zona|disforme: videopoesia

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Fonte foto: Carlotta Cicci e Stefano Massari

zona|disforme, innovativo format videopoesia avviato nel 2022 e reperibile in rete (www.disforme.net/zonadisforme, YouTube, Facebook e Instagram), sonda connessioni inedite e profonde tra versi, immagini e suoni. Ascoltiamo i due poeti che hanno creato questo progetto artistico: Carlotta Cicci e Stefano Massari.

L’intervista

Carlotta Cicci (Roma, classe 1984), poetessa, fotografa, videomaker, illustratrice, vive e lavora a Bologna. Ha curato fotografia, montaggio e color grading di numerosi documentari. Nel 2022 ha pubblicato la sua opera prima in poesiaSul Banco dei pesci (L’arcolaio Editrice) con prefazione di Alberto Bertoni. Sue poesie sono apparse in varie riviste e su web. Nel 2022 ha ideato e cura con Stefano Massari il format videopoesia zona|disforme.

Stefano Massari (Roma, classe 1969), poeta, videomaker, vive e lavora a Bologna. Ha pubblicato in poesiadiario del pane (Raffaelli 2003); libro dei vivi (Book editore 2006); serie del ritorno (La vita felice 2009); macchine del diluvio (MC Edizioni 2022). Con Alberto Bertoni e Pier Damiano Ori ha pubblicato Stati di poesia contemporanea (l’Arcolaio 2017). Ha realizzato video su poeti contemporanei e numerosi documentari. Tra il 2000 e il 2010 ha fondato i progetti FuoriCasa.Poesia, SECOLOZERO, LAND e CARTA|BIANCA. Ha curato per oltre quindici anni i progetti video del Teatro delle ariette. Nel 2022 ha ideato e cura con Carlotta Cicci il format videopoesia zona|disforme.

Il nome “zona|disforme” anticipa una dissonanza, un’irregolarità rispetto a una forma, un’area delimitata: come entrano nel vostro lavoro, tra parole, suoni e immagini, rottura e sconfinamento?

“L’impulso, verso l’immagine o verso la parola, nasce sempre da un suono. Un grumo di suono. Non è mai intenzionale. Non è mai esito di qualche discorso o riflessione. Sgorga. Sale in superficie. Chiede di essere accolto ed esplorato. Se questo grumo perdura e insiste ancora dopo vari giorni, non si può che tentare una prima risposta, non ci si può più sottrarre. Una prima ‘sincronizzazione’ comincia a generare e a tracciare il segno verso il quale quel suono ci sta ‘guidando’. Così accade, quasi sempre, il nostro innesco, visivo e/o poetico. Il perché, il come, il dove, il significato possibile e ultimo di tutto, arrivano ‘dopo’, forse, quando l’ultima fase, quella cruciale e rigorosa della correzione, è terminata. A volte una singola sillaba sonora, un rumore casuale, un ritmo involontario che si ‘genera’ camminando. È un attimo che si accende come un allarme e iniziamo a concentrare quell’ascolto, eliminiamo il pensiero e osserviamo. Come un gesto di ‘contemplazione’, potremmo dire. Qualcosa ‘sempre’ accade: una fine, un collegamento, un passaggio, che chiedono di essere ascoltati e ‘continuati’. Pertanto gli elementi di ‘rottura’ e ‘sconfinamento’ non li pratichiamo a priori come prassi o metodo, non ce ne preoccupiamo, semplicemente ‘accadono’ e forse li portiamo dentro già innati nel nostro modo di stare al mondo.”

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Ogni episodio è dedicato a specifiche tematiche, ma è sempre attraversato da un forte senso di divenire. Che valore ha per voi indagare il movimento?

“Possiamo dire che pratichiamo un’azione di ‘uscita’ dai significati, dalle storie o dai temi. Un continuo scardinamento e smembramento del ‘visibile’. Cerchiamo soglie, ‘nessi’ invisibili a un approccio di superficie con i materiali che maneggiamo. Non ci guida l’intenzione di esprimere o rappresentare dei significati, ci guida il desiderio di denudarli scavarli e ricominciare a sentirli ‘risuonare’. Il movimento continuo verso l’altro lato delle cose, è un altro dei nostri irrinunciabili elementi vitali, prima di tutto come esseri umani. Cerchiamo costantemente il punto dove essenza ed evento delle cose coincidono, e pertanto risuonano, tentando di ricondurre ogni significato possibile alla sua prima sillaba, aprendosi così a una sterminata possibilità di altre ‘conseguenze’. Cerchiamo di risalire la corrente dei significati imposti, convenuti, attribuiti, stratificati, per ritrovare un segno originario, prima di tutto dentro le nostre coscienze, e restituirlo a un dialogo rinnovato con tutti gli altri elementi che convochiamo in questa ‘danza’. Fondamentale, infatti è il ritmo, e fondamentale è la ricostruzione o correzione ‘metrica’ di ogni successivo passaggio.”

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Nei vostri cortometraggi che rapporto si crea tra poesie e immagini? C’è piena specularità nel contenuto o si innesca un processo di scambio più aperto?

“Non c’è specularità. Non c’è un rapporto diretto. O meglio noi non lo cerchiamo. Parola e immagine hanno il compito di evocare e di, contemporaneamente, praticare una terza possibile ‘significazione’. Entrambe devono anche saper sopravvivere da sole in termini di integrità e compiutezza, anche prese singolarmente fuori dal contesto del video. Devono saper possedere interamente una loro possibile autonomia, anche altrove. Di tanto in tanto l’immagine e la parola trovano punti di contatto, quasi come didascalie ‘momentanee’ l’una dell’altra, ma spesso su un piano alterato e imprevedibile anche per noi. Lo scambio è continuo e apertissimo, noi controlliamo solo che questo ‘innesco’ continui ad accadere, anche in noi. Se ‘balliamo’ noi, se per primi noi percepiamo l’apertura di questi elementi e il loro movimento verso quella ‘terza via’, allora sta funzionando. Perciò continuiamo. Gli esiti del tutto spesso sono ignoti e non del tutto decifrabili. Se dopo tanto tempo tutti gli elementi ‘disformi’ dei nostri video continuano ad ‘emettere’ ulteriori segni e suoni, per noi il lavoro è valido, nutriente, condivisibile. Non ci accontentiamo mai di qualcosa che sia semplicemente compiuto o ‘finito’, vogliamo consegnare lavori che continuino nel tempo a generare.”

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Quali visioni di crescita coinvolgono zona|disforme

“Il progetto ha già conosciuto una sua prima crescita. Accanto alla serie di episodi del format abbiamo avviato una seconda serie, costituita da brevi documenti video, più ‘tradizionali’ nella forma. Una serie parallela che abbiamo intitolato ‘risonanze’. Episodi monografici, di volta in volta dedicati a un autore o un’autrice che scegliamo come interlocutori, girati nei luoghi dove vivono e lavorano. Attiviamo ogni volta con loro, una specie di conversazione libera. Si parla anche di scrittura e poetiche certo, ma l’obbiettivo di questi dialoghi è soprattutto di condividere e confrontare visioni del mondo fra ‘diversi’. Scegliamo esperienze e identità ‘poetiche’ che ci sembrano, anche se molto differenti e lontane dalle nostre, comunque universalmente rilevanti e di grande qualità, e ci confrontiamo. È anche per noi un modo di studiare, o di fare critica del presente. Sono incontri che continueremo a condurre in tutte le direzioni possibili. È in atto anche una lenta e progressiva trasformazione del format, ma non vogliamo anticipare nulla per ora. Abbiamo poi moltissime idee e altri progetti in sviluppo. Anche su questi per ora ci manteniamo discreti.

zona|disforme sicuramente crescerà. Speriamo soprattutto di continuare a meritare l’attenzione e la stima crescente che stiamo ricevendo e di cui siamo profondamente grati, considerando che questo è un progetto al momento totalmente indipendente, condotto con le sole nostre forze, anche economiche. E ne andiamo molto fieri.”

Le vostre due raccolte poetiche più recenti, rispettivamente “Sul banco dei pesci” di Carlotta Cicci e “Macchine del diluvio” di Stefano Massari, condividono uno sguardo attento e crudo verso le lacerazioni e le rinascite dell’esistenza. Come influisce la professione di videomaker sui vostri versi?

“Non c’è influenza, o almeno noi non la percepiamo, così diretta. Di sicuro entrambe le nostre scritture pur cercando forme e tracce molto distanti tra loro, hanno una forte matrice visiva. Possiamo dire che per entrambi ci sono cose che si possono solo ‘scrivere’ e cose che possono solo essere ‘immagine’. Non pratichiamo mai un tentativo di trasposizione o di traduzione. Tentativo che tecnicamente potrebbe anche essere interessante, forse come laboratorio, ma non ci viene. Non succede. Anche perché sarebbe come un tentativo, fin troppo cerebrale e sicuramente strumentale di prosa, prosa poetica, o addirittura di narrazione. E sarebbe del tutto innaturale per le nostre indoli, almeno in scrittura. Non abbiamo un’anima narrante. Siamo due ‘animali’ poetici.”

Salutiamo i lettori di Hermes Magazine con due vostre poesie!

la nuda   impaurita   trafitta

dalle croci più giuste   delle nostre case

con la mano benedetta destra   si scava

l’utero all’infinito   con la mano ininterrotta

sinistra    impugna la luce più alta   di noi tutte ammazzate   dalla santa impotenza

dei padri

Stefano Massari, macchine del diluvio (MC Edizioni 2022)

Fiuto come un animale

il chiarore

come nostro signore

nelle città incattivite

dalla febbre di certezze

e da gesti isolati

l’amore non è ovunque

rifletto il mio battito

io sono già accaduta

con tutti i miei sensi

sempre inattesi

dire è una disciplina violenta

mentre il violino suona

e io penso di scoppiare

mentre sbatto

evado il tempo

in cui si compiono

tutti i destini del mondo.

Carlotta Cicci, Sul banco dei pesci (L’Arcolaio Editrice 2022)


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