Devo a due autrici però la voglia di scrivere dei gialli: Danila Comastri Montanari con il simpaticissimo Publio Aurelio Stazio ed Elizabeth Peters a cui la mia Adriana deve molto.

 

Lei ha affermato che fare l’insegnante di sostegno è il lavoro più bello del mondo. Se dovesse parlare a dei giovani che vogliono intraprendere il suo stesso percorso, cosa consiglierebbe loro?

 

Di armarsi di un sacco di pazienza e di passione! Il bello di questo lavoro è che non esistono due giornate uguali o due classi uguali, devi sempre cambiare, adattarti alle diverse realtà che ti si presentano e trovare sempre la voglia di far nascere quel sorriso che illumina il volto di ogni bambino quando capisce di essere in grado di fare da solo una cosa qualunque: è veramente irripetibile e appagante. Tutto il tempo impiegato a presentare lo stesso contenuto in modi diversi, la ricerca del materiale che può adattarsi meglio a quel bimbo, la stanchezza nel metterlo insieme, tutto passa davanti a qual sorriso!

 

Nella sua biografia ha sottolineato di essere nata in un giorno particolare, il 29 febbraio. È scaramantica? In quale misura ciò influenza la sua vita quotidiana?

 

Assolutamente no, anzi mi sono sempre battuta con chi sentenziava “Anno bisesto, anno funesto”. Devo dire però che il 2016, con il terremoto che ha squassato l’amatissima Umbria e il mio aneurisma a complicare il tutto, ha cercato di farmi ricredere. Per ultimo, questo 2020 con il suo malefico Covid e un malaugurato ictus a mio marito stanno cercando di convincermi del contrario!

 

Per il futuro ha altri progetti che la legano alla scrittura?

 

Certo, spero di riuscire a pubblicare anche il quarto libro (quello ambientato a Vercelli) e sto cercando di elaborare un nuovo romanzo che non segua un percorso rigorosamente cronologico, ma che si sviluppi in modo diverso e dove, da un filone principale di volta in volta si diramino storie ‘satelliti’ ambientate in momenti storici anche diversi. Sto anche valutando la possibilità che alcune di queste vicende siano narrate da autori diversi da me. È abbastanza complicato e per il momento sto recuperando dei testi vecchi e delle lettere che saranno alla base di alcuni di questi racconti.

 

Dott.ssa Barattelli la ringrazio a nome di Hermes Magazine per il tempo concessomi. Le auguro buona fortuna per il libro e per il suo futuro.


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