Ubi sunt qui ante nos fuerunt?
Dove sono coloro che furono prima di noi?
Dove sono gli austeri re e le regine dai lunghi abiti; dove sono i valorosi cavalieri, il chiasso dei banchetti, il pizzico allegro dei liuti.
“Come se n’è andato quel tempo,
scuro, coperto dalla notte, come se non fosse mai stato”.
Eppure nell’aprire quella piccola porta di legno che allontanava dalle camere, lo scricchiolio delle travi mentre mi affacciavo sul balcone dell’antica corte, salutata da una musica d’altri secoli… in quel preciso istante, mi è parso di sapere dove fossero tutti coloro venuti prima di noi. E forse, semplicemente, non se n’erano mai andati.
Mi trovo nel Castello di Zumelle, nella provincia di Belluno, Veneto settentrionale; una fortezza strategica sulla cima di un colle che sovrasta il corso del torrente Terche. Ed è difficile non emozionarsi alla vista dell’antica torre di pietra, a strapiombo sul sentiero che conduce alle porte del piccolo villaggio sottostante. Questa notte dormirò qui.
La splendida cornice storica che mi circonda è oggi una delle migliori opportunità nostrane per immergersi nel passato e mette a disposizione del pubblico una vera e propria esperienza medievale in prima persona. Al Castello di Zumelle è possibile vestire abiti dell’epoca, pernottare tra le mura in antiche stanze affrescate e mangiare nella taverna medievale, uno dei pochissimi locali in Italia ad offrire ricette della tradizione interamente originali e senza possibilità di modifica da parte degli chef.
Ma qual è la storia del Castello di Zumelle? E chi ha reso possibile tutto questo?
È un cammino quello che vorrei raccontarvi, un percorso tortuoso durato secoli che ha avuto la possibilità di non interrompersi, ma di rinascere più e più volte per ricordarci ancor oggi che se esistiamo è perché c’è stato qualcuno prima di noi. È un’immersione quella che vorrei poteste sentire, per contribuire seppur in minima parte a far conoscere una delle realtà meglio conservate del nostro territorio, una gemma incastonata nel bellunese che mi ha permesso di realizzare un mio grande sogno: vivere con la mia pelle un frammento del passato, chiudere gli occhi e toccarlo davvero.
Per fare questo, ho chiesto il contributo di Pierfrancesco Pieri, amministratore e gestore del Castello di Zumelle e membro dell’associazione toscana Sestiere Castellare, il quale mi ha concesso una preziosissima intervista.
E poi, per i curiosi che avranno voglia di leggere fino in fondo, un resoconto del mio personale weekend.
La storia del Castello di Zumelle
Cominciamo con qualche nozione didattica fondamentale. Il sito del castello ha origini in realtà ben più antiche di quelle medievali e la sua storia si compone di un lungo proseguirsi di rinascita e abbandono.
Dove oggi sorgono le mura principali si ergeva un tempo una struttura difensiva romana, risalente probabilmente al I secolo d.C.; il colle su cui fonda l’edificio era difatti una posizione strategica di controllo delle vie circostanti e fu questo il principale motivo del suo continuo, seppur alterno, riutilizzo da parte delle genti avvicendatesi nel corso della storia.
Caduto in rovina, il castello venne ricostruito dagli Ostrogoti durante il periodo delle invasioni barbariche, attorno al 540 d.C., e divenne il fulcro del sistema difensivo locale. Secondo la tradizione, fu Genserico, uomo fidato della regina, a ridare vita alla struttura, e dalla sua unione con l’ancella Eudosia nacquero due gemelli. Da dove deriva il nome “Zumelle”? Si suppone che Castrum Zumellarum, ossia “Castello dei Gemelli”, origini proprio dai figli di Genserico. Una teoria tuttavia non confermata e che si contrappone alla seconda ipotesi, secondo la quale il nome farebbe invece riferimento al vicino castello “gemello” di Castelvint, oggi scomparso, ma di cui rimane traccia archeologica.
Nel corso dell’Alto Medioevo (circa 476-1000 d.C.) il Castello di Zumelle passò di mano in mano, dai Longobardi ai vescovi bellunesi fino alla famiglia Da Camino, e soffrì le conseguenze dei lunghi anni di lotte. L’edificio di oggi risale difatti al XIV secolo, quando fu ricostruito da Riccardo Da Camino, signore di Treviso, Belluno e Feltre, nel 1311. Il nucleo centrale era cinto da un profondo fossato scavato nella roccia e fortificato da una serie di mura che proseguivano fin sotto il piccolo colle, dove oggi si trova il villaggio. La torre quadrangolare, alta 36 metri, si compone di 5 piani collegati da strette scale in legno, le quali conducono fino al punto d’osservazione sulla cima della stessa.
Nei secoli successivi, il castello cadde nuovamente in disuso, dimenticato dai popoli e dalle istituzioni. Le sue rovine divennero semplicemente parte della geografia e della cultura del luogo, meta degli abitanti e dei curiosi che ne facevano frequente visita, trafugando reperti storici e archeologici di cui non è più possibile conoscere l’esistenza. Fino al 2014, quando una gara d’appalto ha permesso l’assegnazione del Castello di Zumelle all’associazione toscana Sestiere Castellare.
L’associazione Sestiere Castellare
Sestiere Castellare è un’associazione di promozione sociale e culturale di rievocazione e ricostruzione storica, nata da un gruppo di appassionati con il fine di ricreare la realtà del Basso Medioevo nel territorio toscano.
Fondata nel 1997 a Pescia, in provincia di Pistoia, Sestiere Castellare è stata fautrice di manifestazioni in tutta Italia e persino all’estero, tra cui Francia, Inghilterra, Germania e Svizzera. Il suo progetto “Il Castello rinasce”, vincitore all’unanimità della gara d’appalto bellunese, ha permesso la ristrutturazione completamente autofinanziata del sito e la nascita di un vero e proprio centro storico e culturale: non solo un’attrazione turistica, dunque, ma una sincera valorizzazione dell’autentica tradizione medievale, secondo la realtà dell’epoca.
Dal 2014 è Pierfrancesco Pieri il gestore e custode del parco tematico, trasferitosi a 37 anni dalla Toscana per vivere in pianta stabile tra le mura della fortezza. Ed è proprio lui l’anima del Castello di Zumelle.
Pierfrancesco, raccontaci un po’ di te, di voi.
Sestiere Castellare è un’associazione di promozione sociale, di cui sono amministratore. Io abito nel castello dal 2014. Sestiere è nata come gruppo di rievocazione storica, una passione che man mano ha preso sempre più piede e che ho trasformato in un lavoro; ora vivo di questo. Mi piace chiamare il castello “parco tematico”, perché ha un’impostazione medievale, ed è stato interamente autofinanziato. La proprietà, ossia la fortezza e gli otto ettari che la circondando, è però del Comune ed è in concessione. Attualmente siamo presenti io e un altro membro del Sestiere, una ragazza che si occupa della cucina, oltre ad una decina di dipendenti. Un tempo eravamo di più, prima dell’emergenza sanitaria.
A proposito di questo, una domanda scontata ma doverosa: come state vivendo la situazione Covid-19?
Una tragedia greco-romana. Ci ha travolti, dobbiamo ancora capire come dovremo muoverci, cosa ci chiederanno. Dal 13 Dicembre all’1 Maggio abbiamo aperto solamente 4 giorni. La situazione pre-covid, invece, era totalmente in ascesa; prima di noi c’era una gestione principalmente ristorativa, ma abbiamo voluto riprendere il castello nella sua interezza e cercare di sfruttarlo sotto qualsiasi aspetto. Anche se ci mancano ancora altre cose da fare, tra cui l’idea del Medieval Glamping (“glamour camping”, un tipo di campeggio dotato di comfort, ndr). Ho diverse conoscenze Inglesi che in passato mi hanno dato delle dritte, ma si tratta di grossi investimenti. Fino al 2019 abbiamo avuto 30.000 presenze paganti, con un totale di circa 60.000 presenze tra passanti e visitatori.
Quali attività offrite esattamente?
Al Castello offriamo servizio di pernotto, di ristorazione e anche di wedding, in occasione del quale viene chiuso l’intero castello. Ma anche attività di intrattenimento e attività didattiche per bambini e scolaresche. Con la Medieval Experience il bambino può calarsi nei panni dell’epoca e venire a conoscenza di usi e costumi quotidiani: non vogliamo insegnare la storia con date e nomi, ma far loro rivivere quel tempo e raccontare degli aneddoti che possano rimanere impressi nella memoria.
Ad esempio?
Ad esempio, conosci l’origine del modo di dire “Un altro par di maniche”?
No…
Nel Medioevo, gli armadi erano composti da un massimo di 3 o 4 abiti e la parte delle maniche si usurava molto facilmente. Per ovviare al problema, le maniche venivano quindi staccate e cambiate, legandole alle spalle con dei lacci. Il termine “incinta” è un altro esempio: “in” non è un prefisso inclusivo, ma determina invece mancanza. Le donne in gravidanza non potevano indossare una cintura e dunque erano “senza cinta”, “in-cinta”; un po’ come per l’aggettivo “in-sufficiente”. Sono aneddoti che rimangono più fissi nella memoria e ce ne sono tanti. Servono a far capire cos’era il Medioevo, che non era solo buio, ma anzi il germoglio dell’epoca rinascimentale.
E la Taverna? Assaggiare il vostro menu medievale è stato un sogno diventato realtà.
Per la ristorazione proponiamo piatti interamente originali, aggiustando solamente le quantità delle spezie, perché nel Medioevo ne facevano un uso spasmodico. Sia per “simbolo”, dato che più spezie significava più potere, ma anche per conservazione: le spezie bloccavano il processo di deperimento di carne e altri alimenti, oltre che coprire i maleodori. Ma c’è da dire che al tempo avevano anche una ricerca diversa del gusto, più agrodolce e zuccherato. Il menu è stato scelto accuratamente da ricettari dell’epoca, sono piatti medioevali veri e il cuoco non può apportarvi alcuna modifica, non c’è nessuna interpretazione personale. Infatti esistono dei piatti improponibili… che non proponiamo!
Qualche esempio dei piatti che offrite?
Il civero di lepre è uno dei piatti migliori della cucina medievale: selvaggina, quindi un sapore già forte, con latte di mandorle e frutta secca, lasciato a macerare nel vino e nell’aceto. Un gusto davvero particolare. Oppure la cotognata, un dolce proprio tipico. Basta sbucciare delle mele e pere cotogne e cuocerle a lungo, per 4-5 ore, senza zucchero o altri additivi. Poi la si stende e si solidifica da sé.
E gli edifici che vediamo oggi? Sono come allora?
Il castello un tempo era in realtà più grande, ma il mastio centrale è rimasto lo stesso e le sue mura sono originali del Medioevo. La taverna invece è successiva, ma comunque risalente al 1600, e al suo posto in passato c’erano le mura difensive, oltre ad una torre di avvistamento. Nel castello viveva la famiglia Da Camino, i feudatari della zona e gli stessi che avevano costruito il castello, che si trova sopra le fondamenta di un insediamento longobardo e molto probabilmente di uno militare romano. Sotto la torre ci sono i resti di una torre più piccola, anche se non visitabili: il piano terra attuale è in realtà a 5 metri dal suolo. La torre serviva come punto di avvistamento, ma dal 1400 è stata lasciata in disuso, tanto che gli abitanti locali più anziani mi hanno spesso raccontato di averci giocato da bambini, addirittura “Andavamo là a prendere le ossa!”, mi dicevano. Qui vicino c’era pure una necropoli paleoveneta. Anche Castelvint era un punto focale in passato, nel 1938 è stata persino ritrovata una patera bizantina, un piatto cesellato ora al Museo Archeologico di Venezia, uno dei pezzi più belli. E anche una tomba di un alto cavaliere longobardo.
Ho visto nelle foto del museo del castello che sono stati ritrovati anche degli scheletri.
Sì, nel 1960, ma sempre longobardi. Il sarcofago è originale e longobardo, circa del IV secolo d.C., è stato solo rialzato da terra; nel Medioevo non facevano questo tipo di sepolture. La chiesa dove si trova ora la Sala delle Torture era paleocristiana. Molti reperti purtroppo sono stati trafugati nel tempo e quelli rimanenti adesso si trovano a Venezia o nel Museo Archeologico di Belluno. Oppure nelle case degli “appassionati”.
E per quanto riguarda i vostri progetti futuri?
Rimane sicuramente il discorso di ampliare l’offerta turistica di pernotto creando un’experience, che è il mio pallino, ma è da valutare in base alla situazione sanitaria. Io sono un po’ eclettico e non mi fermo qui. Ma non posso dire altro.
L’importante è che possiamo avere speranza!
Sì, il mio obiettivo rimarrà sempre quello di continuare ad espandere l’offerta turistica. Ma mi piacerebbe anche ampliare l’offerta naturalistica e sportiva, utilizzare strutture della zona per far conoscere epoche diverse, come l’Ottocento e il Novecento. Purtroppo il decremento della popolazione nella provincia di Belluno è allarmante e in continua discesa, ad oggi tutta la provincia conta meno di 200.000 persone, una densità davvero bassa se si considera la vastità di territorio. Tutto questo, quindi, è anche un voler incentivare il ritorno degli abitanti, sperando che l’emergenza sanitaria lo permetta – e da un lato è stata proprio questa a permetterne un piccolo riavvicinamento.
Io sono un privilegiato, ho vissuto qui un anno, dentro al castello, con questo spazio di terreno così grande. Con le gioie e i dolori che un castello comporta: questo inverno ha nevicato continuamente per due mesi, mi ero creato un corridoio proprio qui per passare (davanti alla taverna, ndr), non sapevamo più dove mettere la neve. È crollato addirittura il ponte, l’ho ricostruito io a Febbraio.
Quindi possiamo dire che il tuo obiettivo è quello di risvegliare l’interesse delle persone nel Medioevo, nel passato.
Quello che penso è che debba esserci un cambio di stile di vita. È fondamentale capire quello che veniva fatto nel passato, ogni cosa che facevano non era scontata, non era casuale, ma era ben ponderata. Se oggi abbiamo ancora tutto questo è perché ci sono stati dei maestri incredibili che l’hanno realizzato. È un concetto di esperienza, una grande esperienza soprattutto manuale e nei materiali. Anche dare solo un piccolo, minuscolo contributo alla nostra società, far capire quali possano essere un certo tipo di valori che potrebbero essere portati all’interno della propria vita; è un’ambizione, secondo me forse anche troppo aulica, ma mi piace crederlo possibile.
L’intervista è terminata con qualche chiacchiera e qualche risata, una conversazione estremamente piacevole che mi ha permesso di avvicinarmi a ciò che vive dietro questa meravigliosa realtà. Un soggiorno che mi ha emozionata, assorbita, ed è stata la prima volta che me ne sono andata da una breve vacanza con un nodo alla gola.
Ma com’è stato il mio weekend?
Innanzitutto, sinceramente stupendo. Per amor di cronaca, io e il mio compagno avevamo scelto il Castello di Zumelle per festeggiare il nostro anniversario. E sebbene il viaggio fosse cominciato con il timore del maltempo, non solo il meteo mi ha graziati, ma la leggera pioggia che è scesa la notte ha reso l’atmosfera ancora più incredibile.
Il parcheggio auto si trova direttamente ai piedi del castello, dove sono presenti altre aree visitabili, in particolare l’Orto Botanico Forestale e l’Area Militare. Da lì parte anche il sentiero che conduce alla Grotta Azzurra, un piccolo specchio d’acqua cristallino ideale per una passeggiata.
Per raggiungere l’ingresso del parco tematico è sufficiente percorrere una breve salita, dalle cui pareti di roccia si inizierà man mano ad intravedere il suggestivo scenario del villaggio. Ad accogliere i visitatori c’è il personale, rigorosamente vestito in abiti tradizionali, la cui gentilezza, disponibilità e simpatia hanno reso il soggiorno ancora più unico.
Per approdare invece al castello servirà lasciarsi il borgo alle spalle e proseguire per un’altra breve pendenza, la quale conduce direttamente al caratteristico ponte di legno che segna l’ingresso alla fortezza. Ed è lì che si viene davvero circondati dalla storia. Il piccolo cortile, l’alta torre, il balcone in legno che nasconde le camere, e quella musica medievale che accompagna senza mai disturbare: le stanze si trovano proprio lì, custodite all’interno di quella splendida cornice. Il costo del pernotto include naturalmente l’accesso al castello e le camere sono tre: la Stanza delle Stagioni, la Stanza dei Pianeti e la Stanza dell’Amor Cortese, affrescate a seconda del tema. Noi abbiamo scelto la Stanza delle Stagioni.
Dopo esserci sistemati, la nostra prima tappa è stata la Taverna per una merenda medievale: focaccia con impasto tipico. Una consistenza morbidissima, che non mi aspettavo, e una qualità degli ingredienti fenomenale. E non poteva naturalmente mancare un bicchiere di idromele!
La visita alle aree del castello è poi proseguita liberamente, tra i 5 piani museali della torre, l’antica Chiesa di San Lorenzo, la Tintoria e il Mercato, e con un piccolo prezzo aggiuntivo, per chi lo desiderasse, è anche possibile noleggiare un’audioguida.
Fino a quando non si è fatta sera, il momento che più attendevo: abbiamo noleggiato dei vestiti dell’epoca e indossati per cenare alla Taverna!
Per un’appassionata di storia quale sono, i momenti vissuti in quel breve weekend mi hanno colpita indelebilmente. Riposare in una meravigliosa stanza antica, attraversare lo scricchiolante corridoio in legno per farmi strada fino al ballatoio, circondata da mura medievali illuminate da lanterne notturne; accompagnata da una musica d’altri tempi e accarezzata da una leggera pioggia, che creava in alcuni punti un’esile nebbiolina, mi sono incamminata fino al ponte, tenendo accuratamente a bada la lunga veste per non inciampare. Mi sono fermata sotto la tettoia, ammirando nel silenzio le buie montagne circostanti, e ho pensato: “Finalmente”. Finalmente ho potuto assaporare anche solo un briciolo di quel passato, che così tanto mi affascina, che così tanto mi coinvolge. E forse è la mia passione ad essere eccessiva, ma in quel luogo lontano mi sono sentita a casa.
Come potrete immaginare, la cena alla Taverna non è stata da meno. Abbiamo ordinato rigorosamente dal menu medievale, nello specifico il Tagliere della Castellana, Vermicelli Gialli, Maccaroni al Vino, Cinghiale al Miele, Funghi alle Spezie e Cotognata: un assortimento di piatti dal sapore unico, completamente atipico rispetto a ciò a cui siamo abituati e assolutamente da provare almeno una volta nella vita.
Ultima, ma non meno importante, la colazione! Questa volta ci siamo accomodati all’interno della Taverna e non potevamo fare scelta migliore: l’ambiente è arredato e curato in puro stile medievale, con panche e travi in legno, muri di pietra e oggettistica d’uso all’epoca. Il pasto prevede pietanze attuali, ma è estremamente abbondante e non poteva lasciarci più soddisfatti.
L’experience di pernotto al Castello di Zumelle ha incontrato e superato appieno le mie aspettative, e la consiglio a chiunque voglia davvero assaporare il luogo, per viverlo, capirlo e apprezzarlo fino in fondo. E perché visitare siti storici non è solamente un’opportunità di crescita didattica e personale, ma è anche un modo per sostenere quelle realtà che li custodiscono, che giorno dopo giorno si prendono cura del passato perché chi vive oggi possa ancora ammirarlo e imparare da esso.
E così siamo ripartiti. Rientrando nel nostro presente, lasciandoci alle spalle il ricordo di un castello, di un tempo che fu, la scia di coloro che vennero prima di noi. Coloro che non se ne sono mai andati.
Giappone, archeologia, storia antica, videogiochi, horror, astronomia, marketing, scrittura. Sono felice quando gioco a Dragon Quest e quando tocco qualcosa di antico. Ho troppi interessi ed è per questo che amo scrivere: perché mi permette di viverli tutti.
Nata a Vicenza, sono laureata in Lingua Giapponese presso l’Università Ca’ Foscari di Venezia. Ho vissuto per 1 anno a Sendai, nel Tohoku, e 2 anni a Napoli; mi sono specializzata in marketing e in quest’ambito lavoro ora nell’ufficio Marketing e Comunicazione di un’azienda TLC&ICT.. Il mio motto? 必要のない知識はない