“L’uomo è ciò che mangia”: la cucina ebraica

“L’uomo è ciò che mangia”: la cucina ebraica

La cucina ebraica segue precisi dettami che consentono ai piatti preparati di essere valutati nella loro interezza. Si tratta del Kasher, tradotto in italiano come “adatto alla consumazione”.

La pietanza per essere considerata idonea, deve rispettare tre regole alimentari principali: natura del cibo, preparazione del cibo, caratteristiche dell’animale (nel caso in cui si tratti di animali). La maggior parte delle regole alimentari di cui sopra sono definite nella Torah, libro che è alla base della religione ebraica. La religione controlla la commestibilità dei prodotti attraverso delle figure presenti sia negli stabilimenti industriali sia nei ristoranti.

Tradizione culinaria

Nonostante gli ebrei nel corso dei secoli siano arrivati a spargersi in tutto il mondo, una caratteristica della loro cucina è il mantenimento di una tradizione culinaria che si è espansa in tutti i luoghi in cui si sono stanziati a seguito della diaspora. La cucina è composta da diverse scuole di pensiero: sefardita, ashkenazi, mizhrai, eccetera. I piatti più complessi vengono preparati in occasione dello shabbat – la festa del riposo – che si celebra ogni sabato. Vediamone alcuni di seguito.

Lo Cholet è uno dei piatti principali: uno stufato composto da carne lasciata cuocere per molte ore e lasciata riposare durante la notte. Gli ingredienti principali sono tipici di una tradizione povera: carne, patate, fagioli e uova. Il piatto viene tradizionalmente accompagnato con il challah, tipico pane dolce dalla consistenza spugnosa che contiene uova. Solitamente si presenta a forma di treccia.

I piatti sono spesso accompagnati dal contorno di tzimmes, composto da carote e altri tuberi cotti al vapore con uva, prugne o albicocche essiccate.

Arrivando al dessert, uno dei dolci tipici è il teiglach, pastella fritta e affogata nel miele, uno degli ingredienti tipici della cucina ebraica.

Un altro alimento famoso è rappresentato dalle lenticchie: la tradizione dice che un certo Esaù si spinse addirittura a vendere la figlia in cambio di una minestra di lenticchie rosse con polpettine di macinato, passata di pomodoro, alloro e prezzemolo.

Il cibo è così importante nella tradizione ebraica – tanto da essere menzionato nei testi sacri – perché il sangue è considerato anima. Perciò secondo la tradizione ebraica ciò che mangiamo va ad alimentare il nostro sangue e di conseguenza l’anima.

Punti in comune con la cucina italiana

La comunità ebraica è molto presente anche in Italia e le due culture si sono fuse anche in tema culinario. Un esempio tipico ne è il carciofo alla giudia, piatto tipico della tradizione romana e giudaica nato nel ghetto ebraico di Roma, in cui la presenza ebraica risale al II secolo a.C. Esso è famoso perché i carciofi utilizzati sono particolarmente teneri e consentono di essere mangiati senza scarti. Proprio a Roma si celebra la tradizione ebraica con un festival sulla cultura culinaria kosher che si tiene nel Palazzo della Cultura al Portico D’Ottavia.

Altro esempio di piacevole contaminazione culinaria è di origine toscana, precisamente di Pitigliano, in maremma. In questo piccolo paese la comunità ebraica era così presente nell’ottocento che venne definito la “Piccola Gerusalemme“. La presenza massiccia portò alla decisione edificarvi propri luoghi sacri come il forno delle azzime, la macelleria kasher, il bagno rituale e laSinagoga, ancor oggi presenti.

Un dolce di tradizione toscana ricorda la presenza fortissima degli ebrei, ma anche un avvenimento storico: a metà del XVI secolo, gli ebrei dell’Italia centrale, pressati dalle persecuzioni dello Stato Pontificio e da Cosimo II Granduca di Toscana, furono sfrattati dalle loro abitazioni.

Trovarono rifugio nella piccola Pitigliano, allora zona rurale e isolata.  L’intimazione di sfratto veniva compiuta da un messo che batteva con un bastone sulla porta di casa.  Lo sfratto di Goym è un dolce dalla forma allungata che lo ricorda; è inoltre presidio slow food perché conserva la memoria storica e la fusione tra le due cucine.

La giornata della memoria può essere pertanto l’occasione sia per riflettere, sia per scoprire nuovi sapori e approfondire le radici di una cultura che si è mescolata da vicino coi nostri territori.