Fonte foto: Amici di Valigia
Nel 1471, gruppi di albanesi in fuga dai turchi, dopo la morte del loro eroe nazionale Giorgio Castriota Skanderberg (1468), approdarono in Calabria, dove fondarono diversi villaggi tra cui Civita, edificato sulle rovine del Castrum Sancti Salvatoris. L’antico sito, abitato da gente proveniente da Cassano e dalla costa jonica al tempo delle incursioni saracene (1040 ca) fu distrutto dal terremoto del 1456.
Il nome
Non è chiaro se il nome del paese derivi da çifti che in lingua arbëreshë significa “coppia” (in riferimento ai due rioni di Sant’Antonio e Magazeno), da qifti, “aquila” o dal latino “civitas”. La morfologia del luogo suggerirebbe essere “nido d’aquila” perché il borgo, tra le rocce, si nascondeva ai predoni saraceni, è una visione d’aquila sul mare Jonio, un altissimo belvedere.
La storia
Seppur con le sue crepature e case fatiscenti – come altri paesi calabresi – Civita è un borgo fiabesco. É uno dei 25 comuni appartenenti alla comunità arbëreshë della provincia di Cosenza, fondato attorno al 1471 da profughi albanesi rifugiatisi in Calabria per sfuggire all’occupazione turco-ottomana dei Balcani. Si stanziarono in queste terre conservando le loro tradizioni greco-bizantine, come il rito officiato ancora oggi nella chiesa Santa Maria Assunta. I vicoli stretti (rughe), tutte in salita, si inerpicano raggiungendo con andamento circolare le piazzette che collegano i vari centri urbani.
Civita regala un’istantanea d’altri tempi con le casette basse, i segni del tempo, i vecchietti seduti davanti alla porta di casa. E’ anche un paese che prende vita nella struttura delle case; nelle piccole abitazioni che hanno occhi (finestre), bocca (la porta) e talvolta naso (la canna del camino). Un paese in cui nei secoli passati i mastri muratori hanno realizzato comignoli dalle forme minacciose per tenere lontano gli spiriti.
Cosa vedere
Civita è un borgo nascosto nel cuore del Parco del Pollino, incastonato tra le rocce per eludere le scorribande dei saraceni e custodisce le tradizioni del popolo arbëreshë.
Si trova in una vallata fitta di boschi dove arrivano i riflessi azzurri del mare Jonio, che si intravede all’orizzonte. Civita è uno dei borghi meglio conservati della Calabria interna, caratterizzato da viuzze e slarghi che si intersecano le une negli altri. Questa struttura si chiama in albanese “Gjitonia”, termine di origine greca traducibile con “vicinato”, poiché oltre ad essere una struttura urbanistica è il nucleo base dell’organizzazione sociale. È infatti il più piccolo nucleo dell’impianto urbano, costituito dalla piazzetta nella quale confluiscono i vicoli, circondata di edifici. Qui ci si riunisce nelle varie attività di piazza di un paesino: ricamare, conversare dal galti, il ballatoio. Quindi la gjitonia è una sorta di attività sociale.
Caratteristici di Civita sono anche i comignoli e le “case parlanti”. I comignoli sono quasi delle opere d’arte. Non si sa con precisione quando sia cominciata l’usanza di innalzare comignoli imponenti e dalle forme bislacche, diversi per ogni casa. Il comignolo era come la firma per una nuova casa, come un totem, con la funzione non solo di aspirare il fuco de camini, ma anche di tenere lontano gli spiriti maligni.
Nel centro storico esistono alcune abitazioni dall’aspetto antropomorfo, le cosiddette “case di Kodra” o “parlanti”, nate per omaggiare il pittore albanese naturalizzato italiano Ibrahim Kodra. Sono abitazioni piccole con finestrelle, canna fumaria e comignolo, la cui facciata rievoca la forma di visi umani. Nel centro storico, oltre al quartiere di Sant’Antonio – che ha origini medievali è da visitare la cappella di Sant’Antonio e quella cinquecentesca di Santa Maria della Consolazione, la chiesa di Santa Maria Assunta, opera barocca del XVI sec.. Essa reca i simboli e la forma teologica bizantina. Vi si celebra la liturgia bizantina perché gli albanesi d’Italia sono cattolici di rito greco.
Avvocato, cuciniera affettuosa, amo i tacchi e i mandorli in fiore. Piccola, ma solo fuori.