Fonte: truemetal.it
La musica è stata l’essenza della vita di Taylor Hawkins, il batterista dei Foo Fighters che ci ha lasciati prematuramente all’età di 50 anni – mentre era in tournèe con la sua band a Bogotà, in Colombia, apparentemente a causa di un infarto (ma non si hanno tuttora notizie certe) – il quale non è mai stato semplicemente un membro anonimo e passivo all’interno della celebre formazione capitanata da Dave Grohl, ma una personalità energica, solare e sempre ricettiva agli stimoli provenienti dal variegato mondo del rock.
Taylor Hawkins e le sue infinite collaborazioni
Nelle sue interviste Taylor Hawkins ha spesso affermato di aver preso ispirazione, nel suo modo di suonare, da grandi batteristi come Roger Taylor, Phil Collins, Alex Van Halen, Chad Smith. Tant’è che numerosissime sono state anche le sue collaborazioni artistiche.
“Volevo essere Roger Taylor e volevo essere nei Queen. Volevo suonare negli stadi fin da quando avevo 10 anni ” raccontò, in un’intervista del 2004.
E proprio quelle con i membri dei Queen rappresenteranno forse le più importanti esperienze della carriera di Hawkins.
Verso la fine degli anni Novanta, il batterista fu ingaggiato da Brian May per suonare nel brano “Cyborg” del suo disco solita “Another world” (1998).
Con May e i Foo Fighters, il batterista ha poi registrato la cover di “Have a cigar” dei Pink Floyd (pubblicata poi come lato b del singolo di “Learn to fly”) per la colonna sonora del film “Mission: Impossible 2” del 2000.
E ancora, suonò alla cerimonia dei VH1 Rock Honors nel 2006 con la formazione britannica un tempo guidata da Freddie Mercury (al tempo sostituito da Paul Rodgers) per eseguire dal vivo classici come “We will rock you” e “We are the champions“.
Ricordiamo poi l’infinito entusiasmo di Taylor Hawkins, che decise anche di scrivere in autonomia dei brani e di mettersi in gioco anche come frontman di una nuova band – separata dai Foo e parallela a questa – chiamata Taylor Hawkins and the Coattail Riders, in cui prestava la sua voce e il suo talento alla batteria. Nel 2006 infatti la band pubblico l’album omonimo d’esordio e di lì il progetto andò avanti, dando modo ad Hawkins di sbizzarrirsi in ciò che più lo divertiva e amava fare.
Il suo rapporto fraterno con Dave Grohl
Fin da quando Taylor Hawkins fu reclutato da Dave Grohl nei Foo Fighters – nel frattempo il batterista aveva già in corso una collaborazione con Alanis Morisette, suonando ai suoi live – fu subito chiaro che tra i due sarebbe nato un legame speciale, entrambi con quella gioia di vivere e quel fare da eterni ragazzi. Lo stesso Dave una volta affermò:
“Quando si è unito alla band, il suo modo di suonare la batteria era il fattore meno importante: pensavo solo di voler viaggiare per il mondo con questo ragazzo, salire sui palchi e bere birre con lui. Questa era la mia più grande preoccupazione“.
E fu proprio Hawkins a dare la forza a Grohl per continuare, per ricominciare dopo il profondo dolore per la perdita dell’altro “compagno di giochi”, Kurt Cobain, con una nuova vitalità e nuove promesse per il futuro. Grandi amici innamorati l’uno delle abilità dell’altro, Grohl e Hawkins pongono le basi per ogni pezzo dei Foo Fighters e Hawkins, non è mai stato considerato “il secondo miglior batterista dei Foo Fighters”, bensì (come sostenuto più volte da Grohl) “ l’unico batterista per questo lavoro”.
Eccoli lì, allora, che si divertono come due bambini, sul palco condiviso con Jimmy Page e John Paul Jones (dai Led Zeppelin), guardarsi alla fine di ogni esibizione con quell’intesa, con il sudore grondante dalla fronte ma con quel sorriso smaliziato sempre stampato sul viso.
Ed è così che ci piace commemorare Taylor Hawkins, con quella voglia di vivere, di ridere e di suonare. Quel rock che è liberatorio, è vita e che si spera possa rinascere ancora una volta dal ricordo di un grande musicista.
Laureata in Archeologia, Storia delle Arti e Scienze del Patrimonio Culturale alla Federico II di Napoli. All’età di 5 anni volevo fare la “scrittrice”, mentre adesso non so cosa di preciso mi riserverà il futuro. Ma una cosa certa è che la scrittura risulta essere ancora una delle mie attività preferite, una delle poche che mi aiuta di tanto in tanto ad evadere dal mondo.