Le (vere) avventure di Sherlock Holmes


Fonte immagini: per l'immagine di testa, dettaglio di disegno originale di Sidney Paget, © 1892 Sidney Paget, Strand (copyright scaduto); per la prima edizione di Uno studio in rosso su rivista © 1887 (copyright scaduto); Per il ritratto di Conan Doyle, © 1914 Conan Doyle, foto di Arnold Genthe (copyright scaduto).

Per “canone centrale” di Sherlock Holmes si intende la produzione propria di Sir Arthur Conan Doyle, quella che ne contempla l’ossatura centrale. Da non confondersi con il canone ufficiale, in quanto nel rispetto del diritto d’autore (che appartiene unicamente all’autore e poi ai suoi eredi) diverse opere sono state in seguito inserite nella continuity ufficiale del personaggio, andando a rafforzarne la costruzione specifica. Il primo caso nello specifico è dato dai racconti scritti appunto nel 1954 da Adrian Conan Doyle, figlio di Arthur e legittimo detentore dei diritti (e quindi proprietario a tutti gli effetti del personaggio, del suo canone e della sua continuity, e anche l’unico legittimato a stabilire cosa fosse canonico e cosa no) che con lo scrittore statunitense John Dickson Carr, il biografo autorizzato del Doyle padre, scrisse una serie di racconti apocrifi ma legittimi (raccolti nel volume The Exploits of Sherlock Holmes, pubblicata stranamente in italiano in due volumi: Le imprese di Sherlock Holmes e Nuove imprese di Sherlock Holmes).

Questi diedero una nuova spinta alla produzione di nuove opere da diversi autori negli anni sessanta, dando il via al cosidetto “filone degli apocrifi sperimentali”, che pur nel pieno rispetto del canone centrale e legittimo introducono anche alcuni elementi innovativi, il tutto con l’avvallo del diritto d’autore e soprattutto nel rispetto della continuity. È opinione uniforme infatti che un apocrifo non dovrebbe mai entrare in contraddizione con quanto affermato negli scritti di Conan Doyle e dovrebbe rispettare la realtà storica dell’epoca in cui sono ambientate le avventure di Holmes, con particolare attenzione al momento preciso, essendo Holmes (come ogni buon personaggio letteraio) un personaggio che invecchia e attraversa gli anni e le epoche che, soprattutto nel periodo e nel luogo in questione, cambiavano pesantemente persino anno dopo anno (da notare che all’inizio il mondo di Holmes è una realtà fatta di giornali nelle varie edizioni della gionata, di telegrammi, di carrozze e di illuminazione a gas, e finisce per diventarne una fatta di radio, di telefono, di automobili e di illuminazione elettrica).

In genere quindi gli apocrifi su Sherlock Holmes prendono in considerazione gli elementi tralasciati dall’autore (vanno a tappare i buchi, più che altro): la sua giovinezza, la vita familiare, il periodo dopo il suo ritiro nel Sussex, e anche il lungo buco narrativo di tre anni lasciato da Doyle tra la sua presunta morte e la sua ricomparsa. Sovente negli apocrifi Sherlock incontra personaggi storici o letterari, ed entra a pieno merito in alcuni fatti storici, pur non apparendo ufficialmente, com’è nel suo stile.

Va da sé, peraltro, che nel rispetto della continuity, per poter far parte del canone ufficiale allargato instarurato dal figlio, ogni opera successiva deve tener conto degli elementi innovativi introdotti dagli autori precedenti. È da dire, comunque, che col tempo non tutti gli autori sono stati proprio ligi a quest’ultima regola, in particolar modo da quando, il 7 luglio 2000, sono scaduti i diritti d’autore sul personaggio (in Europa: negli Stati Uniti le leggi sono un po’ più complicate visto il recente Disney act, conosciuto anche come Mickey Mouse Protection Act o Sonny Bono Act, che va a modificare il già diverso periodo di scadenza del copyright, qui legato all’anno di pubblicazione e non – come da noi – all’anno di morte dell’autore secondo il quale – se le leggi non cambiano di nuovo nel frattempo – l’opera di Conan Doyle sarebbe protetta almeno fino all’anno prossimo, poi chissà) e la produzione si è moltiplicata a iosa. È comunque buona norma dell’autore appassionato, anche se gli eredi non percepiranno una cifra per lo sfruttamento del personaggio, restare attinente al canone centrale, ufficiale e per quanto possibile allargato. È chiaro che di tale canone fanno parte anche e soprattutto gli aspetti peculiari del carattere dei personaggi e le loro caratteristiche fisiche ed anagrafiche.

Queste descrivono Sherlock Holmes come un uomo nato più o meno nel 1850 (non è possibile essere più precisi, e pertanto, nel rispetto dello stesso, non lo si sarà. Si può solo ipotizzare che Doyle lo vedesse più o meno come un coetaneo, quindi del 1859; vi sono indizi tuttavia per pensare anche al 1854), che conoscerà il dottor Watson, amico, biografo e per lungo tempo coinquilino, nel 1881, quando già abitava al 221 b di Baker street. “Morirà” il 4 maggio 1891, sparendo in realtà per tre anni per aiutare in segreto il governo britannico. Rivelerà di essere ancora vivo nel 1894, nel racconto L’avventura della casa vuota. Durante la Prima guerra mondiale, poi, aiuterà l’Inghilterra come agente del governo. Infine, dopo una lunga carriera, Holmes si ritirerà prima nel Sussex a studiare l’apicoltura, quindi in una fattoria vicino a Eastbourne, dedicandosi alla filosofia e all’agricoltura, tutte cose che nella prima parte della sua vita, probabilmente a causa dei suoi molteplici studi, aveva tralasciato.

È infatti nota la fame per il sapere di Homes, sebbene la prima visione che ne ha Watson sia decisamente più scarna. Egli infatti inizialmente lo descriverà come un illetterato, con nessuna (ma proprio nessuna) conoscenza per la filosfofia, per l’astronomia (Holmes in effetti non sa nemmeno che la Terra gira attorno al Sole), dotato di scarsa conoscenza e attenzione per la politica, la mondanità e i fatti che gli ruotano attorno. Tuttavia denota anche la sua conoscenza quasi infinita di tutta la cronaca nera e scandalistica dell’ultimo secolo e del Diritto britannico; lo osserva profondo conoscitore della chimica, dell’anatomia strutturale (ma non dei sistemi di funzionamento del corpo umano), e della botanica in relazione e veleni e simili, ma (per esempio) sottolinea come non capisca nulla di giardinaggio. Lo incuriosisce notare come l’investigatore conosca perfettamente la composizione geologica di ogni tipo di terreno, ma solo allo scopo di poterla individuare a colpo d’occhio. In pratica Holmes è un esperto assoluto per tutto quello che gli può tornare utile, e almeno all’apparenza del tutto disinteressato a tutto il resto. Col tempo tuttavia tale descrizione si rivelerà non esaustiva. Scopriremo Holmes ottimo cuoco, elegante intrattenitore e dotato di ottime maniere (se vuole); capace di trattare le signore in maniera cortese e gentile (almeno quanto sono bruschi i suoi modi nelle altre occasioni). Scopriremo che ha frequentato l’università, abbandonata prima della laurea perché lo stava portando lontano dalle sue ricerche. Lo vedremo quindi citare letteratura e filosofia, con versi di Shakespeare, Goethe e persino della Bibbia. Col tempo in effetti capiremo che i campi in cui il personaggio affonda il suo interesse sono talmente tanti da essere difficili da individuare. Sappiamo ad esempio che ha persino scritto e pubblicato dei trattati sul tabacco o sulla nautica. Conosce inoltre le arti marziali, soprattutto il Bartitsu. È inoltre un abile combattente con il bastone, esperto schermitore, ottimo boxeur, eccellente violinista.

Caratteristica fondamentale del personaggio è quella di saper ragionare a mente ultralucida, arrivando a vedere cose che ai più passano del tutto indifferenti. Soffre però di depressione data da mancanza di stimoli, che egli combatte con un uso consapevole di cocaina e morfina (all’epoca legali, sebbene viste decisamente di cattivo occhio). Non è un tossicodipendente, quanto magari uno sperimentatore. Da buon esperto di chimica, egli sa sempre quel che fa, ne prende nota e non cade mai in astinenza. In seguito scoprirà di poter sostituire tali sostanze con l’uso della pipa, che lo aiuta a concentrarsi (sottolineando che se di dipendenza si possa realmente parlare, essa è unicamente ed esclusivamente psicologica). Le crisi d’astinenza vere gli sono magari invece causate dalla noia, sua grande, eterna nemica, che cerca di combattere da sempre tenendo il cervello in costante attività.

Possiede, per portare avanti il suo lavoro, una fitta rete di informatori nella criminalità londinese (che conosce a menadito), per lo più ragazzini di strada che paga regolarmente, che costituiscono una sorta di esercito. È un esperto trasformista, possiede un cane segugio che però non vive con lui, resta scettico sul paranormale e non è affatto chiara la sua visione religiosa. È indubbio che sia profondamente convinto di una trascendenza (e giustizia) divina, ma questa non pare palesarsi nell’appartenenza a nessuna religione nota. Moderne visioni del personaggio lo inquadrano come ateo, ma ciò si discosta troppo da quanto sopra espresso. È più probabile invece che la sua formazione sia di stampo anglicano, ma prenda poi una strada del tutto personale, come accade del resto per tutti i veri credenti. È tenuto in alto conto dal governo inglese e in particolar modo dalla regina. Ha avuto inoltre tra i suoi clienti diversi re, un sultano, e persino il Papa. Riesce a mantenere un buon rapporto di amicizia solo con Watson, tanto che taluni lettori moderni hanno voluto intravedervi un legame di tipo omosessuale, situazione però del tutto scartabile dalla lettura profonda dell’opera e dall’analisi del rapporto che il personaggio sembra avere con l’intero genere umano; e soprattutto dal fatto che l’unica volta che lo si vede innamorarsi – di Irene Adler – egli diventa fallibile, come e peggio di qualunque altra persona. È chiaro pertanto che in Watson Holmes veda in realtà un riflesso, la possibilità di poter scavare realmente dentro una psiche enormemente complicata (la sua) con una logica – quella dell’analisi della lettura scorrevole – che non gli appartiene. È vero infatti che anche Holmes scrive, ma in maniera del tutto diversa. Sembra infatti, egli, del tutto incapace di applicare sentimento all’insieme di informazioni senza fine che mette nero su bianco. Watson invece gli offre una visione di se stesso genuina, autentica, da quell’esterno che egli – evidentemente asperger – non riesce a restituirsi. Holmes critica spesso la scrittura di Watson come “piena di dettagli inutili”, tuttavia la legge avidamente, senza lasciarsi scappare nemmeno una virgola. La verità è che watson completa Holmes, ma non nel senso sentimentale o sessuale del termine. “L’amore è un’emozione”, dirà, “e tutto ciò che è emozione contrasta con la fredda logica che io pongo al di sopra di tutto”.

Altro elemento fondante del canone è che John Watson è praticamente Conan Doyle, sia nel fatto che sia lui a raccontare le storie, sia nell’aspetto fisico. Tale aspetto è infatti caratterizzato con perizia di particolari nei disegni originali, presenti sin dalle prime edizioni sui giornali, realizzate da Sidney Edward Paget. Ogni caratterizzazione fisica, caratteriale e personale che si discosti da tali aspetti è pertanto da ritenersi erronea (non si può avere, ad esempio, un Watson senza baffi).

Il canone centrale del personaggio, in queste poche righe velocemente descritto, è fondamentalmente suddiviso in sessanta storie: quattro romanzi e cinquantasei racconti, pubblicati in un totale di nove libri (ci sarebbero inoltre una manciata di altre cose: due racconti brevissimi, non compresi nei libri nel ciclo in quanto pubblicati altrove, ma indubbiamente in continuity; un racconto incompiuto; e tre commedie teatrali sul personaggio, scritte però a quattro mani con William Gillette. Per il cambio di media, non è affatto chiaro se queste ultime debbano essere considerate in continuity con il personaggio (probabilmente no; tuttavia, lo influenzano). Vi è inoltre un racconto inedito ritrovato recentemente, nel 2015, ma la sua autenticità non è ancora stata confermata):

  • Uno studio in rosso, romanzo, 1887 su rivista a puntate (lo segnaliamo solo per rimarcare l’anno di comparsa del personaggio), 1888 come romanzo autonomo;
  • Il segno dei quattro, romanzo, 1890;
  • Le avventure di Sherlock Holmes, raccolta di 12 racconti, 1892;
  • Le memorie di Sherlock Holmes, raccolta di 11 racconti, 1894. Nell’ultimo degli stessi, che colloca gli avvenimenti che vi avvengono nel 1891,l’indagatore trova apparentemente la morte per mano del professor Moriarty:
  • Il mastino dei Baskerville, romanzo, 1902. A furor di popolo, Conan Doyle è costretto a scrivere ancora dell’investigatore. Lo fa con questo romanzo ambientato però prima della sua morte, per la precisione nel 1889; Doyle pertanto non era ancora certo di volerlo riesumare;
  • Il ritorno di Sherlock Holmes, raccolta di 13 racconti, 1905. Nel primo (ambientato nel 1894), finalmente, l’autore si decide a riportare in vita il personaggio, dichiarando che la morte era stata una farsa necessaria. Egli avrebbe passato gli ultimi tre anni al servizio del servizio segreto inglese;
  • La valle della paura, romanzo, 1915;
  • L’ultimo saluto, raccolta di 8 racconti, 1917;
  • Il taccuino di Sherlock Holmes, raccolta di 12 racconti, 1927;

Cui naturalmente si aggiungono gli apocrifi canonici:

  • Le imprese di Sherlock Holmes e Nuove imprese di Sherlock Holmes (The Exploits of Sherlock Holmes), raccolta di 12 racconti, 1954.