Il 14 novembre 1951 il Po ruppe gli argini e le sue acque invasero gran parte del territorio della provincia di Rovigo. Il ricordo nel docufilm Po nato dalla collaborazione tra il giornalista Gian Antonio Stella e il regista Andrea Segre.
A 70 anni dalla tristemente famosa “rotta” del Po, Andrea Segre e Gian Antonio Stella la fanno raccontare a chi l’ha vissuta da bambino. Non è la narrazione classica di un evento ma una raccolta di testimonianze di persone, ora anziane, che alternano aneddoti divertenti ad altri tragici facendo ridere e commuovere il pubblico in sala. Il film si chiama semplicemente Po perché non serve aggiungere altro. Po è il nome del maggior fiume italiano ma è anche un modo di intendere la vita e di operare una rilettura di un territorio e dei suoi abitanti.
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Polesine
Il Polesine nel ’51 è una delle regioni più povere d’Italia. La sera del 14 novembre l’argine sinistro del Po si spacca, a poche centinaia di metri dal ponte della ferrovia Padova-Bologna ed in pochi minuti l’acqua è ovunque. Migliaia di profughi (130.000) lasciano le loro povere cose immerse nel fango e scappano su zattere improvvisate. Per molto tempo non potranno tornare a casa perché l’acqua non si ritirava, restava lì a sbriciolare le case e inghiottire i paesi.
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Profughi
Costretti a rimanere più a lungo del previsto nei paesi e nelle città che li avevano ospitati , i polesani si ritrovano ad essere additati per la loro povertà, per il loro dialetto di campagna, per le loro mani spaccate dalla terra, i loro occhi segnati dalla fame. La loro tragedia così si rinnova, prima oggetti passivi della pietà mediatica e politica, e poi malvisti da chi li aveva accolti, ritenuti portatori di problemi e fantasmi da cui il Paese voleva liberarsi. Tra i profughi del grande fiume erano centinaia i bambini, strappati alle famiglie durante la fuga e assegnati a ospedali e istituti religiosi. Un’epopea popolare che ha segnato la vita di migliaia di persone, per poi cadere nell’oblio tipico delle vergogne che si preferisce dimenticare.
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Per non dimenticare
A questo proposito la dichiarazione del regista:
“Il nostro film nasce dalla voglia di colmare quell’oblio e parte da due materiali cinematografici di rara bellezza: gli archivi in pellicola perfettamente conservati nell’Archivio Luce e i bambini polesani oggi ottantenni.
Ciò che ci ha colpiti viaggiando negli archivi e nelle case dei nostri protagonisti è quanto il ricordo sia ancora vivo, come quella alluvione rappresenti in realtà una memoria incancellabile, un passaggio di vita e di storia del Paese da cui è difficile prescindere, lo si può nascondere, ma è davvero sbagliato dimenticarlo. Ascoltando i ricordi dei vecchi bambini polesani e guardando le immagini degli archivi abbiamo vissuto un salto temporale che ha reso questi 70 anni così vicini, tangibili, presenti. Memorie che trovano forse la loro forza proprio nell’esser state derubricate, isolate. Certo in Polesine la memoria esiste ed è stata coltivata, grazie anche a grandi giornalisti, poeti, scrittori – Gian Antonio Cibotto primo tra tutti – ma nel resto d’Italia e d’Europa è stata anch’essa sommersa, come quelle terre. Poco frequentata, poco consumata è rimasta viva, diretta, sincera e ci ha avvolti, stupiti in un viaggio che va oltre, anzi si oppone alla retorica della celebrazione e che prova a trarre da questa storia di profughi veneti un insegnamento universale, necessario anche al nostro presente, al nostro futuro“.
Presentazione nelle sale
Non poteva che essere a Rovigo la prima proiezione di questo docufilm con la presenza in sala degli autori e di alcuni protagonisti.
Personalmente ho avuto il piacere di assistere alla presentazione del 6 aprile a Badia Polesine (RO),presso il multisala Politeama. La sala affollata testimone di quanto quel tragico evento sia ancora molto sentito e presente nella popolazione rodigina.
L’8 aprile il docufilm PO, prodotto da Luce Cinecittà e distribuito da Zalab, è stato presentato in concorso alla quindicesima edizione di “Pordenone Docs Fest – Le Voci del Documentario”, (Il festival tenutosi a Pordenone presso il Cinemazero dal 6 al 10 aprile).
Monica Giovanna Binotto è un nome lungo e ingombrante ma è il mio da 57 anni e ormai mi ci sono affezionata. Ho sempre amato leggere. Fin da bambina. E anche scrivere, ma senza mai crederci veramente. Questo mi ha aiutato negli studi. Ho una laurea in Economia e Commercio e una in Psicologia dello Sviluppo. Da cinque anni faccio parte di un gruppo di lettrici a voce alta, le VerbaManent, con il quale facciamo reading su tematiche importanti sempre inquadrate da un’ottica femminile e mi occupo di fare ricerche e di scrivere e assemblare i copioni. Negli ultimi due anni, per colpa o merito di questa brutta pandemia che ci ha costretti in casa per lunghi periodi, ho partecipato a diverse gare di racconti su varie pagine Facebook e mi sto divertendo tantissimo anche perché ho conosciuto tante belle persone che condividono i miei stessi interessi.