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Alzi la mano chi, dopo un abbondante pasto, pensa di non riuscire ad ingerire un goccio d’acqua ed invece alla domanda “Gradisci un dolce?” si rende conto che può fare un’eccezione. E poi, scherzando, aggiunge ridendo: “Per il dolce c’è sempre uno stomaco a parte“. Se credete di essere i soli a pensarla così, sappiate che in realtà siamo molti più di quel che si possa immaginare. Pare infatti che quel famoso “stomaco a parte” sia una definizione azzeccata per spiegare qualcosa di scientifico.
Volete saperne di più? Avete cliccato sull’articolo giusto. Qui vi spiegherò il motivo per cui nel nostro stomaco c’è sempre spazio per quel pezzettino di dolce, che tanto desideriamo a fine pasto.
La sazietà sensoriale specifica
Avete mai sentito parlare di sazietà sensoriale specifica? Nel 1981 la docente della nutrizione Barbara Rolls, fu la prima a spiegare in maniera dettagliata questo curioso fenomeno. Per farla semplice, è tutta una questione di alimentazione. Quando siamo abituati a mangiare in una determinata maniera, chiaramente non sana, ci nutriamo di cibi simili tra di loro. Senza tener conto dell’esigenza che il nostro organismo ha di assimilare sia carboidrati che proteine e verdure. Il risultato è che ci sentiamo pieni subito, perché al nostro cervello arriva il senso di sazietà prima che allo stomaco. Quando realizziamo che stiamo per variare alimento, con caratteristiche differenti e che per di più ci ingolosisce, ci rendiamo invece conto di avere ancora un certo appetito.
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Ecco che entra in gioco la sazietà sensoriale specifica. Mangiando lo stesso tipo di cibo (pensiamo ad un abbondante piatto di pasta), il nostro cervello inizia a rifiutarlo e a desiderare qualcos’altro. Qualcosa che abbia un’altra consistenza, ma anche un profumo diverso. Questo è il motivo per cui, ad esempio, siamo più propensi a mangiare un cono gelato con più gusti, anziché con uno solo.
Non sorprendetevi, dunque, quando questa cosa vi accade. Non siete strani. Da adesso sapete che il famoso “stomaco a parte” esiste davvero, in qualche modo!
Sono quella che in prima elementare si annoiava mentre la maestra spiegava le lettere dell’alfabeto ai suoi compagni di classe, perché le conosceva già da almeno un anno. Sin da quei tempi, durante i temi in classe sarei stata capace di riempire con pensieri e parole dieci fogli protocollo. Scrivere per me è un’esigenza, la mia costante, una delle poche cose che mi fanno realmente sentire giusta in questo mondo, insieme alla gentilezza e ai miei sorrisi. Trentatré anni, diplomata come tecnico dei servizi sociali e qualificata assistente di studio odontoiatrico, ho cambiato diverse volte strada, ma il bisogno di scrivere mi ha sempre seguito come se fosse la mia ombra.