È stata la mano di Dio

“È stata la mano di Dio” – La recensione del film

“È stata la mano di Dio” di Paolo Sorrentino, già Gran Premio della Giuria alla 78esima Mostra Internazionale del Cinema di Venezia è pronto a sbarcare il prossimo 15 dicembre su Netflix ed è anche il nostro candidato agli Oscar 2022.

Il film  si presenta indiscutibilmente come un capolavoro, fuori dal comune. Ma gli estimatori di Sorrentino potrebbero restare ‘delusi’ da questa ultima fatica del regista perché si tratta della sua opera meno ‘sorrentiniana’.  Sarebbe comunque da sciocchi negarne il valore artistico, che ha riportato di nuovo il cinema italiano sotto i riflettori del mondo.

“È stata la mano di Dio” è una storia autobiografica, intima e personale, è il racconto di formazione del giovane Sorrentino, il quale nel film assume le sembianze di Fabio Schisa (interpretato da Filippo Scotti), in uno spaccato della sua adolescenza che è stato determinante per la sua crescita.

è stata la mano di Dio

Fonte: movietele.it

L’idillio familiare e lo smarrimento improvviso

Siamo a Napoli, nell’estate del 1984, Fabio o Fabietto, come tutti lo chiamano, fa parte di una famiglia piccolo borghese, una tipica famiglia italiana, numerosissima e variopinta; ci sono gli Schisa: Maria, la madre divertente (Teresa Saponangelo), e Saverio, il padre brillante (Toni Servillo), ancora così teneramente legati da comprendersi con un romantico fischio d’intesa; c’è il fratello maggiore, amico e confidente di Fabio, Marchino (Marlon Joubert), c’è la sorella che passa il suo tempo chiusa in bagno (quasi invisibile nel film). C’è la splendida ed eccentrica zia Patrizia (Luisa Ranieri) da tutti considerata “pazza e puttana”, come ripete spesso lo zio Franco (Massimiliano Gallo), ma che in realtà ha semplicemente subito un crollo psicologico causato da una vita opprimente e insoddisfacente;  ci sono poi una serie di altri personaggi grotteschi e bizzarri, come la signora Gentile, che sbrodola mentre mangia una zizzona di Battipaglia con le mani e riempie di insulti chiunque provi a parlarle, o il nuovo fidanzato di una delle zie che parla con un laringofono e per questo ha una voce robotica e fastidiosa.

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Fonte: donnapop.it

Nella famiglia Schisa si ride, ci si sfotte (soprattutto Maria, che come uno spiritello dispettoso organizza scherzi per divertirsi), si fa chiasso, si va al mare, si litiga ma alla fine ci si perdona sempre. È una famiglia piena d’amore ma non certo svincolata da sofferenze e contraddizioni.

In maniera molto realistica e spudoratamente onesta, ma attraverso una visione nostalgica dello stesso Sorrentino, che rende tutto più poetico, ci viene mostrato un idillio familiare che però poi viene spezzato da un evento tragico e improvviso. È così che si sviluppa la parabola di Fabietto/Paolo, il quale da adolescente impacciato, protetto da genitori attenti e premurosi, si troverà a dover affrontare bruscamente la perdita degli stessi e il conseguente senso di smarrimento.

è stata la mano di Dio

Fonte: Amica.it

“È stata la mano di Dio”

Fabietto, con i suoi capelli arruffati e il walkman sempre con sé, è un ragazzo insicuro e alla tormentosa ricerca di un’ ispirazione da seguire; Marchino vede fallire le sue speranze di fare l’attore, ma sarà grazie a lui che suo fratello minore conoscerà Fellini e quell’istinto curioso per il cinema surrealista. Intanto, poi, Maria scopre che Saverio l’ha tradita con una collega di lavoro, in una scena struggente – in cui Servillo e Saponangelo danno prova della propria versatilità, nel passare con estrema naturalezza dal registro comico a quello drammatico – e alla fine Saverio sarà costretto a traslocare.

Non dimentichiamoci poi che, come preannuncia il titolo, c’è una terza dinamica da seguire sullo sfondo delle vicende degli Schisa, un altro personaggio che tangibilmente è una comparsa, ma che per la sua “aura divina” incide nel concreto sulle vicende dei protagonisti. Nel 1984 Diego Armando Maradona potrebbe essere acquistato dal Napoli, e la gioia e l’attesa di questa notizia coinvolge tutto il popolo partenopeo. Per Fabietto in particolare, estremamente sensibile, questa speranza diventa il caposaldo a cui aggrapparsi per superare le sue amarezze.

L’arrivo di Maradona diventa qualcosa di metafisico e spirituale, qualcosa che va al di là della mera cronaca calcistica, e che in particolare per  Paolo/Fabietto, diventa letteralmente il mezzo per sopravvivere. “Letteralmente” perché i genitori, dopo essersi riappacificati, decidono di passare un fine settimana nella loro villetta da poco acquistata a Roccaraso e propongono al figlio di seguirli, ma il ragazzo rifiuta poiché dovrà assistere ad una partita del Napoli per veder giocare il suo idolo argentino. È proprio quel giorno che Saverio e Maria si addormentano e cadono in un sonno fatale l’uno di fianco all’altro, a causa di un caminetto mal funzionante, su un libro appena iniziato di Oriana Fallaci, lui, e su un lavoro a maglia, lei.

E per un’ironia della sorte Fabietto si sarà salvato, grazie alla “mano di Dio”, come dirà lo zio Alfredo (riferendosi alla rete segnata di mano da Maradona, durante i Mondiali del 1986).

È stata la mano di Dio

 

                     Fonte: ilnapolista.it

La sincerità e l’onestà travolgenti

Per una velata malinconia di fondo, un’atmosfera poetica, il sapore dolce amaro della reminiscenza di un dolore personale, ci pare di vedere un Sorrentino diverso, che ci racconta un’esperienza profondamente intima senza nascondersi dietro messe in scena spettacolari, dialoghi pomposi e personaggi inverosimili. Qui assistiamo ad una rappresentazione onesta e reale che è capace di travolgere lo spettatore, il quale si trova a vivere un’esperienza di condivisione ed empatia che raramente abbiamo visto nel cinema italiano degli ultimi tempi.

Quando si prova gioia per lo stare licenziosamente in tre su un motorino, quando si ride per lo scherzo dell’orso, quando si piange insieme a Maria per la scoperta dell’adulterio, e poi quando Fabietto sfoga rabbioso il suo dolore perché non gli permettono di vedere i corpi dei genitori defunti, noi riusciamo a provare tutte queste emozioni. Una per una, con una naturalezza sconcertante.

Questa potenza comunicativa è data anche da una semplicità nella rappresentazione dei dialoghi, caratterizzati da una leggerezza molto “troisiana”; lo stesso Sorrentino ha infatti affermato che il suo unico mentore e riferimento cinematografico nella realizzazione del film è stato Troisi regista, basandosi quindi su una sceneggiatura molto scarna, essenziale e che gioca molto sulla delicatezza delle parole, sulla gestualità, sugli sguardi, come quello felice di Fabietto quando si accorge che davanti alla tv, assistendo al gol di Maradona, i genitori si tengono per mano; oppure come gli sguardi eloquenti scambiati con la zia Patrizia, l’unica che sembra comprendere il suo senso di inadeguatezza, l’unica “pazza” come lui che riesce a vedere “ò Munaciello”.

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Fonte: spettacoli.it

La dimensione spirituale

In questo film c’è la cultura, ci sono le citazioni a Dante, a Fellini e a Sergio Lene (C’era una volta in America è il film che la famiglia Schisa adora guardare). C’è inoltre una dimensione spirituale e al tempo stesso demistificatoria. Sorrentino riesce a cogliere infatti lo spirito napoletano  senza edulcorarlo troppo, ma trattandolo per quello che è: una via intermedia tra sacro e profano.

È stata la mano di Dio

Già dalle primissime scene abbiamo un Enzo De Caro che in veste di San Gennaro accompagna la zia Patrizia in un antico palazzo, con le luci soffuse e un mistico enorme lampadario frantumatosi per lo schianto sul pavimento; la donna scopre che il santo ha deciso di farle la grazia che attendeva da tempo, cioè quella di riuscire a rimanere incinta. È così che appare il “monaciello”, il monaco bambino della tradizione folkloristica partenopea, il quale non parla, ma le poggia una mano sul fondoschiena e la palpa.

Patrizia in seguito non verrà creduta, tranne che da Fabio. Sarà poi proprio il ragazzo a vedere ilmonaciello nella scena finale del film, che alla stazione ferroviaria accenna a un saluto, suggerendo un destino favorevole.

La spiritualità sta anche nei sogni del contrabbandiere, che in un “tuff, tuff” onomatopeico riassume il suo entusiasmo per la vita. E poi ovviamente ci sono i tifosi del Napoli sempre pronti a sostenere il proprio dio messianico e provvidenziale.

È stata la mano di Dio

Fonte: metronews.it

Proprio seguendo questa via del misticismo religioso, un dettaglio curioso è rappresentato dalla musica, quasi del tutto assente nella pellicola, ma che colpisce con un brano in particolare intitolato Balder, di Christian Reindl. Con delle crescenti sferzate di violino, la musica accompagna alcune delle scene più emozionanti della storia, contribuendo a conferire maggiore intensità alle immagini. Scopriremo poi che “Balder” è il nome di una divinità della mitologia norrena, il cui culto ha origine evemeristica, cioè legata all’idea che egli possa essere stato un essere umano che poi per la grandiosità delle sue imprese ha iniziato ad essere venerato come un dio. Questa storia vi ricorda qualcosa?

Napoli, il mare, l’importanza delle immagini

 

È stata la mano di Dio

Fonte: cinema.everyeye.it

È stata la mano di Dio è un film che segna una fase decisiva nella carriera di Sorrentino, che lo riporta nella sua città e nella sua vita, e che lo costringe a raccontare qualcosa di autentico che non può essere rielaborato troppo liberamente, in maniera surrealistica.

Ma la mano dell’autore è sempre lì, percepibile e riconoscibile e questo lo si nota soprattutto nelle immagini, nella precisione delle inquadrature che riprendono sempre il dettaglio giusto al momento giusto, lo si nota anche nei primi piani sulle emozioni dei protagonisti,  il lirismo con cui questi vengono raffigurati: come la scena in cui, durante il ritorno dal mare, zia Patrizia viene lasciata indietro dal resto della famiglia e rimane ferma, incantevole, a guardare il panorama dalla vetta, con i capelli nel vento e una tristezza malcelata negli occhi.

Ci sono poi le visionarie incorniciature dei paesaggi della città di Napoli.  Protagonista assoluto di queste visioni è il mare.

Il film inizia all’alba, nel silenzio più assoluto, con una panoramica aerea sul golfo di Napoli, illuminato magicamente dalle luci dei quartieri più raffinati e dai vicoli del centro cittadino, dal fascino misterioso.

Ed è sempre alle luci tenui dell’alba, sulle immense distese di mare e con il Vesuvio all’orizzonte, che avviene quello che sarà il confronto determinante tra Fabio e colui che sarà suo mentore (anche nella vita reale di Paolo), l’indomito regista Antonio Capuano, il quale lo incalza urlando

Ma è mai possibile che ‘sta città nun te fa venì in mente niente ‘a raccuntà?”, “’A tien’ ‘na cosa ‘a dicere? E dilla!

Non me li hanno fatti vedere!” risponde finalmente Fabio, in un grido liberatorio.

Ed è così che il ragazzo, il Sorrentino adolescente, riesce a svincolarsi dalla trappola del suo dolore e  può finalmente vedere il futuro che lo attende. Fabietto è diventato Fabio.

Lo lasciamo così, in partenza per Roma, città dei sogni dove studierà quel cinema tanto amato. Mentre i titoli di coda scorrono su un lungo primo piano di Fabio, in un finale alla “Chiamami col tuo nome“, ascoltiamo le note consolatorie di “Napul’è” di Pino Daniele.

La sala si svuota, le lacrime scendono libere. Grazie Paolo.