“Preistoria primavera” di Michele Ghiotti


Fonte foto: San Marino International Arts Festival, PH Simone Maria Fiorani

“Preistoria primavera” di Michele Ghiotti: una wunderkammer

Reperti archeologici, bestiari fiabeschi e curiosità locali: inoltrarsi nell’opera d’esordio di Michele Ghiotti (1989 San Marino), Preistoria primavera (Italic Pequod 2021), significa riempirsi gli occhi come in una wunderkammer, in una stanza piena di collezioni straordinarie. La poesia Archaeopteryx ben esemplifica l’amore per lo scavo e la riscoperta, denunciando un rispetto devozionale verso le orme e i passaggi della Storia.

“Annoiato coi gomiti sul banco

ti ho visto danzare in fotocopia,

il teschio reclinato a propiziare.

 

In garrulo silenzio hai aspettato

ere intere che qualcuno ti scoprisse,

le fossili piume delle ali

petali di un fiore primitivo.

 

Nome strano, detto poco, sei la prova

per chi crede tardi

a un segreto che era ovvio.

 

Ti riscopro oggi mio reperto,

testimone del salto

dal sangue freddo al canto.”

Michele Ghiotti, Archaeopteryx, in Preistoria primavera, Italic Pequod 2021

Ma a colpire nella scrittura di Ghiotti non è tanto l’elencazione del prodigioso e del detritico quanto il tenace desiderio di proteggere un mondo di resti, talismani e divinità remote. Il verso è formula magica e memoria di saperi arcani, una preghiera di salvezza che cerca un interlocutore in cieli imperscrutabili. Nominare con precisione e catalogare non è solo museo, ma in ogni menzione c’è un’invocazione, una richiesta di parola, pietra dopo pietra, “dal sangue freddo al canto”.

La caccia e la raccolta sono infatti azioni ricorrenti all’interno delle 6 sezioni del libro (Alfabeto del diluvio, Naturhistorisches Museum, Cacciatori-raccoglitori, L’uomo di vimini, La balena sul monte e Le guerre iniziano sempre in primavera): la riconquista del linguaggio, a partire dalle lettere alfabetiche, avviene per pezzi scampati alla distruzione, inverando una Genesi post apocalittica. Conservare e collezionare sono quindi atti che superano la mera vetrina, diventando un nuovo soffio vitale, il miracolo dopo il sacrificio, l’uscita dal ventre della balena.

Sacro, nascite e rinascite

“Il tempio di oggi” rinasce “aborigeno ogni giorno”: il sacro traccia una linea di metamorfosi, di nascite e rinascite necessarie. Il poeta, archeologo e sciamano insieme, si muove attraverso spazi e secoli, dimensione storica e individuale, indagando se l’osso, la radice, è toccare il fondo o l’inizio di tutto.

Per capire meglio il crudo processo di transizioni, crisalidi e parti, può essere importante soffermarsi su una parola-chiave all’interno dell’opera di Ghiotti, “anfibio”. L’etimologia di anfibio è, infatti, “dalla doppia vita”: la parola stessa reca una bifrontalità, da intendere ora come sguardo tra passato e futuro, ora come capacità di adattamento a diverse condizioni ambientali, ora come duplice natura.

Con un’insistente ripetizione di “r” e sonorità stridenti, il componimento La vocazione dell’anfibio sembra accompagnarci in questa sentenza di “tronco bicolore” attraverso il gracidare delle “rane”-“sfingi”:

“Sulla foce ispeziono detriti

prima che sgravino in mare,

 

fra rane come sfingi

e terra che scivola in sonno,

 

gli alberi immersi fino al cuore,

radici nella mota,

                                                 il tronco bicolore…”

M. Ghiotti, La vocazione dell’anfibio, in Preistoria primavera, Italic Pequod 2021

Un gesto rituale di osservazione e immersione celebra la fluidità dell’essere e dell’essere stato, senza timore di acque paludose, di un’ibridazione tra umano, animale, vegetale e minerale. Come uno stesso luogo ma percorso da stagioni diverse, l’uomo si specchia e trova pienezza nel doppio volto delle cose, “preistoria” e “primavera”.

L’Auloceto di San Marino

Il Canto di balena, inserito nella penultima sezione, incarna l’anima di questa pluralità prospettica, viaggiando tra riferimenti biblici, favolosi, mitologici e aneddotici. Mediante una lunga successione di brevi strofe (dai 4 ai 2 versi), Ghiotti attinge a un ricco bacino sapienziale, addentrandosi nell’abisso del topos letterario della balena e dell’origine del canto. Leggendo il componimento nella sua interezza, siamo perciò obbligati a fare i conti con suggestioni più o meno immediate, dal Libro di Giona e Pinocchio sino all’Auloceto di San Marino.

In particolare, per comprendere che cosa sia l’Auloceto, recentemente rinominato Titanocetus sanmarinensis, risulta guida fondamentale la nota di carattere storico-geografico contenuta alla fine della raccolta. Nel 1897 il paleontologo Giovanni Capellini ha rinvenuto sul Monte Titano, originariamente sommerso dal mare, i resti di una balenottera. Il nome “Auloceto” deriva dalla peculiare forma del cranio del piccolo cetaceo, che ricorda un flauto, aulòs in greco antico.

“…E ai loro piedi di vecchi anchilosati

ho danzato intorno al cranio dell’Auloceto,

ne ho spezzato il muso tubolare,

 

l’aulòs, flauto per cantare

ho stretto fra le dita e ho soffiato

da antico osso un suono nuovo…”

M. Ghiotti, Canto della balena, in Preistoria primavera, Italic Pequod 2021

 

Vicino alla figura mitica di Pan, il poeta ritrova nell’osso e nelle rovine uno strumento sorgivo, stilla, goccia a goccia, una musica immortale. L’inesauribile forza creatrice della Poesia viene riconosciuta dentro ogni voce sopravvissuta del mondo. Il Canto di balena quindi non può mettere la parola “fine” se non con altri inizi: un nuovo orizzonte di “colori primari”, custodito nei nostri sassi scagliati nel tempo.

“…Sfiatati, eiaculati,

pietre lanciate da Pirra,

 

tornati ai colori primari,

giallo, rosso, azzurro che squilla,

 

tornati vasai, visionari,

tornati monte,

tornati argilla.”

M. Ghiotti, Canto della balena, in Preistoria primavera, Italic Pequod 2021