Alla scoperta dell'ex Manicomio di Granzette a Rovigo

Alla scoperta dell’ex Manicomio di Granzette a Rovigo

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Il nome ufficiale è “Ospedale psichiatrico Re Vittorio Emanuele III”, ma oggi è conosciuto come l’ex Manicomio di Granzette a Rovigo. La struttura fu operativa per gran parte del secolo scorso e accolse alienati provenienti dagli ospedali civili della provincia di Rovigo e non solo.

Il grande internamento

Gli ospedali psichiatrici, detti anche manicomi o frenocomi, nascono con la società moderna. A Parigi la costruzione de l’Hopital de Paris, intorno al 1650, diede inizio all’epoca del grande internamento che si espanse poi in tutti gli stati europei. In Italia la prima legge che li regolamentò fu la  L. 36 del 1904 il cui scopo era proteggere la società dal “matto” senza alcuna considerazione per i bisogni e i diritti dei malati. Resterà in vigore fino al 1978.

Ospedale Psichiatrico di Rovigo

La Provincia di Rovigo deliberò la costruzione del Manicomio provinciale in località Granzette nel 1906.

Costi del progetto, ritardi burocratici e uso dell’area da parte della Amministrazione Militare durante la Prima Guerra Mondiale non permisero l’utilizzo della struttura fino al 1930. La superficie totale era di 20 ettari occupata da vari Padiglioni disseminati a villaggio, una grande colonia agricola e una stazione avicunicola.

A tre mesi dall’apertura la struttura ospitava già 350 pazienti. Costruito per 400 persone venne utilizzato per una media di 700 ospiti.

Gli anni della guerra

Durante la Seconda Guerra Mondiale la situazione dell’ospedale psichiatrico si fece davvero critica.

Problemi economici e di carenza di personale si acuirono fino al punto che nel 1943 nella struttura era presente un solo medico e pochissime infermiere. Si ricorse a personale religioso per supplire ai vuoti. È di questo periodo l’introduzione dei trattamenti di elettro-choc, ritenuti indispensabili per la cura di molti casi psichiatrici.

La struttura ospedaliera fu anche utilizzata dai nazi-fascisti per rinchiudervi alcuni prigionieri come Emilio Bonatti, un partigiano conosciuto come comandante “Murin”, condannato a morte che, con l’aiuto di alcuni infermieri, riuscì a fuggire. Già dagli anni ’30 anche i fascisti avevano usato il manicomio per liberarsi dei loro oppositori. Si porta ad esempio il caso di Lavinia Adami proto femminista e socialista di Badia Polesine, antifascista, ricoverata nel manicomio di Rovigo nel 1937, dove era identificata come “l’amica di Matteotti” e dove morì dopo 40 anni di internamento. Nel 1945 la situazione del personale medico unita a carenze alimentari e di apparecchiature sanitarie portarono ad un tasso di mortalità nella struttura del 12,54%.

Il dopoguerra

Negli anni successivi venne assunto nuovo personale nei limiti imposti dalla Amministrazione in un’ottica di contenimento dei costi.

Nel 1952 venne decisa una modernizzazione degli edifici che riguardò gli uffici, gli alloggi dei medici e i reparti maschili. Quelli femminili non ebbero ugual sorte.

Nel 1960 venne chiusa la colonia agricola ed ebbe inizio il lento declino che portò alla chiusura di tutta la struttura nel 1995.

Esperimento di cura

Nel 1965 si decise di attuare un esperimento: vennero scelti due reparti, uno maschile ed uno femminile, che seppur sottoposti ad una minima forma di sorveglianza da parte del personale, dovevano essere autogestiti dai pazienti. In questo modo l’amministrazione aveva modo di risparmiare nei costi di gestione. Questo esperimento anticipava in parte quanto previsto dalla Legge Basaglia.

 

Ex Manicomio di Granzette

Fonte foto: remweb.it

Legge Basaglia

L’entrata in vigore della L. 180 del 1978 portò alla interruzione di nuovi ricoveri e al trasferimento dei pazienti verso strutture alternative. L’ultimo trasferimento avvenne nel 1998. Da allora l’intera area è stata abbandonata al degrado.

Ex Manicomio Granzette

Fonte foto: famigliacristiana.it

Tentativi di nuova gestione

A giugno 2018 l’Ulss 5 di Rovigo aveva assegnato in comodato d’uso all’Associazione vicentina I Luoghi dell’abbandono – per la prima volta dalla chiusura del manicomio – oltre 16 ettari dell’ex ospedale psichiatrico di Granzette.

Per tre anni l’associazione ha tentato di far rinascere il parco secolare del manicomio ed ha organizzato mostre ed eventi ricevendo il plauso di alcuni e le aspre critiche  di altri. Il susseguirsi di atti vandalici che hanno messo a rischio, oltre alle strutture, anche la vita dello stesso presidente della associazione, Devis Vezzaro, e degli animali ospiti del parco hanno poi fatto decidere , il presidente stesso, a recedere dal contratto.

Ho avuto modo di visitare le mostre sensoriali organizzate nei padiglioni dell’ex manicomio e sono state esperienze davvero molto apprezzate. Attualmente l’Associazione “I Luoghi dell’abbandono” ha ottenuto in uso l’area dell’ex Ospedale di Cologna Veneta e dell‘Ex Monastero presso cui sta allestendo le sue mostre.

Mostra multisensoriale “I percorsi della pazzia”

Avvicinandosi al padiglione che la ospitava si avvertiva una musica strana. Come di un carillon. L’edificio abbandonato, qualche vetro rotto, le piante rampicanti che salivano fino al tetto e questo motivetto potevano causare all’ospite qualche ripensamento sulla opportunità di proseguire nella visita. Una volta varcata la soglia ci si trovava immersi nel passato e si sentiva tutt’attorno la disperazione e la sofferenza che in quei luoghi erano rimaste come sospese. Era possibile vedere oggetti e indumenti appartenuti ai pazienti, attrezzature sanitarie. La stanzetta dove venivano rinchiusi i malati che non rispettavano le regole e quella ove si praticava il bagno nell’acqua ghiacciata. Di una bellezza impressionante i dipinti sui muri o su fogli appoggiati ai tavoli ed eseguiti dai pazienti. Per finire la stanza in cui sono conservate le lettere che i “pazzi” scrivevano ai famigliari sperando di ricevere una visita o di essere riaccolti in famiglia. Molto spesso quelle lettere erano state inserite nella loro cartella e mai spedite.

 

Ex Manicomio di Granzette

Fonte foto: stayhappening.com

Mostra sensoriale “Il Vajont, l’onda della morte”

Il visitatore si trovava letteralmente immerso nel fango, come i soccorritori la mattina del 10 ottobre 1963. Per entrare nel padiglione che ospitava questa mostra era necessario indossare degli stivali di gomma non tanto per la prima parte della mostra che riguardava il “prima”: i progetti e il cantiere della costruzione della diga, ma per la seconda parte che mostrava il “dopo”. E qui gli stivali affondavano nella melma lasciata dall’acqua che aveva lavato via interi paesi. Il tutto corredato da foto storiche, giornali dell’epoca, video e progetti relativi alla ricostruzione. Veramente da brivido.

Ex Manicomio Granzette

Fonte foto: polesine24.it

Mostra multisensoriale “Il silenzio assordante di Chernobyl”

Quanto mai attuale il ricordo del più grave incidente nucleare della storia. Anche in questo caso stanze allestite con foto, documenti, filmati, materiali utilizzati, oggetti dell’epoca, suoni, odori, luci, proiezioni video e cartellonistica di approfondimento, cronistoria, prime pagine del Giornale di Vicenza.

Già proposta con successo a Dueville (VI), Recoaro (VI) e Bondeno (FE) e Vicenza  attesa a Roma, Firenze e Milano, la mostra itinerante nasce dalla visita a Pryp’jat’, la città fantasma  situata a tre chilometri dalla centrale di Chernobyl, da parte di 18 fotografi, Vezzaro compreso, che hanno documentato e immortalato la cosiddetta “zona di alienazione”, istituita in seguito all’incidente nucleare verificatosi il 26 aprile 1986, per evacuare la popolazione locale e prevenire l’ingresso nel territorio più fortemente contaminato dalle radiazioni.

 

Ex Manicomio Granzette

Fonte foto: polesine24.it

Dopo le visite una passeggiata nel parco era d’obbligo per ritrovare il controllo delle proprie emozioni e qui poteva capitare di incontrare Garibaldi, un somarello molto socievole e amante delle coccole.

Ex Manicomio Granzette

Fonte foto: Monica Giovanna Binotto

 


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