L’angelico lombrico di Fredric Brown, un vero classico della letteratura

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Fonte immagine: ©2013 Millemondi Urania-Mondadori.

Un vero classico della letteratura, quello di oggi. Fredric Brown non ha certo bisogno di presentazioni, anche se questo non è sicuramente il suo libro più conosciuto (i più lo ricorderanno per Assurdo universo, Marziani andate a casa! e Il vagabondo dello spazio), e proprio per questo l’abbiamo preferito. In realtà l’autore è stato enormemente prolifico, producendo un numero incredibile di romanzi (brevi e lunghi) e racconti di fantascienza e gialli, molti dei quali trasposti anche per il grande e piccolo schermo, anche da registi e franchise molto noti (Alfred Hitchcock su tutti, ma anche Dario Argento e Star Trek).

Il romanzo

L’angelico lombrico è un romanzo breve (o un racconto decisamente molto lungo: queste conformazioni sono inadatte, quando si parla di fantascienza) molto particolare; in Italia è stato pubblicato come romanzo in due occasioni, la prima sulla storica collana Urania n. 582 del 1971, accompagnato dal racconto lungo Vieni e impazzisci (ed è questa l’edizione che prenderemo in esame) e su Millemondi Urania n.35, che comprende entrambe le storie più il romanzo lungo Il vagabondo dello spazio (Millemondi è sempre stata una collana decisamente più corposa; in questo caso è proprio Vieni e impazzisci a dare il titolo alla raccolta), e come racconto almeno altre tre volte, due delle quali nelle due edizioni (1982 e 2013) della raccolta di racconti di cui la storia faceva parte originariamente, Cosmolinea B-1 (di cui anche Vieni e impazzisci fa parte). La particolare struttura di costruzione basata su giochi di parole costringe sempre a pubblicarla con spiegazioni e raffronti tra la versione inglese e la relativa traduzione: una cosa un po’ antipatica, e forse è per questo che non viene ristampata molto spesso (ha lo stesso identico problema un romanzo di Sherlock Holmes, che esattamente come questo si salva con le pubblicazioni in raccolta).

Fonte immagine:©1971 Urania-Mondadori.

L’angelico lombrico del titolo, infatti, angelworm, che il protagonista vede all’inizio della storia con tanto di ali e aureola, altro non è che un errore di battitura di lombrico, angleworm, di chi crea la realtà e di conseguenza il proprio destino, letteralmente, componendole e mandandoli in stampa come qualsiasi altro libro, nel quale, una volta commesso un errore, esso resta eterno e immutabile fino a che qualcuno non pubblica una errata corrige (che è anche il titolo con cui la storia viene ricordata negli elenchi dei racconti).

La vicenda è quindi tutta incentrata su una serie di assurdità che colpiscono il protagonista una dopo l’altra, tanto che ben presto egli teme di star impazzendo (dandosi almeno il beneficio del dubbio, considerato che la società arriva ben presto a rinchiuderlo in manicomio). Assurdità che continuano ad essere incentrate su errori di battitura: un’ondata d’odio (hate wave) che diventa un’ondata di calore (heat wave), un appuntamento follemente mancato perché invece di arrivare là (get there) egli era stato preso da stordimento perché aveva respirato etere (get ether, prendere etere), e così via. Assurdità che gli rendono la vita impossibile ma attraverso le quali, una volta arrivato alla comprensione del gioco meccanico (spiegazione dell’assurdità che sta vivendo) riesce ad arrivare persino in paradiso (senza morire) e lì a riuscire a spiegare al Direttore responsabile cosa sta accadendo e porvi rimedio. Come tutti coloro che lavorano nella stampa sanno, infatti, gli errori ciclici dei meccanismi compositori delle vecchie linotype avvengono (o meglio, avvenivano, dato che la composizione non funziona più così) a cicli regolari, poiché la lettera in fallo deve attraversare il suo intero circuito prima di trovarsi pronta a commettere lo stesso medesimo errore.

Questo ciclo viene presto calcolato dal protagonista in 51 ore e 10 minuti. A quel punto, quindi, compreso quale sia l’errore che si verifica (lo spostamento di battuta di una e) gli basta comprare un biglietto (quindi dichiarare la sua intenzione di recarvicisi) per la vicina città di Haveen per ritrovarsi, allo scadere del ciclo, direttamente in paradiso (heaven).

La trovata

Una storia semplice e precisa, fortemente tecnica, indicativa della vera trovata (la trovata, per chi non lo sapesse, è quell’unica cosa che rende una storia degna di essere raccontata, vale a dire qualcosa che non è mai stato fatto prima. Più è assurda di solito è meglio è: basta che sia divertente e soprattutto che abbia una buona spiegazione tecnica, per quanto debba essere più o meno basata sulla sospensione dell’incredulità), come erano poi tutte le storie dell’epoca classica della fantascienza (non è vero, sto mitizzando. In realtà è stata prodotta tantissima spazzatura anche in quell’epoca. Semplicemente, nell’enormità di capolavori che venivano prodotti nei fantasiosissimi anni ’40, essa risultava essere infinitamente di meno).

La seconda storia del volume, Vieni e impazzisci, messa praticamente a riempitivo per arrivare al numero giusto di pagine, è un chiaro esempio di questa cosa, sebbene non comunque da buttar via: stesso volume originale, stesso anno, stesso autore, eppure non arriva al livello della precedente né in brillantezza (la trovata è già vista diverse volte, sebbene ogni volta con tutte le variabili del caso) né nella scelta dei dialoghi. In essa, semplicemente, assistiamo alla dichiarazione del fatto che l’umanità non ha mai avuto nessuna possibilità di emergere nell’eternità delle stelle, e non perché non all’altezza, ma semplicemente perché non parte in gioco.

Noi saremmo solo emanazione (e non porzione noi stessi) dell’intelligenza che domina la Terra (e che non siamo noi, e che anzi ci domina), e che è solo una dei milioni di intelligenze che dominano l’universo. Pedine: noi siamo pedine di un gioco infinitamente più grande di noi.

In conclusione

Nel complesso, comunque, entrambi gli scritti restano opere da leggere e gustare, possibilmente nell’edizione Urania, collana che meriterebbe di essere recuperata in tutte le sue 1692 (ad oggi) uscite.

Concludiamo con una curiosità: notoriamente un ampio citazionista di classici del passato, da questo romanzo (L’angelico lombrico) Tiziano Sclavi ha liberamente tratto, nel 1993 (quando ancora scriveva), “Il giorno del giudizio”, seconda storia del Dylan Dog albo gigante numero 1.


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