Il cimitero acattolico di Roma rappresenta, senza ombra di dubbio, uno dei luoghi più affascinanti e suggestivi della capitale. Camminare tra le tombe erette nel terreno, fra statue di angeli col volto disperato e gatti randagi che vagano come anime solitarie senza meta, è un’esperienza da provare almeno una volta nella vita se si è di passaggio a Roma. L’impressione è quella di ritrovarsi catapultati in un’opera di Edgar Allan Poe e di diventare protagonisti di un vero e proprio romanzo gotico.
Lo scrittore statunitense Henry James, dopo una visita al cimitero, ha avuto l’ardire di definirlo «una mescolanza di lacrime e sorrisi, di pietre e di fiori, di cipressi in lutto e di cielo luminoso, che ci dà l’impressione di volgere uno sguardo alla morte dal lato più felice della tomba». E come dargli torto.
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Storia del cimitero
Situato ai piedi della Piramide Cestia, il cimitero acattolico rappresenta uno dei luoghi di sepoltura tutt’ora in uso più antichi in Europa; le prime inumazioni, infatti, risalgono al 1716 circa.
Nei primi decenni del Settecento la comunità degli stranieri residenti a Roma, non avendo un luogo a disposizione per la sepoltura dei propri defunti, decise di acquistare un’esigua area per sopperire a questa mancanza. Fino a quel momento, infatti, gli stranieri – soprattutto se di religione non cattolica – non potevano subire la sepoltura entro le Mura Aureliane. Sebbene avessero l’autorizzazione, e visto che il nuovo cimitero sorgeva all’interno delle Mura, le sepolture dei defunti acattolici avvenivano di nascosto durante la notte. Le manifestazioni di intolleranza religiosa e le profanazioni non tardarono ad arrivare; nel 1824, proprio per arginare tale situazione, Leone XII fece realizzare un fossato, sostituito completamente da un muro nel 1870.
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Le personalità che vi riposano
Sono quasi 4000 sono le anime che riposano nel cimitero: per lo più inglesi e tedeschi, ma anche parecchi americani, scandinavi, russi e greci; è possibile trovare, inoltre, anche tombre di qualche cinese e di rappresentanti dei paesi orientali.
Molti sono gli artisti e i personaggi illustri che compiono il sonno eterno qui, fra i quali ricordiamo i poeti britannici John Keats e Percy Bysshe Shelley, le cui tombe sono meta di pellegrinaggio per tanti cultori della letteratura, i politici Antonio Gramsci ed Emilio Lussu, gli scrittori Carlo Emilio Gadda e Luce d’Eramo.
L’epitaffio di John Keats
Quella del poeta britannico John Keats è sicuramente una delle tombe più amate di tutto il cimitero. Visitarla con gli occhi di chi, proprio come me, ama infinitamente la sua poetica è un tuffo al cuore. Vorrei poter esprimere a parole la mia emozione, ma temo che nessun termine riuscirebbe a trasmettere quella sensazione di suggestione che ho provato di fronte al luogo del suo riposo eterno.
John Keats morì a Roma il 23 febbraio 1821, a soli venticinque anni, vinto dalla tubercolosi che lo aveva colpito pochi mesi prima. Sulla sua tomba il poeta non volle scritti né il nome, né la data di morte, ma semplicemente un breve e toccante epitaffio:
“Qui giace uno il cui nome fu scritto nell’acqua“.
Una frase fulminea e concisa, simbolo della sua vittoria immortale contro la morte, ma anche una chiara dichiarazione di voler essere trovato soltanto dai suoi cari. A queste parole, i suoi amici Joseph Severn e Charles Armitage Brown hanno voluto aggiungere un inciso:
«Questa tomba contiene i resti mortali di un GIOVANE POETA INGLESE che, sul letto di morte, nell’amarezza del suo cuore, di fronte al potere maligno dei suoi nemici, volle che fossero incise queste parole sulla sua lapide: “Qui giace un uomo il cui nome fu scritto nell’acqua“.
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La Tomba di Percy Bysshe Shelley
Un’altra tomba meritevole di menzione, meta di numerosi pellegrinaggi da parte di turisti di tutto il mondo, è senz’altro quella di Percy Bysshe Shelley, poeta britannico e coniuge della più celebre Mary Shelley – la madre di Frankenstein e iniziatrice della letteratura gotica.
Il poeta perì all’età di circa trent’anni durante un naufragio avvenuto al largo di Lerici, in Italia. Il mare restituì i suoi resti sulla costa di Viareggio il 18 luglio 1822, dieci giorni dopo. Il suo corpo fu cremato sulla spiaggia e la leggenda vuole che Mary Shelley riuscì a impossessarsi del suo cuore prima di essere bruciato, per tenerlo con sé fino al giorno della sua morte.
Le ceneri di Shelley furono sepolte nel Cimitero acattolico di Roma, dove risiedono tutt’ora. Anche la tomba del poeta presenta un’epigrafe suggestiva, tratta dalla “Tempesta” di Shakespeare:
“Nulla di Lui si dissolve ma subisce una metamorfosi marina per divenire qualcosa di ricco e strano”. La scritta subito sotto il suo nome, invece, riporta la frase “Cor cordium“, che in latino significa “Cuore dei cuori“. Appare subito evidente che si tratta della dichiarazione di Mary Shelley all’amore della sua vita, perduto e sepolto in una terra lontana.
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Alcune informazioni
Il cimitero acattolico sorge nel rione Testaccio, vicino a Porta San Paolo, accanto alla Piramide Cestia. La visita è totalmente gratuita, ma è gradita una piccola offerta per sostenere i costi di manutenzione del sito.
Il cimitero acattolico, oltre a essere un luogo storico della capitale, rappresenta un luogo di riposo eterno. Siete pregati, dunque, di non sporcare e di non disturbare le anime che vi riposano.
Un ultimo consiglio: se avete voglia di effettuare una visita il più suggestiva possibile, cercate di favorire le giornate uggiose. Vagare fra le tombe con il leggero picchiettare di una timida pioggerellina autunnale non ha prezzo!
Da bambina leggevo i fumetti di Dylan Dog, poi – senza nemmeno accorgermene – sono entrata nel vortice dei grandi classici e non ne sono più uscita. Leggo in continuazione, in qualsiasi momento, e se non leggo scrivo. Scrivo per riempire gli spazi bianchi e vuoti della mente, ma anche perché è l’unica cosa che mi fa sentire viva. Cosa voglio diventare da grande? Facile: una giornalista.