Le statue più belle dell’antichità

Le statue più belle dell’antichità

Fonte foto: commons.wikimedia.org

Nonostante siano passati secoli dalla loro creazione, certe statue hanno attraversato intatte il passare del tempo e ancora oggi ci trasmettono una profonda emozione, grazie alle forme eleganti o all’intensità delle espressioni.

Vi proponiamo una lista delle opere più significative, in alcuni casi capaci di veicolare serenità, armonia ed equilibrio, aspetti che costituivano il bello ideale secondo lo storico dell’arte tedesco Johann Joachim Winckelmann, in altri di coinvolgere lo spettatore con una riproduzione assai realistica delle emozioni umane.

La Nike di Samotracia

Il fatto che la Nike di Samotracia, dea alata della vittoria, sia acefala e priva di braccia è sicuramente una disgrazia, ma in realtà la si può considerare anche una fortuna, visto che ci permette di concentrare l’attenzione sullo straordinario panneggio che anima questa statua. Osservando un’opera così dinamica, seppur fissata nella pietra, si ha quasi l’impressione di assistere dal vivo a una brezza dispettosa che scompiglia i veli di marmo della tunica della dea.

Le statue più belle dell’antichità

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La collocazione nel museo del Louvre in cima a una scalinata ricorda la sua posizione originaria, su una prua commemorativa che era posta su una collina che dominava il santuario di Samotracia, e contribuisce a rendere ancora più maestosa questa incredibile scultura del passato.

Il Laocoonte

Il Laocoonte è un capolavoro di marmo che mette in scena davanti ai nostri occhi un momento di straziante sofferenza, così vivido che si potrebbero quasi udire le grida di dolore del padre e vivere in prima persona l’angoscia dei suoi giovani figli.

Ritrovato alle pendici dell’Esquilino nel 1506 e custodito in Vaticano nel Giardino del Belvedere, questo meraviglioso complesso di statue rappresenta Laocoonte, gran sacerdote di Apollo, che viene stritolato insieme ai suoi figli da dei serpenti marini, inviati dalla dea Atena per punirlo perché, a Troia, era stato l’unico a non cadere nel tranello inventato da Ulisse e opporsi all’idea di introdurre dentro le mura il cavallo lasciato dai greci con l’inganno.

Il busto di Nefertiti

Mai statua fu più raffinata dell’etereo busto di Nefertiti, sposa di Akhenaton, che riproduce con pochi tratti, forse idealizzati ma comunque di grande impatto, la leggendaria bellezza di questa regina dell’antico Egitto.

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La statua, per la fortuna di tutti noi, si è conservata in maniera pressoché perfetta ed è oggi esposta nel Museo Egizio di Berlino. Malgrado sia stata scolpita 3.400 anni fa, è ancora in grado di trasmetterci il fascino senza tempo di un’incantevole donna del passato.

Il pugile delle Terme

Questa scultura in bronzo, custodita nel Museo delle Terme di Diocleziano di Roma, raggiunge i più alti livelli di realismo, raffigurando di un pugile stremato al termine di un combattimento. Tanti dettagli della composizione ci comunicano con immediatezza lo stato d’animo dell’uomo rappresentato: la postura con le spalle arrotondate, il setto nasale deviato, l’occhio tumefatto e le particelle di rame che delineano le numerose ferite descrivono in maniera impeccabile la storia tormentata di questo atleta, forse vittorioso ma comunque esausto dopo una lotta difficile.

Il Galata morente

Il Galata morente, magnifica opera attribuita a Epigonos, è una delle statue più importanti dei Musei Capitolini di Roma. Ritrae un guerriero Gallo o Galata, riconoscibile per i particolari tipici del suo popolo come il torques che porta al collo, i baffi e i capelli raccolti in ciocche rigide, che si accascia a terra dopo essere stato ferito dai soldati del re di Pergamo Attalo I.

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La sofferenza per la ferita mortale, ma, nonostante tutto, la dignità che traspare nel suo volto, superano la barriera del marmo e avvincono gli spettatori di quest’opera con una modernità che oltrepassa i secoli.

La Venere di Milo

Ritrovata in maniera del tutto fortuita da un contadino nel 1820, nell’isola greca di Milos, questa scultura non è di certo integra. Oltre alle braccia, infatti, al momento della scoperta mancavano il naso, poi ricostruito, il piede sinistro e gli ornamenti, forse d’oro o d’argento, che probabilmente ricoprivano l’opera in origine; malgrado tante mutilazioni, comunque, nulla può guastare lo splendore di questa statua, che riproduce la dea della bellezza e incarna la quintessenza dell’eleganza e della sensualità femminile.

I bronzi di Riace

È incredibile come questi due capolavori dell’antichità, risalenti al V secolo, siano giunti fino ai giorni nostri più o meno intatti. Rinvenuti nel 1972 nei pressi di Riace, da un sub che si era immerso a 200 metri di profondità, ritraggono due guerrieri opliti con una tale accuratezza di dettagli, dai ricci della barba, alle onde di capelli, all’espressione orgogliosa, da farli sembrare più dei possenti soldati in carne e ossa che delle statue.

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Secondo alcune teorie, le sculture raffigurano i fratelli Eteocle e Polinice e sarebbero parte di un gruppo di cinque opere complessive, che comprenderebbe anche Euriganea (seconda moglie di Edipo, dopo Giocasta) l’indovino Tiresia e Antigone. Se così fosse, sarebbe lecito aspettarsi in futuro l’eccitante scoperta di altre tre statue di fattura così pregevole nelle acque della Calabria.

Apollo del Belvedere

Il cardinale Giuliano della Rovere era il fortunato possessore di questa statua, definita da Winckelmann come il più alto ideale dell’arte fra tutte le opere antiche; una volta divenuto papa, col nome di Giulio II, il prelato portò la scultura con sé e la fece esporre nel cortile del Belvedere in Vaticano.

Copia romana del II secolo d.C. di un originale in bronzo del IV secolo a.C.,  attribuito allo scultore greco Leochares, la statua raffigura Apollo in tutta la sua bellezza e maestosità; dopo aver scagliato una freccia, il dio avanza fissando la propria attenzione di lato, verso il bersaglio che ha appena colpito.