Lucia Panigalli entra a pieno titolo nei racconti di donne vittime di violenza per il solo fatto di essere donne. A pieno titolo perché fu vittima prima di un tentato femminicidio, poi del sistema giudiziario che non seppe proteggerla abbastanza e, infine, di un giornalismo non degno di questo nome.
Come la storia ebbe inizio
Lucia aveva più di cinquant’anni quando conobbe in una sala da ballo di Ferrara un uomo che avrebbe definito perbene. Istruito, elegante, affermato sul lavoro sembrava più che a posto. Iniziò tra loro una relazione che stentava a decollare, poca passione, troppi allontanamenti e riavvicinamenti. Ad un certo punto lei dice basta. Ha bisogno di un rapporto che le dia maggiore sicurezza. Mauro Fabbri, è questo il nome dell’uomo, inizialmente sembra accettare la rottura ma poi ci ripensa.
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L’aggressione
Il 16 marzo 2010 Mauro aspetta Lucia sotto casa. Ha il volto nascosto da un passamontagna e la aggredisce armato di coltello. Lei si difende, nel farlo gli strappa il passamontagna e lo riconosce. Dopo due coltellate cade a terra e lui sembra volerla finire a forza di calci in testa. Accorre il figlio di Lucia, richiamato dalle urla della madre e Mauro si dà alla fuga. Ne sono seguiti dieci lunghi processi che si sono conclusi quest’anno. Ma per Lucia la storia non può dirsi davvero finita.
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Progetti dal carcere
Mauro Fabbri fu condannato a otto anni e mezzo di carcere per l’aggressione a Lucia e iniziò a scontarli dal 23 febbraio 2015. Inoltre avrebbe dovuto versare a titolo di rimborso una somma di 500.000 euro alla vittima. Evidentemente però non gli bastò. Mentre era in carcere, infatti, commissionò ad un suo compagno di cella l’omicidio di Lucia che avrebbe dovuto essere eseguito a marzo 2016. Gli promise un trattore, un’auto e venticinquemila euro e tutto fu dimostrato da intercettazioni ambientali. Il “sicario” denunciò il mandante e non svolse il suo incarico. Fabbri non fu perseguibile per questo reato che rimase solo ipotetico. Il suo avvocato difensore sostenne che non era possibile fare un processo alle intenzioni.
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Scarcerato per buona condotta
Mauro Fabbri venne scarcerato nel luglio 2019 per buona condotta, prima di finire di scontare la sua pena. Viene da chiedersi come sia possibile data la progettazione dell’omicidio e il pagamento del sicario da lui attuati durante la carcerazione. Come può essersi sentita Lucia sapendolo libero? Spaventata? Impaurita? Le sue parole furono molto chiare:
“Aspetto di morire, è come avere il cancro. Finirà quello che ha iniziato.”
L’intervista
Lucia dunque ha paura, e il 17 settembre 2019 accetta di essere intervistata da Bruno Vespa durante la puntata di Porta a Porta. Pensa che se rende pubblica la sua storia Mauro si farà qualche scrupolo a farle ancora del male. Chissà se si aspettava il comportamento del noto giornalista. Quando lei afferma:
“L’intenzione omicida di quest’uomo nei miei confronti rimane. È stato assolto…ma umanamente…”
Vespa ribatte:
“E’ stato assolto. Per la giustizia lui è innocente”.
Stanno parla del delitto commissionato e Lucia:
“E’ stato assolto perché il reato non è previsto non perché non esiste”.
E Vespa ancora:
“Esiste ma non è un reato”.
E sorride. Sorride in faccia ad una donna che ha paura. Ma non basta. Le dirà ancora che si è trattato di un amore folle che diciotto mesi di relazione sono un bel flirtino che lei almeno ha una scorta che altre donne non hanno e poi, ciliegina sulla torta
“Se avesse voluto ucciderla, lo avrebbe fatto”.
Il tutto inframmezzato da risolini, battutine e dinieghi che provocheranno lo sdegno di Non una di meno Firenze riassunto negli scritti delle attiviste:
“Se questo è il Servizio pubblico, se questo è un giornalista, se questa è un’intervista normale allora cominciamo una volta per tutte ad avere il coraggio di dire in faccia alle donne: non denunciate. Perché non vi crederemo. Perché non è violenza, non è odio, non sono (tentati) femminicidi. E’ solo “troppo amore”. Benvenuti in Italia.”
Si sono unite al coro di protesta le attiviste di Se non ora quando, Beatrice Brignone segretaria di Possibile e molti telespettatori. L’intervista è disponibile su Raiplay.
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Il conferimento all’Ordine
Per quell’intervista Bruno Vespa fu deferito al Consiglio di Disciplina dell’ordine dei Giornalisti. Ci furono interventi molto duri da parte della Commissione Pari Opportunità dell’Ordine dei Giornalisti e delle Commissioni Pari Opportunità dei sindacati, Fnsi e Usigrai. Si chiedeva
“…una maggiore attenzione alla Rai nella verifica delle trasmissioni dal contenuto particolarmente sensibile come questo, anche alla luce dell’adesione dell’azienda al Manifesto di Venezia per una corretta informazione contro la violenza sulle donne”.
Bruno Vespa si difese dicendo che erano state estrapolate alcune frasi che fuori contesto potevano sembrare di un certo tenore, e ha sempre occupato il suo posto, continuando a sfornare libri anno dopo anno.
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Una donna che subisce questi atti ed è fatta oggetto di certi propositi non merita di vedere il suo aggressore scarcerato per buona condotta. Né merita di essere presa in giro da un giornalista. Merita di essere ascoltata, compresa e protetta.
Monica Giovanna Binotto è un nome lungo e ingombrante ma è il mio da 57 anni e ormai mi ci sono affezionata. Ho sempre amato leggere. Fin da bambina. E anche scrivere, ma senza mai crederci veramente. Questo mi ha aiutato negli studi. Ho una laurea in Economia e Commercio e una in Psicologia dello Sviluppo. Da cinque anni faccio parte di un gruppo di lettrici a voce alta, le VerbaManent, con il quale facciamo reading su tematiche importanti sempre inquadrate da un’ottica femminile e mi occupo di fare ricerche e di scrivere e assemblare i copioni. Negli ultimi due anni, per colpa o merito di questa brutta pandemia che ci ha costretti in casa per lunghi periodi, ho partecipato a diverse gare di racconti su varie pagine Facebook e mi sto divertendo tantissimo anche perché ho conosciuto tante belle persone che condividono i miei stessi interessi.