Songs for the Deaf

“Songs for the Deaf” il capolavoro dei Queens of the Stone Age

Era il 27 agosto 2002 quando i Queens of the Stone Age diedero alle stampe il loro terzo album in studio “Songs for the Deaf”, il capolavoro che diede piena visibilità alla band californiana e che gli fece da golden ticket per entrare nel mondo del mainstream. Ciò non vuol dire certo che si fossero trasformati in una band che sforna hit commerciali, anzi, al contrario il gruppo capitanato da Josh Homme mantiene anche qui la propria integrità regalandoci un heavy rock energico e vigoroso.

In quest’album, oltre al leader e cantante Josh Homme, godiamo della presenza straordinaria di Dave Grohl alla batteria (come ben sappiamo, frontman dei Foo Fighters ed ex membro dei leggendari Nirvana), Nick Oliveri al basso e Mark Lanegan, ex voce degli Screaming Trees che più di una volta collabora con i Queens. Tutti questi artisti messi insieme creeranno un’unità d’attacco pronta a sferrare alcuni tra i migliori riff e i migliori colpi di batteria del ventunesimo secolo.

Considerato da molti il capolavoro assoluto della band, Song for the Deaf nasce dalla mente di Josh Homme, come una sorta di concept album; “concept” non tanto per i temi trattati dai brani, che si diversificano di traccia in traccia, quanto per “l’ambientazione” comune: Homme fu infatti ispirato dai suoi frequenti viaggi in auto attraverso il deserto californiano, nel quale la radio cambiava di continuo stazione, sintonizzandosi su emittenti bizzarre, religiose o che passavano brani orribili.

Quella degli intermezzi radiofonici è la linea guida in tutto il disco, il filo sottile che intercorre tra un brano e l’altro e che li inserisce all’interno di un unico contesto spazio-temporale.

Inizia il viaggio nel deserto californiano

Ci troviamo così catapultati in questo viaggio bizzarro che da Los Angeles ci porta verso il Joshua Tree, lontano dalle paradisiache spiagge della costa californiana e verso l’entroterra. Qui, un po’ fuori rotta dalle classiche tratte turistiche, l’auto di Homme esplora lande aride e desolate, che fanno un po’ Breaking Bad ma anche un po’ Tarantino in Kill Bill.

Tarantiniana è anche l’ironia della voce che ci introduce all’album vero e proprio.

Beh…a dire il vero, non tutti sanno che a precedere la prima traccia ufficiale vi è una cosiddetta “traccia zero” chiamata “The real song for the Deaf”, proprio perché consiste in suoni che creano delle vibrazioni che possono essere udite anche dalle persone sorde.

Successivamente, sentiamo quel fastidioso rumore che ci avverte di aver lasciato la portiera dell’auto aperta, seguito dal suono dell’accensione di una radio e dai cambi repentini di stazione, mentre qualcuno giocherella con il quadrante. Alla fine ci sintonizziamo su “KLONE Radio”, una radio immaginaria che riproduce canzoni che non hanno nulla di originale perché, a detta del Dj, “suonano come tutte le altre”.

In sottofondo poi iniziamo a sentire un pattern di batteria in controtempo e poi una chitarra che si unisce con un riff semplice. All’improvviso SBAM! Come un pugno in faccia arriva “You Think I Ain’t Worth a Dollar, But I Feel Like a Millionaire“, con un aumento del volume che, neanche a farlo a posta, rischia di far diventare sordi. Il ritmo frenetico e la voce urlante di Nick Oliveri ci trascinano in questa esplosione che invia piacevoli onde d’urto al cervello alle quali lo scalpitio dei piedi non può resistere.

Gli accordi potenti e acuti che aprono “No One Knows” combaciano perfettamente con la fine del brano precedente. Ciò che salta subito all’orecchio è la batteria, dal suono fermo e concentrato. Ricordiamo, tra l’altro, che le sessioni di drumming furono registrate in un modo particolare: Dave Grohl registrò infatti prima le parti dei tamburi e successivamente saranno sovra-incise le sezioni dei piatti, per avere un suono pulito e tagliente.

Ma emerge in questo brano – divenuto famoso anche e soprattutto per il video che spopolava su MTV – anche il dominante basso di Nick Oliveri che con il suo sound sinuoso fa da sostegno alla voce di Homme e ci fa rotolare verso il passaggio centrale in cui le chitarre “volano” a velocità maniacale.

Dopo un taglio perfettamente pulito, inizia “First It Giveth”, con il suo messaggio antidroga (la droga che “prima ti dà e poi te lo porta via”) e con i suoi riff ingombranti, che lasciano la sensazione di essere catturati nel mezzo di un mare con onde feroci. Finchè la sezione ritmica svanisce, sostituita da un riff di chitarra “spagnoleggiante”, dolce e cadente.

I momenti salienti del disco sono composti però dal quartetto “A Song For The Dead“, “Go with the Flow”, “God Is On The Radio” e “A Song For The Deaf”. Sono brani che, ognuno a modo proprio, si adattano perfettamente all’atmosfera del disco (oltre ad essere eseguite perfettamente).

“Song for the Dead” inizia con un inquietante organo che ricorda un film horror, che lascia poi il posto ad una favolosa intro di batteria imponente e irregolare, e successivamente ad una chitarra tagliente che va ad alta velocità. Questo ritmo accelerato ci conduce poi ad un lamento, scandito dalla voce di Oliveri, che si ripete per diversi ritornelli.

È il turno di “Sky Is Falling“, una pausa più leggera in questo turbinio di suoni, rappresentato da un valzer oscuro e dalle sonorità heavy.

A questo punto parte la assordante “Six Shooter“, un intermezzo aggressivo che rischia davvero di mettere fuori uso i timpani.

Tornano le atmosfere cupe con “Hanging Tree”, che offre a Mark Lanegan l’opportunità di districare la sua voce profonda, soprattutto nel ritornello ironico-nostalgico “’Round the hanging tree, Swayin into the breeze” .

Poi è la volta di “Go with the Flow“, una traccia che irrompe con il suo sound ardente di passione, ad alta velocità e con ogni membro della band che suona con la massima energia. Il testo, tra i migliori dell’album, racconta di una relazione finita ma di come la “rottura” non cambi l’importanza di una storia d’amore.

Gonna Leave you” e “Do it again” sono due brani senza particolari pretese, che fanno da ponte alla più rilevante “God is in the Radio”, che ha uno stile bizzarro e giocoso, sia dal punto di vista dei testi che della musica.

Finalmente arriva il pezzo “bomba” dell’intero album. Un’inquietante voce alla radio annuncia “Ecco qualcosa per cui dovreste mettervi in ​​ginocchio e dovreste adorare. Ma siete troppo stupidi per rendervene conto. Una canzone per non udenti, questa è per voi”, poi ecco partire la title track “Song for the Deaf“. Un brano carico di teatralità, che combina influenze metal e progressive in un paesaggio sonoro oscuro e inquietante, con clamorosi riff di chitarra che si susseguono in circolo, accompagnati in sottofondo da ululati e grida infernali. Una melodia diabolica e ipnotizzante, che con la voce narrante di Mark Lanegan ci porta in un paesaggio distopico e orrorifico.

Nel complesso Songs for the Deaf, a vent’anni dalla sua uscita, resta un album straordinario e originale, di quelli che ti sembra sempre di ascoltare per la prima volta, perché come la prima volta ti sorprende e ti fa vivere un’esperienza di ascolto coinvolgente e appassionante.

Tutto ciò deriva dall’incredibile capacità della band di comporre delle vere epopee e di creare un insieme coeso di brani che diventa come una confezione di dolcetti, ognuno con il proprio ripieno diverso e a suo modo gustoso. Questo in sostanza è Songs for the Deaf, un capolavoro unico e inimitabile.