One Day di Matisyahu – un canto di pace


One Day, scritta da Matthew Paul Miller in arte Matisyahu nel 2009 come canto di speranza lo analizziamo oggi nel novembre 2023 con un po’ di malinconia e di tristezza.

Un giorno

A volte mi sdraio sotto la Luna
e ringrazio Dio di respirare
poi prego: “Non portarmi via presto perché sono qui per una ragione”.
A volte annego nelle mie lacrime ma non mi lascio abbattere
così quando la negatività mi circonda, so che un giorno tutto si capovolgerà
poiché per tutta la vita ho aspettato,
ho pregato perché le persone dicessero che non vogliono più combattere.
Non ci saranno più guerre e i nostri figli giocheranno.

Un giorno (un giorno).

Non si tratta di vincere o perdere
perché tutti perdiamo quando
quando si nutrono delle anime degli innocenti.
Un pavimento intriso di sangue
continuiamo a muoverci, anche quando le acque sono agitate.
In questo labirinto potreste perdere la vostra strada, potrebbe farvi impazzire
ma non lasciatevi assolutamente scoraggiare.

A volte annego nelle mie lacrime ma non mi lascio abbattere
così quando la negatività mi circonda, so che un giorno tutto si capovolgerà
perché ho pregato affinché la gente dicesse
non vogliamo più combattere.
Non ci saranno più guerre e i nostri figli giocheranno 

Un giorno (un giorno).

Un giorno tutto questo cambierà
tutte le persone verranno trattate allo stesso modo.
Niente più violenza, niente più odio.
Un giorno saremo tutti liberi e orgogliosi di essere sotto lo stesso sole cantando canzoni di libertà.

14 febbraio 2018

Una data importante che resterà nella storia come gesto d’amore verso l’umanità, un passo per dimostrare che i cittadini non sono gli assetti geopolitici e soprattutto non sono quella inumana organizzazione terroristica che da anni gestisce la striscia di Gaza.


Matisyahu  contatta 3000 sconosciuti, un invito pubblico, chi vuole deve recarsi ad Haifa per un’iniziativa: cantare One day in tre lingue. Le tre lingue in questione? Inglese, Arabo ed ebraico.
Una volta riuniti tutti, in meno di un’ora Matisyahu spiega loro cosa fare e come farlo e nel giro di poche ore ecco il miracolo che purtroppo ha potuto dare solo un segnale forte di amicizia ed unione dei popoli.

Un ripasso di storia e geopolitica contemporanea

Nel 2005 Israele si ritira dalla striscia di Gaza ed i palestinesi hanno la possibilità di amministrarsi da soli, è così che la nazione (poiché sulla carta questo è) inizia ad affidarsi ad Hamas. Purtroppo questa scelta infelice porta nel 2007 sia Israele che l’Egitto a chiudere le frontiere per evitare che terroristi entrino nel loro territorio, per cercare di arginare il pericolo e limitare il rischio di attacchi  che in questo modo possono avvenire esclusivamente per via aerea. Tali attacchi sono sempre e solo avvenuti nei confronti di Israele e mai dell’Egitto, nonostante entrambi i paesi abbiano una percentuale di popolazione araba.

In Israele anche se la percentuale araba è inferiore rispetto a quella sul territorio egiziano, gli arabi fanno parte della corte suprema e sono rappresentati a livello politico da un partito. Queste due cose sono abbastanza ovvie per chi sa che non ci sono distinzioni di religione o  di etnia tra i residenti di Israele. A sottolineare questo fatto c’è la questione che a seguito di tre anni vissuti in modo regolare ad Israele si può ottenere la cittadinanza e qualsiasi cittadino con più di 40 anni e avente cittadinanza può diventare primo ministro della repubblica. Allora cosa cambia? Cambia che l’occidente sapeva che Hamas non era un movimento partitico che aveva a cuore la crescita del paese ma un’organizzazione terroristica che avrebbe cresciuto aspiranti martiri pronti a morire pur di arrivare a far sparire dalla faccia della terra il loro nemico.

L’ONU stanzia 100000 dollari all’anno per l’istruzione e le infrastrutture sul territorio e tanto basta per lavarsene le mani nascondendosi dietro al fatto che il popolo palestinese ha scelto Hamas. Sappiamo che questi soldi non vengono usati per la crescita del paese perché altrimenti dal 2005 ad oggi se si fossero amministrati davvero per il benessere della popolazione la situazione sarebbe profondamente diversa.

Ma non siamo qui per fare politica

Questa analisi però non è politica e noi non abbiamo una risposta risolutiva. Non possiamo pensare di poter giudicare anni di conflitti, odio e sofferenza. Ne avere la superbia di dire cosa faremo al loro posto. Siamo disarmati e impotenti e per nostra fortuna digiuni dell’esperienza del loro terrore. Inoltre nemmeno noi siamo stati davvero ancora capaci di perdonarci per i conflitti avvenuti tra le nazioni e potenze occidentali. Ancora non abbiamo chiesto scusa davvero per inquisizione, persecuzione dei valdesi, colonizzazioni varie e nemmeno per esserci girati a guardare altrove durante la guerra nell’ex Jugoslavia, (non andiamo avanti e non inseriamo ferite ancora più aperte e che ancora sanguinano, forse ci conviene).

Qui adesso, nella manciata di periodi di questo articolo, abbiamo una canzone e la speranza che almeno da questa parte del mondo si inizi a ragionare con amore e perseguendo la pace invece di continuare con slogan divisivi e scelte che puliscono solo la coscienza. Prendiamo l’arte e lasciamo che almeno questa peculiarità umana sia al servizio del bene, un bene collettivo che cerchi di dimostrare che possiamo stare tutti insieme. Utopia? Allora chiudo l’articolo ricordandoci che chi vive sperando, muore cantando.