La restanza, un nuovo senso dei luoghi

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La restanza (Einaudi, 2022) è l’ultimo libro di Vito Teti, già professore di Antropologia culturale presso l’Università della Calabria che si occupa attualmente di antropologia e letteratura dei luoghi.

L’autore

Considerato uno dei massimi esperti di antropologia in Italia, Vito Teti nasce in Calabria a San Nicola da Crissa (VV) nel 1950. Figlio di emigranti – il padre fece l’esperienza del Canada –, ha vissuto su di sé le logiche dell’emigrazione e la difficoltà conseguente che le famiglie devono sopportare per non disgregarsi.

All’Università della Calabria ha fondato e diretto il Centro di iniziative e ricerche Antropologie e Letterature del Mediterraneo. Si è occupato di storia e culture dell’alimentazione, con l’obiettivo di raccontare il cibo per la sua storia sia materiale che simbolica unendo la dimensione storica e quella contemporanea. É responsabile del comitato Italiano di Antropologia dell’Alimentazione.

Si è occupato di antropologia del viaggio e dell’emigrazione, di antropologia dell’abbandono e di antropologia del restare, con particolare attenzione alla riappropriazione dei luoghi abbandonati. Altro interesse di ricerca dell’autore è quello dei riti e feste nella società, di antropologia ed etnografia dell’abbandono. É autore di volumi, saggi, racconti, reportage fotografici, documentari etnografici.

Tra le sue pubblicazioni più note vi sono: Maledetto Sud (2013, Einaudi), Il senso dei luoghi (2004, Donzelli), Il colore del cibo. Geografia, mito e realtà nell’alimentazione mediterranea (Meltemi, 2019),

restanza

Trama

Il saggio inizia descrivendo il rapporto dialettico di amore e odio che ci si trova ad affrontare e gestire con il proprio luogo natìo. L’autore prova a problematizzare e a dare una visione storica del rimanere in un luogo. Quanto al titolo, la restanza non è un neologismo ma un termine utilizzato in passato (specie in Puglia) per parlare di ciò che avanzava sulle tavole e veniva riutilizzato. Ciò avveniva soprattutto in riferimento al pane: quest’alimento non veniva mai buttato ma custodito e riutilizzato in ogni modo pur di poterlo consumare. Quanto al significato del termine calato all’interno del saggio dal punto di vista dell’erranza tipica del meridione, come afferma Teti, la restanza:

“indica la scelta di restare vissuta non più come immobilismo e rinuncia, ma come un modo di opporsi allo svuotamento dei paesi, alle difficoltà delle aree interne,

al vuoto delle montagne e, per tanti versi, al vuoto delle periferie controbilanciando la forza inerziale del fatalismo con la capacità di guardare e riconsiderare il passato secondo inedite prospettive di riscrittura del presente, di guardare il centro dalla periferia,

di partire dai margini, dai luoghi apparentemente persi alla vita”. (p.53)

L’autore si interroga quindi sulle motivazioni del restare in un luogo a volte sconveniente come può sembrare un paese, sottolineando come questo venga spesso interpretato come un gesto eroico. Ripercorre storicamente il periodo di abbandono dei piccoli centri e l’emigrazione di massa, avvenuto maggiormente dagli anni ’50 in poi, soffermandosi poi sulla loro recente riscoperta dal punto di vista valoriale e sensoriale. Ciò è avvenuto maggiormente nel periodo pandemico, quando i piccoli centri sono diventati – almeno nella retorica dei media – l’alter ego perfetto per uscire dalla confusione cittadina.


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