Largo all’uomo pene!

Fonte immagine: frame dal primo episodio di “John Dillermand” ©2021 Ramasjang

 

Difficile affermare se, come da modo di dire, ci sia del marcio in Danimarca. Di sicuro però vi accadono cose strane. Il 2 gennaio è andata in onda la prima puntata di una serie animata ufficialmente per bambini tra i 4 e gli 8 anni. Il protagonista, John Dillermand, è un uomo perennemente vestito e conciato da canottiere ottocentesco che ha la caratteristica di possedere un pene malleabile, allungabile a (e spesso anche contro la sua) volontà, e dotato delle caratteristiche di una coda prensile (Dillermand in danese sta per “uomo pene”).

 

E ci potremmo anche fermare qua. È già bella così.

 

Inutile dire che tra quei 140mila che l’hanno già visto c’é stato chi ha apprezzato e chi chiaramente no. All’interno di una situazione storica in cui troneggia l’hashtag #MeToo (dove donne coraggiose ammettono di esser state, prima o dopo, vittime di molestie sessuali) appare poco opportuno un uomo dalle dimensioni genitali mostruose con il quale “non c’è niente che egli non possa fare con esso”, ammette candidamente la sigla d’apertura; ammenicolo del quale spesso perde il controllo, combinando guai (che poi però sempre il pene rimetterà a posto).

 

Da notare come all’interno dello stesso movimento spontaneo dell’hashtag sia radicata e diffusa l’idea che la violenza contro le donne possa nascere, appunto, da una perdita di controllo.

 

Secondo Erla Heinesen Højsted, psicologa per famiglie e bambini, tuttavia, Dillermand si assumerebbe la responsabilità delle proprie azioni e infine fa sempre la cosa giusta: quando una donna gli dice che dovrebbe tenere il pene nei pantaloni, per esempio, lui lo fa. Altri invece sostengono che la cornice funnies renderebbe poco evidente, ma comunque presente e assimilabile, un messaggio profondo di una società patriarcale vecchia maniera e di una goliardia da spogliatoio.

 

Sono anche in molti comunque a pensare che la serie venga erroneamente riambientata in una visione da adulti: il contesto sarebbe invece asessuato (il pene in questione a conti fatti è una semplice coda, totalmente vestita, tra l’altro, dello stesso costume che indossa l’uomo. Non ricorda affatto un pene, eccezion fatta per il fatto di essere un’appendice posta sul davanti in mezzo alle gambe e per la dichiarazione esplicita di esserlo) e da vedere col simbolismo mentale degli occhi di un bambino. Di contro la giornalista Majbritt Maria Lundgaard ribatte come il gioco sullo stereotipo dei genitali sia, comunque, non inclusivo: non c’è un contraltare femminile a restituire una sembianza pedagogica o anche solamente ludica.

 

L’emittente da conto suo risponde che Sex&Samfund, associazione danese impegnata nell’educazione sessuale, ha partecipato allo sviluppo del personaggio; e che il prodotto insegna ai bambini ad accettarsi per come si è, anche se si appare un po’ diversi (il dubbio tuttavia è che tale definizione si accosti meglio all’aspetto del personaggio che alla sua condizione); e che comunque l’importante è che ai bambini piaccia. Ad analizzare tale dichiarazione appare immediatamente lampante il fatto che le cose che piacciono ai bambini sono parecchie, e questo non basta per renderle accettabili nel comune senso del pudore. Di solito anzi è l’esatto contrario.

 

Il fatto che Dillermand viva con una vecchia signora non semplifica le cose. Difficile non chiedersi quale fosse la reale intenzione di autori e soprattutto emittente.

 

La cosa che salta maggiormente all’occhio, inoltre, e che forzatamente lascia chiedere se anziché casuale la presenza dell’animazione nel contesto #MeToo non sia invece voluta e decisa quasi dalla sera alla mattina è l’assoluta sciattezza tecnica di realizzazione della serie (della quale sono già stati realizzati e programmati 13 episodi), cosa che lascia immaginare una velocità di realizzazione senza eguali: non tanto nella scelta stilistica quanto nelle risoluzioni basse, ricombinate, sovente corrette (velocemente e male) con un qualunque programma di grafica. Quindi: che è successo veramente?

 

È pertanto molto probabile che di Dillermand si parlerà ancora molto, più in contesto sociale e politico che prettamente artistico.