si dice

Si dice lo faccio domani?

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Si dice? oh, eccome se si dice.

Ma è corretto? Questo è un altro discorso. Dipende secondo cosa.

si dice

quando?

È più che evidente che essendo domani un tempo a venire, la formula più corretta è domani lo farò. Questo però vale per la grammatica comune. Nella grammatica letterarie le cose si fanno più complicate.

È altresì chiaro che lo faccio è presente, e lo faccio e domani si legano in maniera evidentemente incongruente.

Quale presente stiamo usando?

Ne avevamo già parlato. Quando parliamo utilizziamo una forma narrativa particolare, in prima persona e quasi sempre impostata al passato se stiamo raccontando eventi già trascorsi e al presente se il momento descritto si trova vicino a noi sia in senso temporale che in senso emotivo. Abbiamo quindi visto che esiste un modo (non elegante, ma talvolta funzionale) di descrivere come se stessero accadendo in questo momento eventi ambientati nel passato:

È il 2 aprile 2010. Sono seduto sulla mia poltrona.

Questo tipo di presente, abbiamo visto, si chiama presente storico. Ma si può volgere anche anche al futuro (che è la nostra situazione) o a tempi o universi ipotetici (su questo torneremo): in questo caso stiamo usando la stessa coniugazione del presente ma in questo caso la chiamiamo presente narrativo.

si dice

che poi uno capisce anche male.

Le differenze tra grammatica e letteratura

Impara le regole, si dice. Infrangine qualcuna.

Mai come in casi come questi si rende lapalissiana la differenza tra la conoscenza accademica delle regole della grammatica e la loro attuazione: conoscere le regole significa sapere anche che esse non sono tutto, ma solo gli elementi basilari di un meccanismo che poi si compone di strutture molto più complesse.

Perché se qualunque insegnante sa che scopo della grammatica è far funzionare una frase, qualunque comunicatore sa che il primo scopo di una lingua è essere compresi. E qualunque scrittore sa che l’unico scopo del trasferimento delle comprensioni è trasferire parte della vita che abbiamo dentro.

Non sono parole, sono emozioni.

È corretto, quindi? Per la vostra prof delle superiori no (ma solo la vostra: i miei erano grandiosi), per la letteratura di sicuro.

L’editore invece voleva solo rompere le balle ma è rimasto fregato.