Al Teatro Acacia va in scena"A che servono questi quattrini?"

Al Teatro Acacia va in scena”A che servono questi quattrini?”


Foto in evidenza: laPirandelliana.it

In scena al Teatro Acacia i protagonisti di “A che servono questi quattrini?”, una commedia del napoletano Armando Curcio che fu messa in scena per la prima volta nel 1940,  al teatro Quirino di Roma, dalla compagnia dei De Filippo.

Salvo poi che la filosofia del Marchese Parascandalo, secondo la quale il denaro è inutile ed è una sorta di malattia che affligge l’umanità, avrà così tanto successo da dare vita anche a un film interpretato dagli stessi Edoardo e Peppino.

La commedia

Lo spettacolo, diretto da Andrea Renzi e prodotto da La Pirandelliana, riporta in auge la commedia di Curcio senza grandi modifiche. È anche vero che alcuni archetipi umani sono senza tempo, risultano eternamente attuali e forse per questo motivo un’opera scritta negli anni ‘40 non necessita di alcun aggiornamento contenutistico.

Nello Mascia interpreta con fare signorile il Marchese Eduardo Parascandalo, detto il professore, personaggio bizzarro che tacitamente manovra le vicende degli altri protagonisti. In primis il bonaccione Vincenzino, interpretato da Valerio Santoro, insieme alla scontrosa Donna Carmela, un brillante Salvatore Caruso, la quale diffida delle strambe teorie del Marchese da lei considerato un semplice “morto di fame”.

Luciano Saltarelli, Loredana Giordano, Fabrizio La Marca e Ivano Schiavi fanno non solo da contorno, ma sorreggono e impreziosiscono con le loro credibilissime interpretazioni una messa in scena che trae in inganno lo spettatore stesso.

L’astuto protagonista, dopo aver dilapidato tutti i suoi averi, trascorre il tempo professando ai suoi “discepoli” Socrate, Platone e Diogene, e diffondendo l’idea che gli uomini non dovrebbero lavorare ma dedicarsi alla contemplazione e al riposo. Perché il denaro porta “avarizia e prodigalità”.

Tra le pieghe della commedia, decisamente godibile e divertente, si cela la triste constatazione di una verità: quella della valorizzazione dell’apparenza a scapito dell’essere. Il finale della commedia, infatti, ci dimostra che non è importante essere realmente ricchi, bensì farlo sembrare pur di essere accettati dalla società.

Nel complesso uno spettacolo spassoso ma essenziale, anche nelle sue scenografie minimali e orientate ad esaltare l’autenticità della rappresentazione, che ha riservato all’intera compagnia gli applausi più calorosi.