La 78ª edizione della Mostra internazionale d’arte cinematografica di Venezia, che si sta svolgendo dallo scorso 1º settembre e si concluderà l’11 settembre 2021, è in pieno fermento ed è come ogni anno un ambiente prolifico che porta sempre tante nuove idee, nuovi artisti e nuovi stimoli per il percorso evolutivo della settima arte.
Il cinema di per sé non sempre ha conferito alla figura femminile la giusta dignità, e il rapporto tra donne e industria cinematografica non è mai stato del tutto idilliaco.
Lo star system è ancora essenzialmente nelle mani degli uomini, tuttavia esistono ed emergono sempre più e sempre in numero maggiore delle personalità che, con audacia, riescono a modificare la percezione del mondo femminile nella società odierna.
Proprio al Festival di Venezia abbiamo potuto notare, piacevolmente, diverse testimonianze dell’evoluzione che il ruolo della donna sta compiendo nel panorama cinematografico. Ancora poche le registe, ma svariate sono le storie “fuori dagli schemi”.
Abbiamo scelto in particolare di analizzare tre lungometraggi, tra i più attesi nelle sale, che sicuramente faranno parlare di sé, soprattutto per la loro anticonvenzionalità nel descrivere le proprie rispettive identità femminili.
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Spencer
L’ Opera del regista cileno Pablo Larraìn, come si può intuire dal titolo, è incentrata sulla figura di Diana Spencer alias Lady D.
Larraìn ha dato già in precedenza prova della sua bravura nel “ritrarre” in maniera non convenzionale le donne che hanno segnato il Novecento (Jackie), e anche qui non ci troviamo davanti alla banale descrizione di una storia già ampiamente conosciuta. Il film si concentra infatti su un momento cruciale della vita della principessa Diana (interpretata da Kristen Stewart), cioè il suo ultimo Natale trascorso insieme alla famiglia reale prima del divorzio dal principe Charles (nel 1991). Ciò che verrà mostrato sugli schermi è quindi un particolare momento di crisi, che il regista ha scelto consapevolmente di rappresentare, perché è stato quel momento che ha permesso a Diana di ritrovare la sua stessa identità al di fuori del contesto, divenuto ormai soffocante, della Royal Family.
Il risultato sarà quello di un lungometraggio dalle tonalità molto cupe, che ci mostrerà una Diana in tutta la sua autenticità, fragilità, una donna agli estremi dell’infelicità ma che al tempo stesso riesce a trovare la forza di rialzarsi e ribellarsi ad un mondo stereotipato che cerca di appiattire la sua personalità. Tutto questo sembra già, tra l’altro, anticipato dall’ eloquente locandina ufficiale del film: qui un’immagine molto suggestiva mostra Diana che, di spalle e con la schiena china, sembra lasciarsi andare al suo dolore, nel suo ampio abito bianco impreziosito da diamanti.
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The Lost Daughter
Anche in questo film una donna è l’elemento centrale, però in questo caso si tratta di una donna comune, inserita in un contesto abbastanza ordinario, accomunata però forse a Diana da una condizione spiritualmente tormentosa, che è il tema su cui è costruita tutta la sceneggiatura. Vediamo qui l’esordio alla regia di Maggie Gyllenhaal, la quale trae la sua ispirazione dal romanzo La Figlia oscura della rinomata scrittrice italiana Elena Ferrante: la storia racconta di Leda (interpretata da Olivia Colman) una donna di mezza età divorziata, con due figlie, che si ritrova inaspettatamente a trascorrere un’ idilliaca vacanza su un’isola della Grecia. Leda riscopre dopo tanto tempo una libertà e un senso di spensieratezza che difficilmente riesce a provare nella quotidianità, ma a disturbare questa quiete ci pensano una serie di personaggi che irrompono sulla scena; tra questi ci sono, non a caso, una madre con una figlia e una quarantenne incinta (Dakota Johnson, Alba Rohrwacher), le cui vicende riportano alla luce i vecchi turbamenti della protagonista, le sue angosce legate alla gravidanza, la sua sofferenza dovuta alla maternità. L’intento di Gyllenhaal è dichiaratamente quello di smuovere le coscienze degli spettatori, rivelando delle “verità segrete” (e scomode) che riguardano temi come la femminilità, la sessualità e soprattutto la maternità, quest’ultimo infatti può rappresentare un percorso pervaso, oltre che da gioia e amore, anche da tanto dolore.
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Last night in Soho
Con Last Night in Soho entriamo nel clima di un thriller psicologico, in parte un horror, che vede come protagonista anche qui una donna, interpretata dalla giovane attrice Anya Taylor-Joy, la quale negli ultimi sei anni si è fatta conoscere e amare per tanti ruoli iconici (The Witch, Emma e La regina degli scacchi, per citarne alcuni). Il film di Edgar Wright (Hot Fuzz, Baby driver) parla di Eloise, un’aspirante stilista che decide di trasferirsi a Londra per studiare moda, così prende in affitto una stanza presso l’appartamento di una certa signora Collins (Diana Rigg). Una notte la ragazza si ritrova misteriosamente nella Londra degli anni ’60, la cosiddetta ‘Swinging London’, e la sua vita si incrocia inspiegabilmente con quella di Sandy (Taylor-Joy), una cantante emergente molto intraprendente e seducente, condividendone anche le esperienze personali, comprese quelle passionali. I problemi iniziano quando quel mondo che era sembrato tanto magico e promettente rivela il suo lato oscuro e rischioso; Eloise si ritroverà coinvolta suo malgrado in un delitto (non spoileriamo altri dettagli) e da quel momento dovrà affrontare diversi pericoli.
È così che quello che inizialmente si era presentato come un sogno diventa un terribile incubo, e nel racconto fa da sfondo il concetto della speculazione da parte della cultura maschilista sulle giovani artiste emergenti (attrici o cantanti) che a quei tempi erano spesso costrette a subire prevaricazioni di ogni tipo pur di avere successo.
Elemento portante del film sarà, a detta dello stesso Wright, la colonna sonora, c’è stato infatti un incredibile lavoro audiovisivo, sia con la ricostruzione scenografica della Londra degli anni ’60, curata in ogni dettaglio, sia con la selezione dei brani musicali che (così come accade anche in Baby Driver) accompagnano la protagonista nelle sue peripezie, divenendo una vera e propria parte integrante della storia.
Laureata in Archeologia, Storia delle Arti e Scienze del Patrimonio Culturale alla Federico II di Napoli. All’età di 5 anni volevo fare la “scrittrice”, mentre adesso non so cosa di preciso mi riserverà il futuro. Ma una cosa certa è che la scrittura risulta essere ancora una delle mie attività preferite, una delle poche che mi aiuta di tanto in tanto ad evadere dal mondo.